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L'operazione
Sento il mio corpo cadere. Il buoi attorno a me. Non so dove mi trovo, non so verso cosa sto andando incontro. Sento solo la forza di gravità che mi attrae verso qualcosa di ignoto. Muovo disperatamente le braccia alla ricerca di qualche appiglio, ma le mie mani afferrano solo aria.
Apro gli occhi improvvisamente. Era solo un incubo. Sono intontito, come se un grosso peso gravasse sulla mia testa. La vista è ancora annebbiata, ma poco a poco le forme si fanno più definite. Vedo le pareti bianche, lo spartano tavolino accanto al letto con sopra posato un libro, sento l'odore tipico degli ospedali. Ora ricordo.
Mi sono appena svegliato dall'anestesia, dopo aver subito un intervento chirurgico, nulla di grave, solo una comune appendicite, un'operazione che per un chirurgo esperto è solo un normale lavoro di routine.
Mi stropiccio gli occhi e cerco di mettermi a sedere. Un forte dolore mi percorre la testa nel momento in cui cerco di alzarmi. Capisco che forse è meglio restare sdraiato.
Mi gira la testa. Porto istintivamente una mano verso la fronte, forse sperando di riuscire a fermarla, e mi accorgo di avere la testa fasciata.
Vedo un tubicino uscire da sotto un cerotto applicato al mio braccio, lo seguo con gli occhi e noto che è collegato ad una sacca per metà piena di un liquido. Immagino l'ago della flebo conficcato nella mia pelle.
La porta si apre e compare una donna corpulenta con indosso pantaloni e camice bianchi. Osservo la sua faccia da pitbull e stimo che dovrebbe avere circa cinquanta anni. Le rughe sulla sua fronte e attorno alla bocca indicano che su quel viso sono apparse più spesso espressioni di rabbia e di insoddisfazione piuttosto che sorrisi. Se ne avessi la forza sorriderei nel pensare a quanto è distante dal mio immaginario di infermiera: una bella e giovane ragazza che con il suo sorriso rassicurante è in grado di rendere piacevole il soggiorno dei degenti. Evidentemente non sono dentro un film.
L'infermiera si avvicina al mio letto e controlla la flebo. Poi solleva il lenzuolo e getta un'occhiata all'altezza del mio bacino. Intuisco di avere un altro tubo collegato al mio corpo tramite una parte molto più sensibile del braccio.
"Bene, vedo che si è svegliato" ringhia il pitbull "vado ad avvisare il dottor Cosmi".
Il dottor Cosmi? Penso tra me e me. Mai sentito nominare.
Chiudo gli occhi e cerco di rilassarmi. Sento la testa pesantissima e mi domando se non sono stato investito da un TIR mentre venivo portato in sala operatoria.
Dopo un periodo di tempo al quale non riesco a dare un'esatta durata vedo avvicinarsi un uomo brizzolato, la cui altezza è nettamente superiore alla media, o almeno così mi sembra.
Si china su di me con un'aria seria e professionale e punta i suoi occhi grigi sui miei. Poco dopo vengo accecato dalla luce della piccola torcia che ha portato con sé.
Il dottore accenna un mezzo sorriso che evidenzia quanto poco sia abituato a ridere. "I suoi riflessi sembrano ottimi, signor Righi. L'operazione è andata bene. Ma dovremmo fare qualche esame per vedere i risultati."
Lo guardo con un'espressione confusa. "Signor Righi? Credo ci sia un errore, io mio chiamo Paolo Pagliano."
Il dottore aggrotta la fronte e mi guarda con un'aria tra lo stupito e il preoccupato. "Credo che lei sia in uno stato di confusione post-operatoria. Si riposi ancora qualche minuto. Torneremo sull'argomento più tardi."
Quasi non riesco a credere alle mie orecchie. Mi faccio trasportare dall'emotività e cerco di tirarmi su per rispondere al dottore. Una fitta mi attraversa la testa e blocca sul nascere ogni mia obiezione.
Il dottore mi posa una mano sul petto trattenendomi delicatamente e invitandomi così ad evitare un secondo tentativo che d'altra parte i mi guardavo bene dal fare.
"Stia calmo, ha bisogno di riposo. Ne riparleremo in seguito".
Si volta e fa un cenno di richiamo a qualcuno. Un'infermiera si avvicina al tubo della flebo e inserire l'ago di una siringa nell'apposito spazio ad essa riservato.
"Cosa sta facendo" biascico.
L'infermiera non risponde. Si limita ad estrarre l'ago e ad uscire dalla stanza in compagnia del dottore.
Poco dopo sento le mie palpebre farsi pesanti e capisco che Morfeo mi stava aspettando di nuovo.
Riapro gli occhi lentamente. La luce che penetra tra le mie palpebre mi fa quasi male.
Vedo un'ombra nella stanza. Cerco di mettere a fuoco.
