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Smarrimenti
Non sapere quando tutto e` iniziato quanto non sapere quando tutto e` finito.
Non sapevo quando tutto era finito perche` non sapevo quando tutto era iniziato.
L`inizio della fine, punti equidistanti di un cerchio teorico che ora non esiste, non esiste piu`.
Rimane un settimanale essere padre, lontano dalla quotidianita`, dal Rumore.
Rimane il meglio, il filtrato, in realta` rimangono le briciole, i resti, peraltro amabili.
Sul palcoscenico di un improbabile teatro compaiono improvvisamente due personaggi impossibili, necessariamente somiglianti, volutamente simili, incidentalmente diversi.
Paolo-che-non-e'-piu'-con-Laura si e' separato da Laura due anni fa, Paolo-che-e'-rimasto-con-Laura ha ritrovato la Laura che aveva sposato cinque anni fa e insieme hanno faticosamente traguardato a riva la barca del loro matrimonio, superando le bufere della vita, respingendo le sirene che incantano e abbandonano.
Il loro dialogo e' rigorosamente alternato.
Paolo-che-e'-rimasto-con-Laura
- Non avrei mai pensato di poterti trovare qui. Nello stesso momento insieme, intendo.
Paolo-che-non-e'-piu'-con-Laura
- Tecnicamente impossibile, diresti.
- Precisamente.
- Sei troppo rigido, legato a schemi fissi: non vedi mai oltre i limiti del dimostrabile, del riproducibile, intendo. Invece la realta' e' qui davanti ai tuoi occhi: io e te, noi, nello stesso istante, allo stesso tavolino di un bar che entrambi conosciamo. Di cui entrambi abbiamo fatto esperienza.
Pausa. Vengono loro serviti due caffe', uno macchiato caldo e uno ristretto.
Paolo-che-e'-rimasto-con-Laura
- Uhm, saranno passati gia'... due anni mi pare: com'e' senza Laura, adesso?
Paolo-che-non-e'-piu'-con-Laura
- Non sono mai "stato" con Laura. Eravamo sempre altrove, anche quando eravamo entrambi nella nostra casa, perfino nel nostro letto. Sempre altrove.
Siamo sempre state solo due persone che dividevano lo stesso spazio fisico, temporale e -raramente- quello emozionale. Non credo fossimo una vera coppia.
Sorseggia con cura il caffe' ristretto.
Paolo-che-e'-rimasto-con-Laura
- Il segreto credo stia nel ritagliarsi il proprio ruolo all'interno dello spazio familiare, la propria nicchia, evitando sovrapposizioni o lacune evidenti. Che l'altra persona ci sia realmente non importa veramente. Deve esserci quando il suo ruolo lo richiede: e' il copione delle apparenze che guida lo spettacolo. Null'altro, credimi.
Paolo-che-non-e'-piu'-con-Laura
- Hai trascurato te stesso e lei, in nome della Famiglia. E tutto per il grande tranello del "quieto vivere".
- Vorresti farmi credere che non ti manca neanche Sara.
- Sono sempre stato per la qualita' nei rapporti. Non necessariamente vivere il giorno e la notte di proprio figlio induce un rapporto migliore di quello che invece sono riuscito ad instaurare io, nella mia occasionalita' istituzionale.
- È la quotidianita' il vero impegno. Tutto il resto sono scorciatoie, soluzioni di comodo. Come con una donna che frequenti solo il sabato sera, dopo una doccia rigenerante, al riparo dalle tensioni, nella "campana di vetro" del weekend. Lei poi domani avra' gli occhi gonfi e tu la bocca tutta impastata, ma non vi incontrerete: impenetrabili solitudini.
Si alzano dal tavolino, Paolo paga il conto. Non sarebbe potuto essere altrimenti.
Sul palcoscenico le luci si spengono. Gli attori se ne vanno. I personaggi rientrano nel mondo. Il loro.
Arrivo al cancello di quella che una volta era stata la nostra casa. Mi corre incontro il cane che non ho mai voluto avere: non devo far altro che accarezzarlo, come, tra poco, con Sara.
Il cameriere la accompagna fuori dall'uscio, giusto fuori affinche' io non contamini l'aria dell'ormai loro casa, con i miasmi della mia presenza, indesiderata.
