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La libretta nera
Anna si apprestava ad uscire di casa, doveva recarsi al negozio alimentare della Teresa per comprare della pasta e un a cucchiaiata di conserva. Prima di varcare l'uscio temporeggiò qualche minuto a darsi una sistemata ai lunghi capelli che portava raccolti dietro la nuca fermati da un grosso spillone. Poi diede una lisciata al vestito di cotone leggero, un unico pezzo dalle maniche corte che terminava qualche centimetro sotto le ginocchia. Sulle spalle adagiò uno scialle di seta, unica civetteria che si poteva permettere, regalo di nozze di una sua cugina. Infine piegò verso il basso il piccolo specchio appeso alla parete che in posizione verticale rifletteva l'immagine della sola testa e le spalle. Guardò la sua immagine riflessa nello specchio e il volto, fino a un momento prima più sereno, s'incupì di colpo-
Ad amareggiarla non fu l'immagine di una ragazza ventunenne, fresca sposa da tre mesi e già incinta da trenta settimane poiché per nulla al mondo avrebbe rinunciato al suo Raffaele, da lei silenziosamente corteggiato fin dall'infanzia, ma il pensiero di dover andare al negozio della Teresa con la libretta nera e farsi segnare sul già congruo debito anche la pasta e la conserva.
Raffaele, era un bravo ragazzo, sin da piccolo aveva sostituito la scuola pubblica con la pubblica strada, ma non era un perdigiorno, per strada si era adattato a fare mille mestieri perché nella sua famiglia, composta di ben nove bocche da sfamare, il pane non bastava mai. Così aveva fatto di tutto, manovale, spaccapietre, bracciante agricolo, fino all'ultimo lavoro trovato circa sei mesi prima, potatore di piante di ulivo nella tenuta del barone Cipriani.
Stando alle apparenze doveva essere il miglior lavoro che aveva trovato invece il barone era di manica corta, di mesi di lavoro glie n'aveva pagato appena quattro su sei. Altra amara conseguenza di quei calcoli sbagliati era stata la leggerezza, condivisa, di portare fino in fondo il rapporto con Anna, tanto, anche se succedeva l'irreparabile lui ormai aveva un posto per così dire fisso.
L'irreparabile era successo e con una certa sufficienza avevano affrontato anche il matrimonio in cui avevano dato fondo, le due famiglie, ai pochi risparmi messi da parte, ma si sa era un sicuro investimento.
I primi tre mesi era andato tutto bene, il quarto quasi. Il barone Cipriani lo aveva pagato con due settimane di ritardo, ma ci poteva anche stare, il posto era sicuro e il barone mostrava molta considerazione per Raffaele a cui comandava mille lavoretti, sotto gli sguardi invidiosi degli altri lavoranti, una dozzina circa.
Raffaele era ben felice di far contento il suo padrone e, anche se lo aveva pagato con due settimane di ritardo in fondo lui si riteneva quasi indispensabile. Il quarto mese il barone si era dovuto assentare da Montepiano, per una visita specialistica a Bologna, si diceva che era affetto da un certo malanno che colpiva la gente ricca, la sifilide. Doveva restare via solo una settimana invece era ritornato dopo più di un mese e non si era nemmeno fatto vedere in giro. Quelle poche persone che gli erano andate a far visita avevano raccontato di aver trovato una larva umana.
Sta di fatto che le redini del comando erano passate in mano a un fattore, Giovanni il Gravinese, chiamato così perché originario di Gravina di Puglia, un tipo smilzo dal colorito olivastro e due fessure al posto degli occhi, attaccato al denaro nemmeno fosse lui il vero padrone.
Raffaele gli aveva chiesto più volte la paga e si era sentito rispondere che il padrone non gli aveva dato alcuna direttiva in proposito. Ormai il secondo mese era già saltato e in casa ormai si rasentava la fame.
Anna, come abitudine di molte donne, andava dalla Teresa a fare spesa a credito portando con se il famigerato quadernetto nero dalle dimensioni di notes di media grandezza e chiamato, appunto per il suo formato la libretta nera.
