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Falliti
Mio padre. Un alcolizzato. Chissà in che lurido bar della zona Termini si era ridotto così male, quella sera, bevendo le sue birre, scolando vinaccio.
Poteva darsi che era a corto di denaro, e allora si era accontentato del vino in cartone del supermercato.
Lo immaginai ubriaco in compagnia del suo amico fallito, conosciuto come Rana. Li immaginai proprio come due straccioni, di quelli che se muoiono per strada nessuno ci fa caso.
Scavando nei miei ricordi, anche quand'ero solo un bambino la figura di mio padre era sempre quella di un uomo trasandato, quasi sempre attaccato a una bottiglia. Quasi mai lucido. Privo di dignità.
A volte, quando entravo in camera sua giusto per accertarmi che fosse ancora vivo e quella merda non gli avesse fatto scoppiare il fegato, mi assaliva lo schifo dell'alcol vomitato. Una mattina l'avevo trovato riverso sul pavimento, vestito, impigliato tra lenzuola e coperte che si era portato via cadendo dal letto.
Non mi allarmavo, ormai, se non lo vedevo uscire dalla sua camera per tutto il giorno: smaltiva la sbornia, dormiva collassato. Si alzava solo per andare in bagno, quando riusciva a fare in tempo. Nemmeno ti riconosceva. Mi chiamava Rana, come l'amico fallito.
Comunque quel sabato sera lui e il suo amico avevano iniziato a cantare per strada, sotto le finestre della gente.
Qualcuno aveva chiamato la polizia, e la polizia aveva chiamato me.
Ero lì, e Rana mi tirava per un braccio: non voleva che portavo via mio padre e non voleva saperne di restare solo. «Lascialo in pace» mi disse. «Non vedi che stiamo festeggiando? » Aveva gli occhi tutti rossi e la sua camicia era uno straccio, lurida del vino che si era rovesciato addosso.
«Togliti dai piedi, pezzente» gli dissi. L'avevo spinto via.
«Mi hai fatto male, coglione» disse lui. «Sei proprio un coglione» ghignò. «Farebbe bene tuo padre a prenderti a calci» disse, «quando non è ridotto così. Fancùlo. Dovrebbe insegnarti l'educazione. »
«Parla ancora e ti sistemo» gli dissi. «Parlami ancora, e vedi. »
Guardai i due poliziotti. Il più anziano dei due voleva sbrigare la faccenda: mi invitò ad andarmene con la persona che mi aveva messo al mondo e io in quel momento mi vergognai: «Giovane, non ti ci mettere anche tu» disse il poliziotto. «Portalo via. Tornate a casa. »
«Hai capito che ha detto il poliziotto? » disse il fallito. «Togliti dai coglioni, cosa sei venuto a fare? » Mi si fece più sotto, mentre io aiutavo mio padre a stare in piedi. «Devi andare a casa» gli dissi, e con un braccio lo spinsi via. Il fallito perse l'equilibrio e cadde. Non volevo farlo cadere. Però quello cadde, e adesso se ne stava lungo disteso e disse che si era rotto un dente.
«Ma cosa fai» mi disse il poliziotto anziano che voleva sbrigare la faccenda. «Vuoi finire dentro insieme a tuo padre? » Guardò il collega giovane che sembrava più formale. Scosse la testa. Disse al fallito: «Avanti. Tirati su. »
«Quel coglione mi ha fatto cadere un dente» il fallito disse. «Porca miseria» cominciò a piagnucolare, «non sento più il labbro. » Palpò con la mano. Pasticciò con la mano sulla bocca: fu allora che vidi il sangue. Il fallito perdeva sangue dal labbro superiore
«Così passiamo i guai, giovane» disse il poliziotto che sembrava più formale. Si rivolse al collega anziano e disse: «È il caso di trattenere il ragazzo. Secondo me bisogna chiamare un'ambulanza. »
«Ma non ha niente» disse l'altro poliziotto. S'avvicino al fallito e si chinò a guardare. «È un taglietto» disse. «Non ha niente. » Fu in piedi, e guardò il collega che voleva chiamare l'ambulanza. «È solo teatro» disse. «Questo non ha nulla, e noi tra dieci minuti smontiamo. Vuoi perdere altre tre ore? »
«Dovremmo fingere che non sia successo niente? »
«Perché» disse il poliziotto anziano. «È morto qualcuno? » Poi disse: «Ci penso io, non preoccuparti. »
«Va bene De Angelis» disse l'altro. «Ci pensi tu. Però a me non piace lavorare così, dovremmo seguire le procedure. »
«Sì. Le procedure. Ma noi tra dieci minuti smontiamo, e io vorrei andare a casa. Il mio stomaco brontola, e stasera che posso, vorrei mangiare a casa. »
«Vorrà dire che mangerai a casa» l'altro disse.