Ormai e' pronta, elegante, piccola come una settimana fa, impaziente come tra una settimana.
Filtrano i primi raggi del mattino, che ci accompagneranno mesti fino al parco.
È domenica, tutto e' affollato, tutto e' aperto, tutti sono con tutti. Ma dove sono io? Sara e' veramente con me?
L'approssimarsi del mezzogiorno estivo. Colori accesi, rumori assordanti, profumi intensi, odori penetranti. Il tutto mi distrae, mi rapisce, sospende la mia attenzione, allontana la mia mente dall'istante, da un presente al quale comunque non sarei autorizzato a partecipare, al quale non sono più invitato, anzi palesemente indesiderato.
Galleggio mentalmente in una dimensione di silenzio, di colpevole assenza, indiligentemente assuefatto all'assenza.
E, in un istante, Sara scompare. Scende il buio sull'accecante luce del mezzodi', inonda il silenzio la pianura delle vocianti grida, l'istante stesso si blocca e con esso il tempo: il suo trascorrere si incatena, nelle anse dell'eterno si arena, crudelmente con dolcezza.
Allucinazioni che si confondono tra le grida estatiche dei bimbi, sale la disperazione con incostante gradualita', blocca il respiro, cancella lo stomaco.
Dov'e' Sara. Dov'era Sara. Vorrei che fosse ancora una domanda.
Tra visi neutri, annoiati, impazienti il mio stride, acceso, impazzito, aperto innaturalmente alla ricerca, meta agognata, invisibile.
Il mio essere fantasma in mezzo ai genitori reali, il mio essere che vedo correre senza logica, il mio fantasma che scorre sul tempo che inesoribile scorre sulla mia pelle fredda, sudata, affannata, sofferente.
Desidero che ogni ciuffo biondo di capelli che spunta dai giochi senza sosta sia il suo, che ogni piccola voce il cui timbro supera le altre sia la sua. Prego che ogni bambino che incontro sia Sara.
In mezzo a segnaposto umani scorre la mia fretta, impazzisce il cuore alla vista di un brandello del suo vestito, irrompe il leone che sopito dentro di me da troppi anni cercava una vera ragione per uscire allo scoperto, per vendicarsi di cio' che troppo aveva, di quello che troppo mancava.
Non so se e' sangue su quel piccolo pezzo di vestito, non so se e' ancora sangue quello che scorre nelle mie vene, che calde scoppiano aggressivamente alla ricerca di un senso. Che tutto abbia un senso.
Potrebbe essere stato chiunque, che ora magari con folle noncuranza ostenta indolenza o che con rimorso abbraccia l'Inferno, chiunque con un corpo maledetto.
Raggiungo stremato la piccola infermeria del parco, cio' che assomiglia al suo pianto, non più del tutto familiare ma caro nella memoria di allora, mi regala una speranza, in un istante desidero che tutto si fermi in quel momento, estasi dove non credevo potesse esistere estasi: il pianto e' il pianto di Sara. Della mia Sara.
Forse e' anche il pianto di Laura, di quelle sere, di quei giorni soffocati dove decidevamo di non vivere. Non regalatemi solo lacrime.
Sara si era solo ferita ad un ginocchio dopo essersi allontanata da me. Qualcuno, qualche altro corpo, ubriaco di innocenza, l'aveva soccorsa e portata in infermeria, non l'aveva tradita, ancora.
I demoni si erano allontanati. Da me, da lei, da noi.
Accaldata, sporca, profumata di disinfettante, la accolgo tra le mie braccia, la rimetto nel mio mondo a termine, solo fino alle sette. Ecco Papa'. Il suo sorriso e' la somma di tutte le gioie del mondo, i suoi occhi sono l'insieme di tutte le luci del mondo.
Ritorniamo al cancello della sua casa. Mi corre incontro il suo cane e il suo cameriere al quale la riconsegno, spossato e riconoscente.
Un bacio veloce per salutarla.
Si agita furtivamente la tendina della cucina che da' sull'esterno, un uomo, un altro uomo, controlla che tutto si svolga secondo l'ordinanza del giudice.
"Corri da papa'" le sussurro. Game over.
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