All'inizio la Teresa, una secca cinquantenne che vestiva sempre a nero, come la libretta, non aveva fatto alcun'obiezione, la prassi era molto diffusa e poi Anna era una giovane cliente il cui fresco sposo lavorava alle dipendenze del barone.
Alla fine del mese però il conto non era stato saldato e la Teresa aveva cominciato a guardare storta Anna e a mugugnare frasi incomprensibili sempre più platealmente nei suoi confronti e, a metà del secondo mese il malanimo della negoziante era diventato un lungo sproloquio fatto di minacce e offese da caserma. Però non rifiutava di dare la merce perché sapeva che perdere in quel modo la cliente significava quasi sicuramente rinunciare al credito. Si limitava a "razionare la spesa" così se le erano richiesti duecento grammi di pasta lei asseriva che per mangiare ne bastavano solo cento e cosi via...
Anna si apprestava così ad affrontare la megera per l'ennesima volta, ma non poteva farne a meno, ormai in tutto il paese si conoscevano quelli che avevano difficoltà economiche e se avesse cambiato negozio non sarebbe stata nemmeno servita. Inoltre il negozio della Teresa era a cinque minuti di strada e il tragitto, sotto gli occhi indagatori delle tante comari era fortunatamente breve.
Appena mise piede nel negozio, con la libretta attorcigliata nel palmo della mano la Teresa capì subito che anche questa volta non avrebbe riscosso un bel nulla e lanciò un lungo sospiro più simile a un velenoso sibilo.
Il negozio, in quella pomeridiana era quasi gremito, tranne un vecchio pensionato erano tutte casalinghe e alla Teresa non parve vero di poter lanciare una filippica nei confronti di Anna sotto gli occhi di tante testimoni. Oltretutto aveva già notato che delle donne solo un paio, oltre ad Anna, avevano a portata di mano la libretta ed una delle due stava cominciando a "zoppicare".
Così mentre con un colino si apprestava a pescare manciate di olive da un grosso barattolo, senza distogliere lo sguardo da ciò che faceva, rivolgendosi palesemente ad Anna, disse:
"Toh, chi si vede, la fresca sposina, Magari oggi sei venuta a pagare il debito, non è vero?"
Anna, imbarazzata per essere stata direttamente apostrofata, non rispose anzi, piegò il capo arrossendo di colpo.
"Ah, non rispondi, allora la libretta l'hai portato per segnarci sopra altra roba? Me che ti credessi che vi devo mantenere io a voi due? Ma che dico, a voi tre, perché adesso la signora deve mangiare per due"
Anna per tutta risposta si strinse ancor più nel suo scialle come se questo potesse diventare di punto in bianco una corazza di ferro. Lo sguardo era fisso verso terra, non osava chiudere gli occhi per paura di far scorrere le lacrime a stento trattenute. La Teresa, ben sapendo di averla in pugno, consapevole la sfuriata verso la ragazza serviva anche da deterrente all'anziana signora che fingeva disinteresse poco lontano dal bancone. rincarò la dose.
"Ti è piaciuto farti inchiavicare eh? ce ne avevi di ragazzi per bene che ti correvano dietro eh, a cominciare da mio nipote, che almeno un mestiere decente lo tiene, o forse a te i barbieri fanno specie eh? No, la signorinella doveva mettersi con un capraio e adesso viene qua a pregare per un pezzo di pane. Beh, sappi mia cara che oggi è l'ultima volta che ti faccio credito e se fino a sabato non mi avrai pagato tutto quello che mi devi ti mando i carabinieri a casa, Mi hai capito? E rispondi, quando ti parlo, alza la testa e guardami negli occhi, sabato, fino a sabato aspetto"
Anna non alzò la testa e riuscì perfino a trattenere le lacrime, alla vergogna era subentrato un sentimento di puro odio, afferrò con ambo le mani la libretta e sfogò su di essa attorcigliandola sotto gli sguardi compiaciuti di un paio di comare e della Teresa, che con la coda degli occhi controllava l'effetto delle sue parole sul volto dell'altra donna. Questa, evidentemente preoccupata, stava meditando di uscire dal negozio, ma si trattenne dal farlo, evidentemente la necessità di procurarsi del cibo per la sera era più forte delle minacce lanciate dalla negoziante.
