racconti » Racconti amore » La Leggenda di Primo
La Leggenda di Primo
Scendeva la notte sul villaggio, ma le luci a festa confondevano la Luna, che ancora credeva nel cielo il carro del Sole.
La notte più attesa dell'anno qui nel Regno di Esen ga,
e tra antiche tradizioni e canti popolari si rendeva omaggio e Festa alla vita ed alla Sua rinascita, alla prosperità e alla Buona Sorte.
Intorno ai mille fuochi che come stelle si accendevano intorno all'unica Torre del castello, dito puntato verso il cielo, quasi a reclamarne le attenzioni, si radunavano,
dopo ricche libagioni che sciolgon lingue e mescolano le parole, vecchie e nuove generazioni, quasi a ricordar il ciclo eterno della vita Che mai si spezza ma solo si rinnova.
Usanza era raccontar storie alle giovani menti curiose dei piccoli, rumorosi e indisciplinati intorno al fuoco, come natura vuole, ma silenziosi alle prime strofe del racconto quietavano gli ardori e sedevano vicino il più possibile al vecchio narratore.
"un tempo che fu, molto molto lontano, che ancora capanne di paglia erano il ricovero delle nostre genti, e che scarne giovenche muovevano il suolo per le sementi, prosperità e serenità che dormono insieme a Noi da molti lustri, erano ahimè ostili al villagio e alle sue anime"
Così esordì nel suo racconto l'uomo che tutti chiamavan Primo, forse per la veneranda età che non conosceva eguali tra i monti e per le valli della Contea, forse per meriti di passate gesta perse ormai nella memoria del tempo.
Il silenzio aveva già avvolto l'allegro convivio, e zittito pure il fuoco, e ora tutto e tutti sembravano aspettare quella storia, di cui seppur già note erano le parole, le origini e la stessa fine, ancora destava l'attenzione,
e la stessa curiosità del garzone al primo giorno di lavoro in bottega.
"Il nero deserto di sabbia e rocce affamato di nuove vite, rapido avanzava verso i confini del Regno, ingoiando avido Rivoli, e poi ruscelli, bevendo fiumi interi mai pago o sazio, colorando il paesaggio di arida oscurità,
colori tetri di morte coprivano le verdi e rigogliose vallate, e i rami degli alberi ancora conserti in segno di preghiera al cielo seccavano cadendo al suolo.
Moriva la Madre terra con i suoi frutti, e con essa i figli suoi.
Prima quelli più fragili, il cui canto annunciava le albe, o i nuovi venti del Nord, poi quelli più rumorosi che razzolavano ingordi nelle aiuole affollando i recinti del villaggio, e la tavola all'ora del vitto.
La stessa paglia tetto sulle nostre teste soffriva al calore del deserto che avanzava Passo dopo passo, valle dopo valle.
I saggi del popolo, esaurite le ultime preci e le speranze, decisero la Fuga, spostare le anime altrove, lontano dal paesaggio vuoto e spoglio, che altrove costringeva..
Ma quella scia di genti, piccole formiche agli occhi del falco che ne seguiva le sorti, appesantita dalla fame, e dalla sete, e da quel che del villaggio ognuno portava con sé,
ad ogni sorger del nuovo sole pareva più scarna, esile, sottile, che molti, prima i vecchi e poi i malati, e quindi i figli, ed il futuro di cui erano messaggeri, non reggevano il passo del Nulla, che li avvolgeva consumandone le forze e gli ultimi respiri.
Qualcuno si diresse verso il grande Mare, per cercar riparo tra le onde salate, ma l'Oceano non ebbe pietà di chi non sente figlio o suo suddito: pastori o agricoltori non ne conoscevano i segreti perigliosi, e caddero tra le sue profonde lingue al primo soffio di tempesta.
I pochi restanti stretti in abbracci sempre meno avvolgenti proseguivano stancamente alla ricerca della Terra prospera, che la Leggenda voleva laddove Sole e Luna si affrontano quasi guardandosi, per lasciare l'unico cielo all'uno o all'altra.
Alla fine del viaggio, nella cima più alta del monte dove sorella Luna si nasconde, a volte intera a volte solo un po', giunsero dei mille solo due, retti dall'unica forza che non conosce fame o sete, né lo scorrer del tempo avanti a sé.
Due giovani fanciulli, nel pieno della vita, quando ancora i sogni si agitano frequenti, ed il futuro non è che un mondo lontano, mano nella mano, uniti come le radici al suolo, e non ancora vinti dal lungo viaggio,
giunsero ai piedi di un'enorme porta, così alta che nubi di latte ne celavano la cima, retta da 2 colonne di marmo possente e riccamente intarsiato.
