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Bartolini Francesco e i suoi diciotto natali
Il primo Natale di Bartolini Francesco, di cui lui ebbe memoria solamente attraverso i ricordi dei parenti, fu in una stalla. Dicono accadde per caso. C'era la guerra, i contadini si rifugiavano sulle montagne ed assaltavano i nemici piombando loro addosso come delle furie. Le case non andavano più bene per star tranquilli, c'era il pericolo di una retata, così molti si trasferivano in vecchi casolari, e rimanevano lì per molto tempo. Fu così che la prima cosa che vide Bartolini Francesco quando non fu sua madre, bensì un grosso porco dal colorito marroncino che in quella stalla era stato portato insieme a due buoi e a un pollo dall'aspetto smagrito. Da quel momento in poi fu celebre la fobia di Bartolini Francesco per i suini. Traumi dell'infanzia che ritornano. Dunque, Bartolini nacque il giorno di Natale, e tutti dicono che è così bello nascere il giorno di Natale. C'è la neve, e in effetti quel giorno la neve c'era. C'è il vischio, e in effetti quel giorno il vischio c'era, sebbene imbrattato dallo sterco di porco. C'è anche il tepore del caminetto acceso, ma quello nella stalla non c'era, anzi, si schiattava di freddo e pare ch il padre di Bartolini Francesco, nel buio della notte, tentando di abbracciare la moglie per riscaldarsi finì con l'abbracciare sempre il famigerato e grasso suino, che taluni sostengono essere non molto diverso in aspetto dalla donna. Comunque, se tutti vogliono nascere a Natale, Bartolini Francesco considerò tal fatto sempre un'enorme sfortuna. <<Bello! Bello nascere a Natale! Così poi di regalo te ne fanno uno solo, per Natale e per il compleanno. E ti dicono che quel regalo vale per due. Ma col cazzo che ti fanno due regali!>>. Ovviamente il regalo per il primo Natale di Bartolini Francesco fu la vita, e si può quindi dire che per quell'anno gli andò molto bene. Di lì a pochi giorni suo padre avrebbe rischiato di essere schiantato da una mitraglia nemica, ma si salvò per il rotto della cuffia. Fu arrestato. Lo liberarono la primavera successiva, quando la guerra finì ed in campi erano già in fiore.
Del suo secondo Natale Bartolini Francesco ha già qualche ricordo in più, e preferirebbe non averlo. Si stava davvero con le toppe ai calzoni quell'anno. Da mangiare ce ne era poco e di scarsa qualità. Suo padre faceva il falegname, sega e martello, sega e martello continuamente. Però segava i tronchi, mica l'oro, quindi al massimo potevano avere una panca, ma il portafoglio pieno mai. Bartolini Francesco era diventato quasi più magro di quando era nato. Si incominciavano a preoccupare per lui. Eppure la voglia di festeggiare c'era lo stesso. Sua madre costruì una capanella con due statuine di legno e la mise nel soggiorno di casa. Erano tornati ad abitare in città, nella vecchia casa dei nonni che erano passati a miglior vita, perché la loro casa era stata distrutta dai bombardamenti. Quel Natale Bartolini Francesco assistette per la prima volta in vita sua ad una messa intera, dall'inizio alla fine. Casualmente, quello stesso giorno scoprì l'ineluttabilità della tristezza umana. Scoprì anche il male di vivere, sottoforma di escrementi di cavallo che, sulla via del ritorno dalla chiesa, si appiccicarono violenti sulla suola delle sue scarpe. Quel giorno Bartolini Francesco scoprì anche la bestemmia. Quante cose che imparò! La cena di Natale, che nelle aspettative doveva constare di un'anatra arrosto, si risolse in un girino fritto nella farina e in un bicchiere di vino rosso che Bartolini Francesco trangugiò, realizzando che preferiva di gran lunga la grappa. Di quell'anno Bartolini Francesco ricorda i muri scrostati della casa, i primi rudimenti di catechismo, suo padre che lavorava come un matto e veniva pagato poco, sua madre che lavorava come una matta e non veniva neanche pagata ed infine le immancabili vecchie sulle scale che portavano dal paese alto al paese basso, sedute a ciarlare. <<Guarda quella! Quella il marito l'ha menata! Non vedi come c'ha i lividi in faccia?>> oppure <<Guarda! Guarda! Quello è un finocchio!>>, ovviamente tutto a voce bassa perché non bisognava farsi sentire da nessuno. Solo dio poteva sentirle, ma poi loro si confessavano ogni settimana, quindi tutto si metteva a posto. Bartolini non le sopportava, ma esistevano, in quel grande villaggio all'aria aperta che era la sua vita. Alla fine imparò ad abituarsi a loro, e perfino ad apprezzarle.
