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Getflok lo Sciamano
I refoli ciarlieri ed autunnali del sottobosco maculato di funghi multicolori, sembravano accompagnare i passi di Getflok, lo Sciamano del popolo della Terra di Confine.
Girovagava apparentemente senza méta, ma con lo sguardo attento agli alberi, che iniziavano a spogliarsi dell'abito di foglie. In realtà stava cercando un ramo di tasso adatto per costruire un arco per Tosit, suo grande amico e fratello, invaghito della ragazza più bella del villaggio. Ma, il mugnaio suo padre non voleva sentir ragione e andava ripetendo che avrebbe concesso la mano della sua Gedea solo al miglior cacciatore della valle. ossia, al vincitore della gara che anche quell'anno si sarebbe tenuta nel Campo del Sole d'inverno, il grande circolo sacro circondato dalle sacre pietre dei giganti. Chiunque vi poteva partecipare e questo era motivo di apprensione nel cuore di Tosit, si era confidato con Getflok, chiedendogli aiuto. E lui ora s'aggirava nel bosco alla ricerca di un albero vibrante, il Tasso, l'albero preferito da Janna, la dea della caccia. In quel momento Evos, il dio del vento alzò la voce, quasi un fruscio a coprire il cricchiolìo dei suoi stivali di pelle di daino, sulle foglie croccanti sparse a mò di tappeto.
Getflok capì che quella voce era un segnale del dio Evos e tese la mente per sentirne il messaggio pronto a seguirne i consigli. Dal limitare del bosco dove si trovava gli occhi saettarono verso i lontani alberi di acacia, che crescevano sulle rive tormentate del fiume Tonante. Sì, aveva capito bene e conosceva quel posto anche se si trovava oltre i limiti delle terre Conosciute. Lo Sciamano s'avviò. La voglia di far contento il suo amico-fratello e fargli vincere quella tenzone gli metteva le ali ai piedi.
Getflok era il migliore costruttore di archi da caccia, perché conservava gelosamente tutti i segreti che gli aveva trasmesso suo padre, che a sua volta li aveva appresi anche lui dal padre e così via via, dagli antenati sin dagli inizi del tempo del loro Popolo.
Quando giunse in vista delle tormentate sponde del fiume, il sole stava facendo ritorno all'orizzonte, segno che doveva affrettarsi. Sapeva che una volta trovato l'albero giusto avrebbe trascorso la notte a realizzare il suo più bell'arco da caccia. Poi lo avrebbe donato a Tosit. Ma, in quel momento, il fido coltello forgiato con il ferro del cielo, prese a vibrare nella custodia appesa alla cintola e un attimo dopo disegnava l'aria con traiettorie impensabili, così respingere l'attacco di guerrieri Invisibili. Getflok si rese conto che i guerrieri appartenevano al Popolo designato dall'Eterno, affinchè custodissero il bosco ella Acacie Sacre e per un lunghissimo istante restò quasi paralizzato, finchè gli si avventarono contro, urlando ancestrali incitamenti. Davanti ai suoi occhi, rudimentali asce di pietra roteavano per l'aria, pronte a calare e colpire arti e testa, mentre coltelli di bronzo forgiato scintillavano minacciosi e assetati del sangue della vittima designata. Ma il suo pugnale lo salvò e Getflok si limitò a tenerlo stretto nella mano lasciando che i movimenti seguissero gli scatti dell'arma.
Un'arma dal potere immenso, come immenso era il cielo da cui si era staccata per cadergli proprio davanti ai piedi, con una rossa scia di fuoco. Era accaduto quando lui, ancora ragazzino, seguiva il padre per i sentieri della Montagna Sacra. Ricordava ancora lo stupore che l'aveva avvinto, il vecchio genitore si era voltato al suo grido di paura. Si era avvicinato alla pietra incandescente caduta dal cielo e dopo aver formulato a bassa voce il ringraziamento al dio scimmia Urak, il divino padre dei fabbri, aveva orinato su quella massa informe costringendo anche Getfloh a fare lo stesso. Poi aveva raccolto quella pietra del cielo tra le foglie e l'aveva riposta nella sua bisaccia. Al ritorno al villaggio si era chiuso nel capanno detto dei misteri, per due giorni e due notti luccicò di brace e risuonò di colpi. Al mattino del terzo giorno il padre sortì dal capanno con pugnale in mano e lo offrì al figlio Getflok, rimasto in attesa davanti al capanno dei misteri.
<<Tieni! Questa sarà la tua arma da oggi in poi, ma sarà anche la tua difesa. Gli dei ti hanno inviato un pezzo di metallo della cupola, che essi stendono in cielo ogni notte per coprire il mondo che dorme. Non te ne separare mai e la sua magìa ti aiuterà sempre>>.
Da allora Getflok aveva sempre portato con sé quel coltello sottile e lucente, più duro di qualsiasi altra arma di pietra, di rame o di bronzo e non se ne era mai separato. Ed ora, per l'ennesima volta, la magìa del pugnale lo stava salvando. Quando i primi guerrieri stramazzarono al suolo con profonde ferite. non mortali, inferte dal coltello intarsiato di simboli sciamanici, gli altri Invisibili si fermarono titubanti ed increduli e Getflok approfittò di quell'istante di tregua per urlare nel loro idioma incomprensibile agli uomini, ma che tutti gli Sciamani conoscevano. E i guardiani delle acacie sacre lo riconobbero: si prostrarono davanti a lui e cominciarono a gridare il suo nome, intonando nenie propiziatorie.
Getflok richiamò mentalmente la sua arma che con riluttanza, quasi fosse ragionante, rientrò nel fodero. Lo sciamano tranquillizzò gli aggressori e fece loro anche dono di alcuni unguenti, che custodiva nella sacca da viaggio, perché si curassero le ferite, poi adulò quegli audaci guerrieri per il coraggio dimostrato nel difendere il bene loro affidato: il Bosco. Così, poco dopo, si ritrovò ai piedi una fascina di rami d'Acacia ed un lungo ramo di Tasso già scortecciato. Poi, su un fuoco di bivacco mani esperte misero a cuocere della selvaggina e l'intorno si riempì di aromi antichi.
Quando il rito del pasto volse al termine, le ombre della notte avevano già preso possesso, mentre la Bianca Signora del cielo faceva capolino sopra il profilo buio delle colline, specchiandosi nel fiume Tonante.
Era ora di tornare. Getflok si alzò e fece il gesto sacro del saluto ai Custodi del bosco sacro, che in ginocchio, capo inchinato, aspettavano la sua benedizione. Poi lo sciamano si pose la bisaccia a tracolla e caricò sul dorso la fascina di rami d'acacia, stretta da cinghie di pelle e adattata per il trasporto sulle spalle. Al centro di essa spuntava più lungo il ramo di Tasso, dal quale avrebbe cavato l'arco magico per il suo amico.
Si voltò a guardare il Bosco Sacro e riprese la via del ritorno, guidato dalla bianca luna che stendeva veli di luce, a contornare il sentiero.
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