La Teresa, astutamente ebbe il buon senso di non dire null'altro e quando fu il turno di Anna le chiese, sebbene sgarbatamente, cosa volesse. Anna, stupita per la propria capacità di trattenere la rabbia rispose seccamente.
"Due etti di spaghetti e la conserva"
"Eh, due etti, e che ci dovete mangiare per una settimana, ne bastano cento e la conserva. Dammi la libretta" e quasi strappandogliela dalle mani, la mise sul bancone e, dopo averla stirata più volte con le mani, esclamando "che sciagurata, e questo il modo di tenerla?" con una penna nera segnò la merce e il relativo importo, poi strappò un mezzo foglio di un vecchio giornale e, dopo aver pesato cento grammi di spaghetti li avvolse intorno alla carta. Nella seconda metà del foglio invece incartocciò una manciata di conserva raccolta con un grosso cucchiaio di legno da un vaso di vetro. E dandoglieli reiterò il monito.
"Ricordati, fino a sabato" disse in tono grave ma, fortunatamente, non offensivo. La Teresa era astuta anche per questo, sapeva come e quando dosare le minacce.
Con la pasta stretta in una mano e la conserva nell'altra Anna ritornava a casa a testa bassa e con la morte nel cuore, avrebbe voluto strozzare quella megera, ma sapeva anche che aveva un debito da saldarle e in casa non v'erano soldi per farlo. "Chissà se stasera lo pagheranno a Raffaele!" pensava tra sé e, intenta in questi pensieri, poco ci mancò che si scontrasse proprio col marito improvvisamente spuntato da un vicolo trasversale. Anche Raffaele non era affatto di buon umore, il Gravinese aveva fatto ancora una volta orecchio da mercante e alle sue rimostranze aveva risposto con strafottenza che se non gli piaceva di stare lì se ne poteva anche andare via "tanto nessuno lo tratteneva".
Appena però il giovane vide la moglie, rinnegò ancora una volta i suoi pensieri per non darla preoccupare di più di quanto lo fosse e, con un sorriso forzato ma sincero, la chiamò.
"Anna, aspetta che ci sono anch'io" le disse distraendola. Anche lei, distolta dai suoi negativi pensieri, alla vista del marito sorrise ma senza nascondergli il malumore. Raffaele se n'accorse e, guardandosi intorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno abbastanza vicino da sentirlo, le disse:
"Che c'è Anna, è successo qualcosa?" Era una domanda retorica la sua, poiché immaginava benissimo quale potesse essere la causa del suo malumore. Anna non gli rispose e continuò a camminare a testa bassa. Raffaele, allora, affrontò esplicitamente il problema.
"Cosa c'è, quella strega ha fatto storie per la libretta?"
"Gia che lo sai perché lo chiedi" fu la sua risposta secca. Sospirando rumorosamente Raffaele strinse i pugni ed ebbe l'impulso di tornare verso il negozio per difendere l'onore della moglie.
"Ma dove cuoi andare senza i soldi per pagarla, dai prendi un po' di legna dalla catasta che siamo arrivati a casa e bisogna attizzare il fuoco" gli disse Anna fermandolo dai suoi propositi.
In effetti erano ad una decina di metri dalla loro casa, o per meglio dire da quella che loro chiamavano casa ma che fino a sei mesi prima, alla vigilia del matrimonio, era ancora la stalla dell'asino del compare Antonio che benevolmente aveva loro ceduto affinché l'adattassero ad abitazione.
Si trattava, in pratica, di un unico locale sottostante il piano stradale a cui si entrava da una bassa porta a due battenti di legno, di cui uno, quello dell'apertura, era suddiviso in due parti, quella bassa che chiudeva con un tiretto di ferro e quella superiore fatta a grata per far entrare l'aria all'interno, su questa vi era anche la serratura dove vi s'infilava una grossa chiave in ferro. Fuori la casa, accostata alla parete accanto alla porta vi era una catasta di legna da cui Raffaele prelevò dei tronchetti per il fuoco. Internamente vi era un pavimento fatto in pietra del posto levigata a mano, sulla sinistra, in un angolo Raffaele vi aveva tirato su due piccole pareti per isolare un bagno composto di un vaso e da un trespolo con sopra il bacile in lamiera smaltata. Ad una certa altezza due zanche di ferro infisse nel muro che reggevano un barile di legno di venti litri d'acqua che Anna, quando si svuotava, lo portava a riempire al fontanile pubblico non molto lontano dalla casa. Lo portava sulla testa poggiato su uno straccio di stoffa arrotolato a forma di ciambella sul quale il barile poggiava in bilico. Lei tornava così a casa con una mano che reggeva la punta del barile e l'altra infilata in un'ansa dell'hummolo, una specie di fiasco in terracotta da un litro, con la base puntata sul fianco così che non gli scivolasse.