Mi sento ancora più intontito di prima, chissà per quanto tempo ho dormito.
Una donna. Capelli lunghi, castano chiaro. Avrà circa 35 anni. Sembra bella, anzi, lo è.
Mi sorride. Vedo i suoi denti bianchi e regolari, un bel sorriso, dolce, ma leggo preoccupazione nei suoi occhi.
"Ciao caro, come ti senti? Ho parlato con il dottore. L'operazione è andata bene. Dovrei essere fuori pericolo, ma vorrebbero tenerti sotto osservazione ancora per qualche giorno in modo da scongiurare ogni dubbio."
Vorrei chiederle chi è. Vorrei sapere perché mi chiama "caro", perché è qua, perché è così preoccupata per me, perché il dottore le ha fornito informazioni sul mio stato.
Vorrei anche chiederle perché dovrei essere fuori pericolo e perché devo essere tenuto sotto osservazione. Forse durante l'operazione si sono resi conto che il mio non era una comune appendicite, forse nascondeva qualcosa di più grave.
Decine di domande alle quali decido di non dar voce. Sono troppo stanco, troppo confuso.
Mi sforzo di sorridere e mi limito a sussurrare "Bene".
Lei mi afferra una mano e la stringe dolcemente.
"Andrea mi ha chiesto di te. Mi domando se sia il caso di portarlo in questo luogo. Potrebbe impressionarsi. Magari quando ti sarai ripreso un po', potrei portarlo con me. D'altra parte anche a te potrebbe giovare vederlo."
Andrea... Un altro nome che non trova riferimenti nella mia memoria. O meglio, conosco molti Andrea, ma da come ne parla sembra essere un bambino. Forse suo figlio.
Mi limito ad annuire, ma anche questo semplice gesto mi provoca un dolore tremendo alla testa.
Certo che lei è proprio bella. E anche dolce. Vorrei sapere il suo nome, ma non posso chiederglielo. Lei sembra sapere tutto di me, sembra realmente preoccupata per me. Non posso rovinare tutto chiedendole il nome.
L'anestesia crea stati di confusione mentale. Ma come posso essermi dimenticato di lei, di questo angelo?
Ecco, per il momento la chiamerò Angela.
"Ora vado. È meglio che tu riposi ancora un po'."
Si china su di me e mi dà un rapido bacio sulle labbra.
"Passerò più tardi. Ora riposati, Massimo"
Massimo?
Nella mia mente si crea ancora più confusione.
Che mi abbia scambiato per qualcun altro?
Magari è una paziente del reparto di malattie mentali. Potrebbe essere una schizofrenica o qualcosa del genere.
Oppure potrebbe essere una ladra. Avrebbe potuto introdursi in camera mia per derubarmi e, colta in flagrante, mi ha intontito con le sue parole approfittando dello stato di confusione post-operazione.
No, la sua preoccupazione era autentica. E poi cosa avrebbe potuto rubarmi?
Istintivamente mi giro verso il comodino. Vedo il mio portafogli.
Con uno sforzo mostruoso riesco a spostarmi sul lato destro del letto. Raccolgo le energie e allungo il braccio. Le mie dita sfiorano il cuoio del portafogli. Ancora un piccolo sforzo. Ecco, ce l'ho.
Lo porto a me e lo apro.
I soldi ci sono. Il bancomat e la carta di credito anche. Guardo meglio le carte. La banca che le ha emesse non è la mia.
Leggo il nome sulla carta di credito: Massimo Righi. Righi. Lo stesso nome menzionato dal dottore. A quanto pare hanno fatto confusione con i documenti. Spero solo di non essere stato operato al suo posto.
Sfilo la carta di identità e la apro. Sono curioso di vedere questo Massimo.
I miei occhi si posano sulla foto e si spalancano per lo stupore. Massimo Righi è uguale a me. È il mio sosia.
Cosa sta succedendo? Possibile che due persone identiche siano state ricoverate nello stesso giorno? Inoltre, è possibile che per un errore siano state scambiate? Quante probabilità ci sono? Credo sia più probabile essere colpiti da un meteorite subito dopo aver vinto al Superenalotto.
Osservo di nuovo la carta d'identità. L'uomo della foto è uguale in tutto e per tutto a me, compreso il taglio di capelli.
Leggo i dati riportati sul documento. Il mio stupore si fa ancora più grande quando scopro che è nato nella stessa città in cui sono nato io e per di più lo stesso giorno.
La residenza invece non coincide, abitiamo nella stessa città, ma in due vie diverse. Inoltre, io sono celibe mentre lui risulta essere sposato. Immagino quindi che Angela sia la moglie di Massimo e che Andrea sia il loro figlio.
Una strana sensazione si impadronisce di me, è un misto di confusione, paura, ansia. Il cuore batte veloce nel mio petto, la testa mi fa ancora più male, temo che possa esplodere da un momento all'altro.
