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La televisiun la t'endormenta cume un cuiun. (Breve storia della Tivù)
Tre gennaio 1954. La Televisione entra nella nostra vita.
Prima nei bar, nei circoli, nei dopolavoro. Poi nelle case. Spesso quelle dei vicini. Così come il cinema, la televisione ha un suo specifico: la diretta. Non tutti se ne accorgono. In genere si guarda senza consapevolezza. Sembra un piccolo cinema. Un'altra lanterna magica. Un altro modo di stupirci. Un altro modo di narrare.
Di raccontare mostrando. Di guardare il mondo non visti. Tutto filtrato in bianco e nero.
Non si fa caso più di tanto ai generi. Si assiste passivi allo spettacolo che va in onda. Con occhi un po' ingenui. Di bambini. Tutt'al più si partecipa tifando Longari e Nazionale. L'Italia tutta si stringe attorno al Giro. Sanremo diventa Capitale.
Si piange per La Cittadella. Si ammutolisce per la morte di Kennedy. Ci si dispera
per Vermicino. Ma nulla più. Tutto in famiglia.
La TV cresce. Noi con lei. Lei si diffonde. Noi procreiamo. Anche se, da quando c'è lei in tinello, in modo meno casuale. A volte ci insegna. Noi impariamo. Un po' nonna. Un po' mamma. Un po' balia. Un po' maestra.
Arriva il giorno che anche i fiori fanno figli. Poi soffia il'68. Sempre più forte.
E corrono i giovani ribelli. Corrono i colletti blu.
Un piede sulla terra, un'orma sulla luna. La testa tra le nuvole. Il cuore oltre
lo steccato. La Televisione è spesso là dove serve.
Arrivano i '70. Fischiano le pallottole. Fischietta l'ultimo garzone del fornaio.
Sono solo canzonette. Il decennio finisce in tragedia. La Televisione è testimone.
Ma l'etere è un territorio grande, immenso, sconfinato. E c'è chi pensa di sfruttarlo per benino.
Arriva al trotto. Ha in testa pochi capelli ma un'idea meravigliosa. Alle spalle,
una vita spericolata. Al suo fianco, la politica. In petto, un ego straripante.
Parla di audience, share, format e vattelapesca. Cavalca il colore. E ci introduce
al mondo dell'abbondanza. Al Paese di Bengodi.
Elargisce ad ogni ora, a piene mani: sogni, illusioni, denaro. Svolge una funzione sociale, fornendo alla casalinga frustrata un'alternativa alla bottiglia del Fernet. Scalza a poco a poco la famiglia, minaccia la scuola. Condiziona la mente di intere generazioni. Inizia la partecipazione di massa. Apre le porte di studi, trasmissioni, programmi ai diseredati.
Inaugura il Sogno Italiano. Strizza l'occhio alle signore Maria, ragionieri Rossi, apiranti Elvis e veline in erba di tutta Italia. Recupera e fidelizza vecchie glorie
sul viale del tramonto. Plagia frotte di imprenditori, grandi e piccoli, garantendo
ai loro prodotti le Luci della Ribalta televisiva.
Zitto zitto, l'uomo a cavallo acquista riconoscenza, accumula consenso, e una corte da far invidia al Re Sole. In gran parte leccapiedi, psicolabili, donnine allegre, opportunisti e mediocri arrivisti. Combatte il monopolista; frena la concorrenza, infiltrando ovunque quinte colonne; fa man bassa del mercato della pubblicità. Inizia la gara degli ascolti. Inizia il processo di omologazione dei programmi. Dove si osa sempre di più. Si gioca a superarsi. Andare oltre. Sempre più giù. Calpestando tutto. Valori, credenze, tradizioni, insegnamenti, etica, dignità, decenza, buongusto e buonsenso. E noi partecipiamo passivi, acritici, col sorriso sulle labbra. Corriamo
a tutta velocità, ebbri di etere. Finalmente abbiamo un modello da seguire!
Attraversiamo d'un sorso la Milano da bere e via! Verso nuove avventure.
Da osservatorio del mondo, la Televisione diventa lentamente l'occhio del Grande Fratello. Spia le nostre abitudini, i nostri tick, le nostre debolezze, i nostri vizi,
le nostre case. Fruga nel nostro corpo e nella nostra mente. Entra in sordina, addormenta l'emisfero sinistro, presidia e blandisce quello destro. La televisione
ci guarda! Noi che guardavamo non visti il mondo scopriamo - con disappunto- che il mondo guarda noi. Mentre una voce ci grida: è Sua Emittenza, bellezza! E un'altra, più flebile, ribatte: è davvero ciò che merita un Paese civile? E tu ti chiedi: è questa la società che immaginavo da ragazzo?
C'è un uomo solo al comando: purtroppo non è Fausto Coppi. L'Italia si sfascia. Lingua e Televisione non possono più tenere insieme i cocci.
L'uomo a cavallo ha innescato il processo che ha fatto degenerare non solo le sue Reti- e passi - ma sta mutando geneticamente anche le nostre. E questo non può passare!
Il cavallerizzo vuole cavalcare - senza averlo pagato- anche il cavallo di Via Mazzini. Bisogna fargli capire che non è roba sua.
Che la Rai torni ad essere servizio pubblico, e non semplice ripetitore di Mediaset. Se proprio smania, suggerisce un bambino, cavalchi un dondolo!
Dopo essermi permesso di citare i versi di Jannacci, ricordo l'esortazione di Howard Beale, in Quinto Potere, che invita ad aprire le finestre e gridare : sono incazzato nero, e tutto questo non lo tollererò più!
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