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Una città in un giorno

Aveva abbandonato il suo corpo lì. Come cappotto ad ogni cambio di stagione.
E lasciato il suo cuore libero di andare. Impaziente. A zonzo per la città.

Era il 21 marzo, primo giorno di primavera. 1958.
Infilò la porta a mare con l'impeto degli anni.
Poi, dopo l'abbrivio, smise di pedalare. Allargò le braccia.
Lasciandosi trasportare come brezza spensierata.
Incontrò biciclette che correvano nell'aria col ronzio di petulanti catene.
Portavano in sella donne che si tenevano pudicamente la gonna con la mano.
Sorridenti e libere, ai primi tepori.
E uomini, per nulla indifferenti al loro fascino, che si recavano al lavoro.
Un intenso odore li inebriava. Di canapa e barbabietola.
Più dolce dello zucchero filato.

Vagabondò a lungo attorno all'immensa piazza ovale.
Cinta da platani giganti che, agitando pigramente i rami,
guardavano giovanette dalle gambe tornite,
mentre sfilavano sulla pista di cemento sui loro skettini gracchianti.
Ragazzi spavaldi le superavano, girandosi a sognare un incontro prodigo di intimità.
Più avanti, l'antico parco: ad un tiro dall'orto botanico.
Dal grande cancello apriva ad un mondo di fiaba.
Alberi con radici lunghe e tormentate traversavano ogni sentiero.
Cespugli odorosi spuntavano all'improvviso, seminando intorno le loro seducenti essenze.
Fuori, il bianco palazzo corazzato di mille punte stava lì, sull'angolo opposto,
a vegliare la strada più romantica del mondo.

Pedalò a lungo. Senza sosta.
Sul percorso incontrò piccole panetterie che sfornavano i loro pani dalle lunghe dita incrociate.
Il loro profumo si spandeva fragrante per le strade;
entrava dalle finestre che si aprivano generose ai raggi del sole.
Le basse case di mattoni a vista sembravano custodire gelosamente i loro giardini.
Esuberanti di fiori e rampicanti, all'interno dei loro ventri.
Ignari della vita che si andava risvegliando intorno.
Quella di mattoni scuri, del poeta, stava lì intatta. Immobile nel tempo.
A parlarci di amori e grandi gesta.
Poco distante, da una finestra a piano terra,
giungeva l'aria di una struggente canzone americana, mista ad un vociare allegro e spensierato.
Una delle tante feste pomeridiane,

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1 commenti:

  • Anonimo il 22/12/2010 09:02
    Bel racconto, molto coinvolgente. Trasportato di sana pianta in quel 1958... forse perchè conosco Livorno e sono anch'io del '46. Bravo bravo, anche un buon stile di scrittura. ciaociao

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