Probabilmente sto sognando. Rimetto il documento nel portafogli e lascio cadere quest'ultimo a terra, mi sento troppo debole per posarlo sul comodino.
Mi stendo e chiudo gli occhi.
Mille pensieri si affollano nella mia mente. Vorrei piangere, ma sono troppo debole persino per quello.
Cerco di mandare via le mille domande che mi assalgono e chiudo gli occhi. Voglio dormire, anzi, voglio svegliarmi da questo incubo.
Delle voci mi destano dal sonno nel quale ero nuovamente caduto. Apro gli occhi, sperando di trovarmi in una stanza diversa, di vedere volti noti e, soprattutto, di aver riacquisito la mia identità.
Davanti a me c'è il dottore brizzolato. Sta parlando con Angela.
"Eravamo incerti se svegliarti o meno" mi dice Angela, con il faccia il solito sorriso che cerca di nascondere preoccupazione.
Riorganizzo i miei pensieri e raccolgo tutte le mie forze per porre la domanda che ho scelto tra le mille che mi sono balzate in mente. La voce fatica ad uscire un po' per la stanchezza per provo un po' perché ho paura di chiedere.
"Dottore, c'è stata qualche complicazione durante l'operazione?"
"No, nessuna complicazione. La sua è stata un'operazione delicata, ma siamo comunque riusciti a rimuovere il tumore, apparentemente senza lesionare il cervello. Tuttavia, come le ho già precisato, preferiamo tenerla ancora un po' sotto osservazione. Il cervello umano è molto complesso e dobbiamo effettuare alcuni test per essere certi di non aver causato danni permanenti."
Le parole del dottore rimbombano nella mia mente. Continuo a ripetere mentalmente le parole tumore, cervello, complicazioni, senza tutta via riuscire a formulare un pensiero concreto.
"Tesoro, qualcosa non va?".
È la voce di Angela a destarmi da mio stato di torpore.
Non so cosa fare, non so cosa dire.
"Dottore, io temo di essere tremendamente confuso. Ricordo di essere stato ricoverato per a causa dell'appendicite e lei ora mi parla di tumore al cervello. Cosa è successo? Quando vi siete accorti del tumore".
Angela e il dottore si scambiano uno sguardo perplesso. Leggo preoccupazione nei loro volti, soprattutto in quello di Angela dal quale è sparito improvvisamente il sorriso.
Il dottore sospira e cerca le parole.
"Signor Righi, la sua appendice sta benissimo. Un mese fa e è stato diagnosticato un tumore maligno nella regione frontale del cervello e abbiamo ritenuto opportuno intervenire al fine di esportarlo chirurgicamente."
Cosa mi stava succedendo? Mi sembrava di essere intrappolato in un incubo dal quale non riuscivo a svegliarmi. Per un attimo ho persino pensato di essere vittima di uno scherzo, una versione crudele di candid camera inventata da qualche sadico produttore televisivo preoccupato più dell'audience che dei sentimenti delle persone.
"Dottore, io... Io credo ci sia stato un grave errore. Io mi chiamo Paolo Pagliano e dovevo essere operato di appendicite. Probabilmente c'è stato uno scambio di persona. Voi... Voi dovete verificare! C'è stato un errore. È un errore. Avete operato la persona sbagliata."
Angela scoppia a piangere.
Il dottore mi guarda con un'espressione tra il preoccupato e il pensieroso. Non dice nulla per almeno una decina di secondi. Poi finalmente mi espone il suo punto di vista.
"Le posso assicurare che non c'è stato alcun errore. Dovremo fare alcuni accertamenti per capire se il suo è solo uno stato confusionale temporaneo oppure se durante l'operazione abbiamo leso l'area della memoria. Ad ogni modo credo che sia meglio che per il momento riposi. Le manderò un'infermiera".
La mia presunta moglie ha nascosto il viso, ma intuisco che stia ancora piangendo.
Il dottore le mette una mano sulla spalla e la indirizza verso la porta, seguendola.
Poco dopo sento dei passi. Il pitbull entra con una siringa in mano.
Che cosa sta accadendo? Sono forse impazzito? Durante l'operazione hanno leso il mio cervello e così ho inventato una vita parallela? Ho sentito parlare di casi di perdita di memoria, ma io ricordo perfettamente la mia vita prima di entrare in questo ospedale. Ricordo il mio ufficio, i miei colleghi, gli studi che ho fatto, il mio primo bacio, la prima volta che ho fatto l'amore durante quella vacanza al mare con gli amici. Ricordo i mio padre, mia madre e il sapore delle sue lasagne. Ricordo il mio appartamento, il modello e colore della mia auto e l'assicurazione che sta per scadere. Ricordo Barbara, la ragazza che sto frequentando ormai da un paio d'anni, ricordo il suo odore e i discorsi sul fatto di andare a vivere assieme. Possibile che abbia inventato tutto?
Poi il buoi.
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