Un altro barile simile a questo ma di trenta litri era posizionato a fianco la porta di casa, vicino al focolaio da dove attingeva l'acqua per la cucina e gli altri servizi casalinghi.
Nel frattempo che il marito si togliesse la logora tuta e si riassettasse Anna attizzò il fuoco e quando le fiamme divennero alte appese il paiolo alla catena del camino con dentro un paio di litri di acqua, vi piazzò sopra il coperchio di alluminio, distolse un po' di brace viva dal fuoco, posizionò il piccolo treppiede con sopra la terrina con la conserva, vi aggiunse dell'acqua, del basilico, un pizzico di sale e un filo d'olio e lasciò che il tutto venisse a bollire. Non ci mise molto, poiché il paiolo era sempre stato su un treppiede grande vicino al fuoco e l'acqua era già tiepida. Vi calò gli spaghetti e attese che si cocessero, intanto Raffaele aveva avvicinato al camino lo sgabello, un tavolo di legno a tre piedi dal diametro di un'ottantina di centimetri sul quale Anna distese una tovaglia circolare.
Dopo, nell'attesa che la pasta cocesse, chiese finalmente al marito come stavano le cose in campagna.
"Non lo so, Anna, il padrone non si vedere, dicono che stia molto male e quella chiavica del Gravinese afferma sempre che non sa nulla dei pagamenti, che non sono affare suo, insomma."
"Sì, ma sono già due mesi e più che non ti pagano, io con "quella" non so più cosa fare. Il debito l'abbiamo e, solo che non ce la faccio a sentirmelo rinfacciare ogni volta che vado e non posso nemmeno cambiare negozio, nessuno ci farebbe credito"
"Senti Anna, lo so, te l'ho già detto un paio di volte, perché non ce n'andiamo via da qui?"
"E dove, Raffaé, ti credi che andando via la situazione migliora?"
"Anna, ascolta l'altro giorno è arrivata una lettera di mio cugino Cipriano da Torino, Zia Carmela non sa leggere e mi ha chiesto di farlo per lei. Cipriano dice che lì si sta bene, che lavora alla Fiat e lo pagano puntualmente. Ora saranno più di due anni che sta lì, se n'andò nel cinquantanove, hanno una casa decente con l'acqua corrente, la luce elettrica e per riscaldarsi tengono il gas, come quello delle bombole che vende la Teresa. Mi ha mandato a dire che se voglio posso raggiungerlo, io ci sto pensando"
"Ed io, tu te ne vai e mi lasci sola qui con il bambino che mi cresce nella pancia?"
"No, Anna, siamo a maggio, il bambino deve nascere a fine settembre ed io avrò sistemato le cose lassù, alla madonna di Santa Maria torno giù a prenderti"
"No Raffaè, il bambino deve nascere qui a Montepiano, dove siamo nati noi"
"Perché deve nascere qui, se ce n'andiamo via è meglio che nasce su a Torino, almeno ogni volta che ci vorranno le carte non dobbiamo fare i salti mortali, non credi?
"E quindi tu cosa vorresti fare?" incoraggiato, Raffaele manifestò di getto ciò che aveva in quei giorni programmato intimamente.