Il settimo Natale di Bartolini Francesco ebbe l'unico peccato di passare troppo in fretta. Per il resto fu perfetto, sebbene tutto il mondo intorno fosse scombussolato. Come sentenziava suo padre, non si capiva più un cazzo, ed era vero. Guerre che dovevano scoppiare e non scoppiavano, proteste da una parte e dall'altra, studenti che manifestavano e Bartolini di loro non capiva nulla. Quel Natale gli fecero, come al solito, un solo regalo, ma fu un regalo importante: un libro. Sulle prime Bartolini fu seccato. Avrebbe preferito qualcos'altro, ma ciò che lo fece rallegrare fu una frase di suo padre. <<Dieci anni fa nessuno avrebbe fatto un regalo così a un bambino come te>>. Quelle parole lo riempirono d'orgoglio. Significava che stava crescendo e anche il mondo intorno a lui stava crescendo. Quel giorno in paese nevicò e Bartolini scese per le strade a giocare con la neve. Incontrò molti bambini che andavano a scuola con lui, che si sorbivano le spiegazioni e che sognavano immaginando di poter guardare al di là delle vetrate della classe, sempre e comunque opache. Durante una battaglia a palle di neve uno scricciolo biondo di ragazzo chiese a Bartolini Francesco per quale squadra tenesse lui. Lui conosceva il calcio, ma non tifava per nessuna squadra. Aveva paura che se tifava per una squadra l'altra poi di dispiaceva e quindi preferiva essere neutrale. La stessa cosa disse a quel bambino, ma quello gli rispose <<Non puoi non tenere per nessuno! Tutti devono tifare per una squadra! Quando non hai una squadra si dice che sei della pagnotta!>>. Così Bartolini Francesco iniziò a tifare per la pagnotta, e ci dava dentro con tutta la sua forza. Ogni sera a cena gridava <<Pagnotta! Pagnotta!>> e sua madre per accontentarlo gli dava una fetta di pane. Bartolini Francesco non capì il nesso tra le due cose, ma non si preoccupò di chiederne la spiegazione. Era troppo giovane per avere dei dubbi. Alla sua età si poteva solo crescere e così lui si limitava a far quello, senza preoccuparsi del resto. Quella sera, mentre il Natale stava ormai declinando, iniziò a leggere il libro che gli avevano regalato. Si addormentò alle sette della mattina dopo, finita l'ultima pagina. Quella notte cadde una stella nel cielo, e tutto il paese corse a vederla, ma Bartolini Francesco rimase chiuso nella stanza a leggere. Gli piaceva molto di più che andare a scuola.
