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Il buffone
Io sono un giullare. Come? Sì esatto, un buffone. Ma non solo! Sono artista, musicista, menestrello, sognatore e fantasista sotto ogni centimetro della pelle. Sono quel genere di persona che non ha nulla e ha tutto. Che non vive per se stesso ma vive per gli altri. Che sogna storie e immagini luminose come stelle e le racconta a tutti coloro che hanno voglia di abbagliarsi e di sentire gli occhi lucidi. Mi piace saltellare da uno sgabello a una sedia su un piede solo, strimpellare la cetra prima con furore poi con delicatezza, urlare a squarciagola e poi abbassare il tono di voce come se avessi messo la testa in una botte! Ogni oggetto, ogni sensazione, ogni idea, è per me uno stimolo che si trasforma in magia. Un po' come i fiori. Riuscite a spiegare la meraviglia di un bocciolo che improvvisamente si trasforma in fiore? Ecco. Per quanto io non abbia lo stesso profumo (e credetemi, a viaggiare quasi tutti i giorni, non profumo affatto!), cerco di riproporre quella magia con tutto il corpo.
Ho imparato da solo ogni arte che potesse permettermi di agitare tutti i muscoli a scapito di un sorriso, semplicemente osservando e analizzando. Il cammino mi ha condotto da un paese all'altro cantando storie ai fornai la mattina presto, ai giovani bambini delle piazze mercato, ai costruttori delle grandi cattedrali che salivano piano piano nel cielo come a volerlo toccare. Le voci correvano di paese in paese. Mentre cavalcavo il mio piccolo asinello sentivo in lontananza qualcuno che urlava "Arriva il cantastorie!", "Eccolo il buffone!", oppure "Si si è proprio lui! È arrivato!". E ogni volta era un'entrata trionfale. Ho seguito così il flusso della vita fino all'ultimo giorno. Fino a oggi.
Dovete sapere infatti che con fatica e sudore ero riuscito finalmente a diventare giullare di corte in un regno del Nord. Una sera, mentre tornavo dalla solita serenata alla locanda, la strada verso casa mi parve diversa, più lunga, e intrapresi una scorciatoia. I passi diventavano sempre più affrettati, forse per freddo o per paura, e si bloccarono di colpo nel fango fetido quando vidi alcune fiammelle tremolare in lontananza. Avvicinandomi presi posto dietro una grossa quercia e osservai uno spettacolo raccapricciante, proprio a fianco del muro esterno al camposanto. Uomini, o quello che ne rimaneva, erano impalati su quattro angoli di un quadrato immaginario. Il sangue che colava dai loro corpi si seccava sulle loro vesti e inondava i loro occhi sbarrati. Al centro del macabro disegno due cavalieri tenevano una donna per la testa e i piedi. Un terzo, coperto in volto e dalla diversa tunica, sgargiante e di tono regale, sfoderò il suo membro e abusò della femmina con rabbia e dolore. Le urla della donna era cosi forti da perforare i timpani. Volevo intervenire, ma quelli erano i cavalieri del Re. Come potevo oppormi a loro? Io sono solo un giullare, niente più. Trattenni il respiro coprendo la bocca fino al culmine dello stupro. Quando poi finalmente l'uomo ebbe finito, sobbalzai nell'accorgermi che stava estraendo un lungo pugnale. Voleva ammazzarla. La donna, nonostante il dolore, chiedeva pietà e a quel punto scelsi di affidarmi all'unica cosa che mi riusciva bene. Essere un buffone.
Saltai fuori dal nascondiglio nella calzamaglia stretta e ormai era rattoppata ovunque, incollata alla pelle madida di sudore. Gli occhi puntarono subito tutti su di me. Cominciai a strimpellare la cetra canticchiando un movimento leggero, provando in tutti i modi a essere tranquillo, ma la voce tremante mi tradì e i cavalieri puntarono le spade. Continuai il motivetto più a lungo che potei, cercando di dare alla donna il tempo per fuggire e mettersi in salvo, ma se i cavalieri cominciavano ad ascoltarmi per puro interesse, l'uomo dal volto coperto restava immobile senza dire nulla. Fece qualche passo verso di me e si tolse il cappuccio che teneva in testa.
In quell'istante compresi il mio destino, come una goccia di colore che cade sulla pergamena, rovinando il lavoro di ore e giorni, di una vita forse. La cetra scivolò e un leggero tremolio mi invase la schiena quando riconobbi il volto del Re che digrignava i denti. Cercai in tutti i modi di distrarlo, con suoni, canzoni e balli, battute, flatulenze e volgarità. Niente. Re Massimo restava immobile. Poi finalmente porse una mano sulla mia spalla e ordinò qualcosa ai cavalieri. Non ricordo molto di quello che disse loro, se non l'ultimo fiato. La botta in testa arrivò con forza tale da gettarmi al suolo in un solo secondo, proprio nel momento in cui scorsi l'ultima parola del Re. Giustiziatelo.
E così eccomi qui. Il mento poggia sul tronco di legno. Il collo è tenuto fermo da due catene che tirano verso il basso. Al fianco sinistro un uomo incappucciato tiene poggiata sulla spalla un'ascia dall'aspetto poco rassicurante. E davanti una piazza intera colma di gente. Nessuno può mancare quando qualcuno viene giustiziato. Non posso di certo lamentarmi di tutto questo. Anzitutto perché sono stato bravo a raccontare una nuova storia addirittura in punto di morte; poi perché mi è permesso osservare i volti di tutti coloro che sono qui per me. Leggo i loro occhi, le loro labbra mentre discutono, le loro mani sfregarsi per la tensione, il freddo, l'agitazione. A tutti loro ho lasciato qualcosa, nel bene o nel male. Finalmente ho la certezza di sapere da sempre il senso della mia vita. Questo. Lasciare un impronta. Forse non in tutto il mondo, forse non nella storia di tutti, ma sicuramente nel cuore di chi ha voluto. Si, perché tutti loro di me porteranno un ricordo, una canzone, una storia o una musica. La mia arte li ha avvolti in un abbraccio degno di una madre, e così è stato per le tutte genti incontrate sulla strada nel corso degli anni passati. Quando si accorgono che non ho paura e che li sto osservando con una certa commozione, questi rispondono al mio sguardo con leggeri cenni del capo, piccoli e deboli sorrisi, qualche lacrima. Smuovo leggermente la testa, faccio una pernacchia ai bimbi in prima fila e canticchio qualcosa agitandomi per quanto mi è possibile da questa posizione scomoda. E intanto l'ascia cade pesante su di me.
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