"Facciamo così, io parto subito, ritorno a ferragosto e alla fine del mese ce ne saliamo insieme. Intanto facciamo così, domani vado dall'orologiaio e gli porto l'orologio di mio padre e la catenella di tua nonna, penso di ricavarne abbastanza da pagare il debito con la Teresa, poi vado direttamente a bussare a casa del barone, lì non ci dovrebbe essere il Gravinese, e chiederò, implorerò, insomma mi devono pagare, poi mi licenzio. La sera stessa telefono a Cipriano, nella lettera ha scritto un numero di telefono dove lo possono chiamare la sera e prendo accordi. Tu che dici Annarè? ehi, che fai ti metti a piangere adesso, perché? Su, vieni qua, non devi avere paura"
"Ho paura Raffaè, non sono mai stata sola e... adesso di punto in bianco te ne vai..."
"Sciocchina, vieni qua, Annina mia! Non possiamo continuare a vivere in questo modo".
Una settimana dopo Raffaele era già a Torino, Cipriano era stato di parola, aveva parlato con un suo caporeparto tessendo le lodi del cugino, in fondo veritiere, e quando lo aveva raggiunto questi lo aveva messo a lavorare come bassa manovalanza, era l'inizio, ma andava già bene. In quelle prime settimane andò a vivere in casa del cugino dalle parti di Porta Susa, dove incontrò un altro suo lontano parente, partito ai primi degli anni cinquanta, lavorava come portiere in un grosso stabile in Via Regina Margherita che gli disse di aver bisogno di un aiutante perciò se non si trovava bene alla Fiat poteva andare da lui e, nel frattempo, se cercava casa, in adiacenza alla portineria vi era un bilocale ben dotato che poteva occupare già a luglio.
Tutte queste notizie Raffaele le scriveva alla moglie che, con i primi soldi che Raffaele già le mandava, riusciva a pagare il debito con la negoziante, la libretta era sempre usata, ma alla fine del mese, puntualmente, il debito accumulato era pagato-
A ferragosto Raffaele tornò a Montepiano, era cambiato del tutto, indossava un pantalone senza toppe e una maglietta della Rinascente. Anna stentò perfino a riconoscerlo da lontano, quando la sua sagoma, nel tardo pomeriggio si approssimò in fondo alla strada. Dovette trattenere a stento l'impulso di corrergli incontro, ormai il pancione le impediva ogni veloce movimento. I due infine si abbracciarono tra fiumi di lacrime e fine a notte fonda non fecero altro che raccontarsi a turno le vicende vissute in quei tre mesi di separazione.
La corriera della Sita partì da Montepiano alle prime luci dell'alba, si era a fine agosto, ma già all'alba l'aria si era rinfrescata abbastanza, in paese c'era un detto di saggezza che narrava così: "Agosto capo d'inverno" e stava a significare come già l'inverno era alle porte.
Anna e Raffaele, con tutti i loro averi infilati in una grande e vecchia valigia di cartone riempita così tanto che per paura che scoppiasse Raffaele aveva rinforzato la chiusura passandoci intorno ad uno lungo e grosso spago incrociato, avevano preso posto sui sedili in fondo alla corriera, dove vi era più spazio per la mole di Anna, ormai prossima al parto.
Anna, dopo che la corriera ebbe lasciato alle spalle le ultime case del paese e lo sguardo poteva ormai spaziare in lontananza, guardò dai finestrini il panorama che le si presentava davanti. Il sole illuminava già le alte cime dei monti che circondavano a ponente Montepiano le cui cime erano sempre brulle per la mancanza di vegetazione. "Tra non molto si copriranno di neve" pensò Anna e, per un momento anche lei, come una più famosa eroina della nostra letteratura, rivolse loro il suo addio.
Monti, boschi, viottoli di campagna, tutte immagini che si susseguivano ai suoi occhi. Un puntino in movimento in una mulattiera attirò la sua attenzione, a quell'ora doveva essere zi Giuseppe, il suo vicino di casa, che andava all'orto. Un momento dopo nella mente si manifestò un carosello di volti, parenti e amici, e gli occhi le si gonfiarono, un attimo ancora e avrebbe pianto, quando un altro volto le si parò davanti, quello della Teresa. Bastò quello e le lacrime si rintuzzarono. Ebbe un sussulto e si voltò agitata verso Raffaele, al suo fianco.
"Rafè, ho dimenticato la libretta" gli disse.
"La libretta? Quale libretta, quella nera?"
"Sì, l'ho lasciata a casa"
"E allora? Che te ne devi fare, hai pagato tutto a quella strega?"