Per il suo decimo Natale Bartolini Francesco si mise in testa un'idea: il pranzo di Natale lo doveva preparare. Ora che il cibo bene o male c'era e ce ne era anche più del necessario, si poteva lasciare spazio alla fantasia. Bartolini aveva letto su un vecchio libro della madre una ricetta pseudo-indiana di cui si era innamorato per via della figura sul manuale di cucina. Una bella bisteccona di maiale immersa in una salsa amaranto. Dava proprio l'idea di qualcosa di pesante. All'inizio tutti rifiutarono la proposta di mangiare qualcosa di diverso dai soliti tortellini, poi però Bartolini ruppe così tanto gli zebedei a tutti che divenne un'ossessione. Suo padre, la notte dall'antivigilia, sognò persino un cuoco indiano in costume che reggeva un maiale per la coda. Acconsentì così a far cucinare il figlio. Si pose però subito un problema: il maiale in casa non c'era, c'erano solo bistecche di manzo. Bartolini si incazzò parecchio, pretese che gli andassero a comprare gli ingredienti, ma i negozi erano quasi tutti chiusi a parte il supermercato ma siccome i Bartolini erano tradizionalisti al supermercato non si andava. Alla fine Bartolini accettò di cucinare col manzo, però non poté tollerare la mancanza anche delle spezie necessarie alla salsa. Fu questo che lo spinse ad accantonare il progetto utopistico di un pranzo preparato da lui, ma si ripromise che l'anno successivo ci sarebbe riuscito. Di fatti il Natale seguente l'undicenne Bartolini si premunì prima. Convinse la madre ad andare a far la spesa un settimana prima di Natale per comprare gli ingredienti giusti. Fu una pessima idea: rimasero coinvolti in uno scontro fra giovani studenti. Avevano opinioni politiche diverse e per questo cercavano una amichevole discussione che appianasse i contrasti. Bartolini non vedeva di malocchio quelli che si davano le botte. <<Tanto prima o poi dovranno smettere, e allora si metteranno d'accordo>> diceva sempre, tranne poi cambiare idea e condannare fermamente la violenza quando per via degli scontri il centro città fu bloccato e non poté raggiungere l'alimentari dove dovevano fare compere. Bartolini provò a convincere la madre ad andare al supermercato, ma lei fu irremovibile. Anche per quell'anno il piano saltò. L'anno successivo ci riprovò ancora, immemore delle due disfatte incassate. Bartolini aveva ideato un piano speciale:bisognava usare la maniere, altrimenti la situazione non cambiava. Scappò nottetempo dalla camera da letto, uscì di casa, si presentò alle sette in punto davanti al supermercato, armato di borsellino e di lista della spesa. Comprò tutto quello di cui c'era bisogno. Tornò a casa, i suoi gli diedero un sacco di botte, poi lui si rimise nel letto e tornò a dormire, ma lo buttarono giù perché alle otto doveva andare a scuola. A Bartolini la scuola non piaceva, ma per fortuna quello era l'ultimo giorno prima della vacanze natalizie. Gli anni precedenti sopportare le lezioni era stato duro ma possibile. Ora, con tutta quella gente che diceva che ormai era grande e che la gente come lui doveva pensare a studiare e studiare le cose che dicevano loro, era tutto molto più difficile. Invece Bartolini aveva sviluppato una grande passione per la lettura. Si faceva comprare i libri ai mercatini. Passava le nottate a leggere, e anche i pomeriggi della domenica, mentre le vecchie sulle scale del paese non cambiavano mai. Comunque, quell'anno Bartolini aveva tutti gli ingredienti per la sua ricetta. Era pronto a trionfare. Purtroppo si ricordò all'ultimo di non saper cucinare, e che nemmeno la madre sapeva fare una ricetta del genere. Quel Natale finì con un maiale bruciato e tutti i membri della famiglia Bartolini abbrancati alla tazza del bagno. Momenti indimenticabili, che Bartolini ancora oggi ricorda con piacere.