Il poliziotto attraversò la strada e raggiunse l'auto di servizio. Quando tornò indietro aveva in mano una bottiglietta d'acqua. Si chinò sul fallito e gliela porse. «Datti una sciacquata» disse.
Il fallito annuì. Si puntellò sui gomiti e poi gli riuscì di mettersi seduto. Bevve un primo sorso e di nuovo palpò il labbro con le dita. Passò la lingua sul labbro, bevve un secondo sorso e poi un terzo. «L'acqua» disse. «Che tragedia. Che serata indimenticabile. »
«Ce la fai a tornare a casa? » disse il poliziotto anziano. Poi si rivolse a me: «Abbiamo rischiato di andare a finire male, giovane, lo sai? Ma stavolta sei fortunato, perché alla fine nessuno sporgerà denuncia. Neanche il teatrante, qui. Il nostro turno è finito, e il sottoscritto non vuole rovinarsi la serata per voi. Ma in futuro stai molto attento a quel che fai. » Guardò via. «Coraggio» disse poi. «Accompagna a casa quel buon esempio che ti è padre. »
Io non dissi niente, e mentre tacevo riuscii a provare pena per mio padre. Fino ad allora ne avevo provata solo per me. Solo per me, insieme a vergogna e odio.
Guardai mio padre, e lui mi guardò. Per un istante guardò i miei occhi con i suoi occhi resi lucidi dall'alcol.
Gli passai un braccio sulla spalla e feci per muoverci ma fui bloccato dal suo sguardo. Si girò poi verso Rana che, ancora seduto, sembrava un mendicante, pareva solo al mondo. guardò nuovamente me.
«Cos'hai, non ce la fai? » gli chiesi.
«Non posso» brontolò.
«Non puoi cosa? »
Guardò di nuovo l'amico e poi me. «Non posso lasciare Rana da solo, non ha nessuno. Lui non lo farebbe mai a me» disse mio padre.
«Forse non hai capito che ho rischiato di finire nei guai per quel poco di buono. Quello è solo un poco di buono, cosa vuoi che me ne freghi? » risposi irritato.
A questo punto la reazione di mio padre mi sorprese. Ribatté con un tono pacato, era improvvisamente lucido. «Non è l'unico poco di buono, lo sono anch'io. Non lo eravamo nessuno dei due. Se non merita pietà lui, lascia anche me qui. »
In quel momento provai più imbarazzo per me stesso che per mio padre. Era un alcolizzato, lo giudicavo, lo disprezzavo, mi vergognavo di lui. Ma cosa sapevo io di mio padre? Perché beveva? Cos'era prima?
Un egoista, non ero altro. Lui invece, nonostante il suo stato, non aveva abbandonato l'amico. Forse con lui non divideva solo le sbornie ma anche le sofferenze.
Quella sera, l'uomo a cui davo meno considerazione, aveva involontariamente svolto un compito da padre. Mi aveva dato una lezione.
Feci sedere mio padre sui gradini di accesso ad un portone, tornai verso Rana. Gli tesi un braccio. «Vieni» dissi. «Così ridotto a casa non arrivi. Ti lasciamo noi»
Rana non disse nulla, ci guardò solamente, prima mio padre, poi me. Mi tese un braccio e mi sorrise.
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0 recensioni:
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- great!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
- No, la redazione è stata puntualissima. Non l'ho scritto in occasione del Natale però credo sia una giusta collocazione. Grazie.
- Sembra un bel racconto di Natale, quelli alla Frank Capra, ma l'hai postato solo a metà gennaio. Spero non per ritardo della redazione, sarebbe imperdonabile.
Scritto bene, con semplicità e senza fronzoli. Complimenti.
Ciao