"Sì, ma ora a Torino ne devo comprare una nuova"
"Ma non ti serve, amore mio, dove andiamo non si usano le librette nere" lei lo guardò stupita.
"Dici davvero? Non si usano lì le librette nere?" chiese non credendo a quanto gli aveva detto-
"No, amore, lì non si usano" le confermò sorridendo Raffaele.
"Che bello!" esclamò incredula Anna, "Che bello!" poi, prendendo una mano di lui la posizionò sul ventre gonfio, "Senti, si muove"
Raffaele confermò, felice, e le disse "Pensa, Annì, il nostro Rocchino muoverà i primi passi in un mondo tutto nuovo!" Lei chiuse gli occhi, già sognando.
"Che bello, nascerà in un mondo senza librette nere!"
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- Anna, colgo l'occasione per liggere vecchi commenti, il mio ndr, e a proposito di foto perchè non ne metti una?
Comunque nello specifico questo è un lavoretto che mi ha impegnato più del normale non essendo portato per le parti descrittive.
Grazie di cuore.
Ciao
- Grazie Tore
Anonimo il 23/11/2011 19:01
Ancora una volta mi hai riportato indietro nel tempo... anche mia madre l'ha avuta la libretta nera ma non ricordo "Terese" nel mio paesino, anzi... Narrare diretto, pacato, dovizia di particolari, oggetti che in tanti qui non sapranno nemmeno cosa siano e che a me stringono il cuore e par di vederli. Potrebbe essere la sceneggiatura di un film tanto sei stato bravo a non tralasciare nulla nella descrizione, un film in bianco e nero del periodo neorealista. Quante storie così dai nostri paesini intorno agli anni 60!
- Bravissimo Miro, una versione alternativa di Anna e Raffaele!
Anonimo il 20/12/2010 18:34
Michele... era mio fratello il Carneade... pardon, il carnivoro... io ero abbastanza vegetariano... prima o poi cambierò la foto... metterò quella di jack la motta che è amico di smeraldoeneve. ciaociao
- Hip hip hurrah! evviva ragazzi, sono tornate le foto! Questo vuol dire che lo staff ha moltiplicato la memoria disponibile. Certo che vedere la coda di balena di Giacomo fa davvero tristezza.
Ovvio che chi di ciccia s'è cibato è meglio stia defilato. Ahahahahahahah. Grande Giac.
Grazie a tutti per esserci passati. Questo racconto, grazie a Giacomo, mi è uscito fuori dal cuore oltre che dalla mente. Non so perchè la chiamassero al femminile, e non me lo sono mai chiesto. In molte famiglie ce n'erano più d'una, quella del fornaio, degli alimentari, dell'emporio ecc. A star bene erano veramente in pochi e la situazione migliorò dopo i primi anni 60, anche perchè con la massiccia emigrazione quelli che restavano avevano una minore concorenza.
Grazie a tutti, di cuore.
Anonimo il 20/12/2010 17:50
È un racconto talmente bello che ti prende nn solo il cuore ma pure l'anima.
Che dire altro quando già altri ti hanno detto tutto.
Un abbraccio sincero.-
Anonimo il 20/12/2010 16:53
Bellissimo racconto, dove disperazione e speranza si intrecciano fino a diventare quasi un'unità inscindibile. Nella mia memoria non trovo traccia di librette nere, ma i miei nonni vivevano in campagna in mezzadria, e ne ho sentite di storie di angherie e soprusi!
Ottimo Michele!
Anonimo il 18/12/2010 20:15
Bellissimo... hai scritto un pezzo di storia d'Italia. Mi sono commosso, cacchio... lo hai fatto apposta eh, Michele. Ciaociao... ti meriti 5 stelle ed un applauso.
Anonimo il 18/12/2010 20:02
Ho già capito dove vai a parare solo dal titolo... ora lo leggo per bene e poi ti faccio sapere. Strano che voi la chiamiate la libretta, al femminile. Grazie per la dedica... fammi leggere, Michele. A dopo. ciaociao
- Questo racconto lo dedico al mio amico Giacomo che, inconsciamente, ha stanato dalla mia mente ricordi di cui non vagheggiavo nemmeno l'esistenza.
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