Poco prima del suo quattordicesimo Natale Bartolini Francesco si trasferì. Il padre aveva trovato un nuovo lavoro in una nuova città , molto più a sud. Si chiamava Latina. Lì a Natale non nevicava mai. Quando i Bartolini arrivarono in macchina a Latina Francesco si lasciò scappare una sola frase. <<Che città di merda!>>, poi però stette zitto. A quell'epoca aveva altri problemi a cui pensare, uno su tutti: le ragazze. Aveva cominciato a guardare le ragazze. Guardava il sedere, guardava le tette, guardava il viso, guardava un po' tutto ed era talmente in crisi che alla fine si convinceva sempre più che l'importante era averne una, non importava chi. Poi si poteva sempre cambiare, ma bisognava trovarne una. Quel Natale i Bartolini parteciparono ad una festa che un vecchio amico del padre, colui che gli aveva trovato lavoro a Latina, dava a casa sua. C'erano anche delle ragazze. Bartolini rimase in piedi, con le mani dietro la schiena, con gli occhi da aquila impallinata e impagliata appizzati verso il divano dove tre donzelle conversavano dei loro trucchi e delle loro bambole più belle. Quella notte, tornando a casa, Bartolini pensò di essere veramente un coglione. Comunque una ragazza la trovò quell'anno. La incontrò a scuola sua. Era brutta come la fame, ma Bartolini accettava tutto in tempi di crisi. Eppure in quegli anni ce ne erano di belle ragazze. Più che altro, le ragazze pensavano più a farsi belle e meno a riflettere, il che certamente a Bartolini non dispiaceva, a parte quando pretendevano regali costosi e il suo portafoglio languiva. <<Anni fa una ragazza non avrebbe mai chiesto regali simili!>> ripeteva ad alta voce, e la ragazza di turno gli ripeteva che suo nonno era più moderno di lui, del povero Bartolini Francesco. A scuola si annoiava come sempre, e in più le classi erano rumorose, chiassose, piene di brutta gente. Una volta gli insegnanti rompevano le palle, ma almeno avevano voglia di lavorare. Ora neanche più quello c'era, ora arrivavano scoglionati in classe e ancora più scoglionati spiegavano, si beccavano gli insulti dagli alunni, rispondevano con altrettanti insulti o con fantomatici bassi voti che poi si mutavano fantasticamente in sufficienze. La scuola era cambiata, gli studenti erano cambiati, ma il metodo di Bartolini era sempre infallibile. Studiare l'ora prima la materia dell'ora. Obbiettivo: il minimo indispensabile, il sei scritto a grandi lettere in pagella, la comoda salvezza.
Al suo sedicesimo Natale Bartolini Francesco pensò che forse era ora di trovarsi una squadra da tifare. Ogni anno, quando qualcuno vinceva lo scudetto, c'era gente che festeggiava, e lui mai, sempre fuori dalla festa. Si era anche un po' rotto le palle ad essere della pagnotta, ma non sapeva scegliere. Quel Natale gli capitò anche un'altra cosa. Andò ad una festa organizzata dai suoi compagni di classe. Mentre tutti ballavano lui finì , stravaccato sul divano, a conversare con un ragazzo che non aveva mai visto in vita sua. Aveva i capelli rasati a zero, un tatuaggio sul braccio destro, l'occhio da pesce addormentato ma lo sguardo cattivo. Fu il primo che chiese a Bartolini Francesco di che partito politico fosse. Lui non sapeva che dire. Era da poco successo un casino in politica, i giornali avevano parlato della crisi irreversibile del sistema dei partiti. Erano spariti quelli vecchi, se ne erano formati degli altri, ma Bartolini non teneva per nessuno di loro. <<Sono della pagnotta>> disse a quel ragazzo alla festa, lui lo guardò, sorrise e poi fece <<Ah, ho capito. Tu stai dalla parte dove se magna. Fai bene>>, Bartolini sorrise intuendo che quello aveva frainteso le sue parole, ma non proferì parola. Il ragazzo invece concluse il suo discorso. <<Però, ricordati. Si stava meglio quando si stava peggio>>. Bartolini rimase a pensare: si stava meglio quando si stava peggio. No, non era vero. Almeno ora, in quella città, non c'erano più le vecchie che raccontavano i fattacci del giorno. No, certamente no. Ora i fattacci li raccontava direttamente il telegiornale, ora il segreto, invece di essere privato, era pubblico, ma la sostanza non cambiava. In fondo anche il mondo, come lui, era cresciuto. Una volta il villaggio era solo il paese, ora era tutta la nazione. Per il resto, stessa cosa. Bartolini pensò a quando suo padre gli raccontò che al lavoro assumevano solo i raccomandati, poi pensò a quando il vecchio parroco del paese si metteva d'accordo col carabiniere per far prendere nell'arma un giovane disperato che non aveva voglia di far nulla, oppure quando davanti all'ufficio dell'onorevole c'era sempre la fila. In molti dicevano che una volta si stava meglio. Bartolini li odiava. La storia cambia abito, si imbelletta, ma non si lava mai. Per la prima volta nella sua vita, quel Natale Bartolini si sentì triste. Si lasciò pure con la ragazza. Peggio di così non poteva andare.