L'accesso era sbarrato da 2 guerrieri di pietra, erti di fronte all'ingresso, monito per chi si volesse avventurare oltre.
I due amanti, sempre teneramente stretti, più affascinati dalla maestosità di quell'opera, che dal Timore dei custodi di pietra, senza lasciar fuggir parole dalle labbra aperte e attente come gli occhi persi verso l'alto, si avvicinarono alla porta.
Il custode gli bloccò allora il passo, sguainando una spada il cui solo manico era grande più delle due esili e ora timorose figure.
"Uno solo passa, e colui il quale mostrerà di conoscer la vera essenza dell'Amore"
Monito possente come la pietra che li forgiava uscì contemporaneamente dai due guerrieri, ed un sobbalzo di paura assalì facendo indietreggiare i 2 giovani.
La donna per prima si fece coraggio, fermò con un laccio i neri capelli che il vento dispettoso le arruffava sul volto, e sugli occhi suoi pieni di luce, e, come maestra parla agli alunni il primo giorno di scuola, fiera e risoluta, ad impartir la lezione di cui ella stessa ogni giorno vive, così cominciò:
"L'Amore... è Tutto.
il pieno ed il vuoto,
È il caldo, e il freddo,
luce e buio,
pioggia e sole,
la gioia ed il dolore,
la malattia e la sua cura,
sospiro e affanno,
parole e silenzio,
speranza e immaginazione, desiderio
leggero, piuma, violento, uragano, istinto
coraggio e paura, sconvolgente
inizio e fine,
rimedio alla morte e alla sua fine,
L'Amore è vita.
Ricchezza e privilegio,
acqua di fonte pura e trasparente, non disseta,
dono prezioso, miracolo
atteso ma improvviso..."
Il ragazzo non nascondeva l'umida emozione nel sentire quelle parole, melodia soave
che il cuore suo sentiva dedicate proprio allo stesso Amore germogliato da tempo per Lei.
Ma il Guerriero in silenzioso ascolto di quell'accorata e vissuta descrizione non muoveva un passo e fermo dinnanzi all'ingresso si parava, bloccandone ogni passaggio, dell'aria stessa.
Il ragazzo non avrebbe descritto l'Amore in maniera più completa, ma di sicuro il suo petto gonfio di sentimento avrebbe tracimato parole altrettanto toccanti, e se avesse avuto uno specchio con se avrebbe riflesso la sua immagine stessa pur di descrivere l'Amore.
Uno dei due amanti soltanto avrebbe avuto il passo, e con esso la vita al di là della porta, e così, prese un ampio respiro e disse:
" Io dell'Amore nulla so,
mai si è posato sulle mie labbra,
ne ho mai udito il cadenzato ritmo uscir dal petto,
e se mai avrò fortuna e privilegio di udirlo bussar all'uscio,
le mie parole non saprebbero accoglierlo
come quelle che or ora Gli hanno reso degno omaggio"
Nell'udir queste parole, i due giganti di pietra si spostarono improvvisi di lato, inginocchiandosi in segno di reverenza, come al passaggio di re o regine, lasciando dietro di se il pesante portone aperto al passaggio.
I due giovani non ebbero tempo di meravigliarsi di quanto il buon fato gli pareva donare e corsero insieme al di là di quel passaggio, veloci, rapidi senza voltarsi indietro, felici, gioiosi, di aver superato quell'ultima prova, conclusione insperata di un viaggio infinito.
E dovete sapere - continuava il suo racconto illuminato dal fuoco e dai ricordi - che tutti quanti Voi, discendete da questi due giovani fortunati, e dal loro Amore infinito..."
"Primo Primo, ma perché i guerrieri han concesso il passo, perché ..."
Le domande dei più giovani si affollavano e si spingevano le une con le altre, bramose di sapere chi o come la risposta di quel Giovane avesse potuto tanto.
"Ora basta, Primo è stanco - disse la Regina anch'Ella come ogni anno ingolosita da quel racconto, figlia della figlia di quel seducente narratore- lasciate che vi dica io il perché"
...
"Quel ragazzo ben conosceva l'essenza dell'Amore, ma temeva di perdere in un sol colpo il Suo Amore, e con esso la ragion stessa di Vita, se la avesse rivelata.
Preferì dunque sacrificarsi per la donna che amava, perché Ella potesse raggiungere la salvezza oltre il passaggio"
" L'Amore è sacrificio, consapevole rinuncia a tutto, alla vita e all'Amore stesso, per Amor di chi Amore alimenta ogni istante"
Poi la Regina abbracciò amorevolmente il vecchio, e con voce rotta dalle lacrime, gli sussurrò:
"Grazie nonno, per la Vita che hai donato a Noi tutti e a quel tuo gesto di Amore infinito".
1234
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati

Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0