Per il suo diciottesimo compleanno Bartolini Francesco non ha chiesto nessun regalo. Sa che la crisi economica si fa sentire anche sulla sua famiglia, sa che si meriterebbe forse più di quello che ha, ma non si lamenta. Proprio l'altro giorno, ad un incontro per l'orientamento universitario, ha conosciuto un giovane ricercatore in odore di precarietà. Guadagna sui settecento euro al mese. Gli bastano per pagarsi l'affitto, al resto ci pensano i suoi. Sta pensando di trasferirsi all'estero. Lì, anche se non c'è la cuccagna, ci sono comunque più possibilità. Bartolini ci pensa, a volte, seduto al suo banco, a quello che farà domani. Pensa a come sarà questo ennesimo Natale, pensa alla madre che fa sempre lo stesso presepe, al padre che va a dormire sempre prima la sera e non lo vuole venire a prendere quando esce perché dice che alle undici è troppo tardi. Pensa a quanto stare a scuola è diventato una rottura di coglioni, pensa a quanto sia inutile studiare quando nessuno ha voglia di farti imparare, ma, d'altra parte, quasi tutti i suoi professori sono precari, la loro permanenza alla sua scuola ha le ore contate. Poi si ricomincia con un altro circo e un altro dolce far niente. Bartolini non ha più bisogno di studiare l'ora prima per l'ora dopo. Il sei glielo danno d'ufficio, come a tutti in fondo. Chi viene bocciato è uno sfigato, uno che è stato scelto per dimostrare che qualche volta qualcuno ci rimane secco, ma è più una finta che altro. Per la sufficienza tutti disposti ad aiutare. Il problema è quando sei bravo e vorresti essere premiato. Lì pretendono la luna, nessuno vuole ammettere quello che tu sai, e cioè che forse questo mondo non è fatto per chi sogna, non è fatto per chi pensa, non è fatto per chi immagina. È fatto per chi vive e basta, senza dire niente, senza dar fastidio a nessuno, accontentandosi di una sigaretta e di un sabato sera a luci lampeggianti.
Bartolini Francesco ha una ragazza, lei ha due anni in meno di lui. Si lasceranno presto. Alla fine dell'anno scolastico Bartolini se ne andrà da Latina, la ragazza resterà al liceo. È triste, ma è così. Bartolini vuole andare lontano, e magari trovare una ragazza nuova, in un altro posto, ed andare a letto con lei ogni sera, ed amarla e cambiarla di nuovo con un'altra più bella. Il tutto a patto che ci siano soldi per comprare loro abbastanza regali. Senza quelli le ragazze non arrivano. Sono preoccupazioni stupide, ma lui le ha. Si ripete che i ragazzi come lui non hanno paura del futuro, lo aggrediscono.
Bartolini Francesco oggi pensa che è Natale, ed è il suo compleanno. Si chiede come sia mai possibile che abbia diciotto anni e che si senta già vecchio.
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0 recensioni:
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- Magari quello del bambino nato a natale in una stalla è un po' un clichè, come altri luoghi comuni in questo racconto (il professore svogliato, la ragazza che vuole solo regali, i manifestanti, il fascista, il precario..). Floscia la battuta della pagnotta. Non ben integrata nel racconto la parte del piatto Indiano. Si riconosce la volontà di far vedere il volto della Storia attraverso le disavventure del protagonista, ma quest'effetto non sempre è raggiunto.
Molto bella la frase "La storia cambia abito, si imbelletta, ma non si lava mai."
Senso dell'umorismo migliorabile.
- critica n. 1: il racconto non ha un fine nè una conclusione, e nemmeno una tendenza alla conclusione di qualcosa. dovresti migliorare la sequenza degli eventi. critica n. 2: il linguaggio si abbassa nei punti sbagliati, creando un effetto molto spiacevole, mentre di solito questa tecnica, se usata nei punti giusti crea quell'effetto comico tipico di grandi autori, come benni, per esempio. critica n. 3 : alcune uscite senza molto senso che creano un forte fastidio nella lettura. cerca di creare un andamento più armonico.
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