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Il salto
Tre gradini, doveva salire solo tre gradini, ma dovette concentrarsi per far sì che le gambe lo sostenessero in quell'impresa. Arrivato in cima guardò sotto di sé, più di 100 metri lo separavano dal suolo.
L'uomo accanto a lui gli sorrise ed iniziò a contare. Sapeva che al tre avrebbe dovuto saltare, altrimenti non avrebbe più avuto il coraggio di farlo.
Uno. Due. Tre. Si lanciò.
Per un momento rimase in posizione orizzontale, quasi fermo nel vuoto. Poi la forza di gravità svolse il suo ruolo ed iniziò ad attrarlo verso il suolo. Il suo corpo acquisiva velocità mentre cadeva a testa in giù.
La caduta era durata solo pochi secondi, ma dal suo punto di vista erano molti di più. È incredibile quanti pensieri si possano fare in un lasso di tempo così breve. Ad un certo punto ebbe persino il dubbio che qualcosa fosse andato storto e che fosse realmente destinato a sfracellarsi al suolo.
Poi la sua caduta iniziò a rallentare, si fermò un attimo a mezz'aria per poi essere proiettato verso l'alto e cadere nuovamente. Una sensazione stranissima, non sapeva più verso quale direzione stesse andato il proprio corpo, se in alto oppure in basso.
Poco dopo quel folle moto si arrestò. Restò penzolante a mezz'aria, con le caviglie legate all'elastico, finché non lo calarono e lo liberarono.
Era frastornato, ma felice. Il bungee jumping era senz'altro un'esperienza particolare e adrenalinica.
Eppure quando vide il vuoto al di sotto di sé si domandò chi glielo avesse fatto fare. Gli uomini non sono geneticamente predisposti per cadere nel vuoto, l'istinto di sopravvivenza impone loro di stare con i piedi piantati al suolo e non i caduta libera verso il nulla. Eppure se si ha la forza di andare contro quell'istinto, se si riesce a mettere a tacere la voce interiore che impone razionalità, si possono provare emozioni uniche.
A distanza di un paio d'anni si trovò a compiere un salto ben più rischioso. Questa volta era privo di ogni misura di sicurezza e, soprattutto, incapace di prevedere le conseguenze che ne sarebbero derivate.
Aveva lasciato il lavoro e deciso di iniziare un nuova vita all'estero, seguendo così un sogno che lo aveva accompagnato fin dall'adolescenza, ma, che per un motivo o per l'altro, aveva sempre rimandato.
Ci aveva quasi rinunciato, finché una fortunata serie di circostanze non gli offrì una chance, probabilmente l'ultima. E così, a trent'anni, si apprestava a partire.
Eppure aveva un lavoro sicuro, genitori che gli volevano bene, amici sui quali poteva contare. Perché lasciare tutto ciò per qualcosa di totalmente ignoto? Avrebbe dovuto ricostruire tutto: imparare bene una nuova lingua, trovare un nuovo posto da poter chiamare casa, farsi nuovi amici, procurarsi un lavoro possibilmente inerente con ciò che aveva studiato.
Sapeva che la paura fa parte del nostro DNA, ci tiene lontana dai guai, impedendoci di rischiare la vita inutilmente. Sapeva anche che a volte è anche un freno alla realizzazione dei nostri sogni e desideri. Forse è per questo che spesso ci troviamo a percorrere la strada di chi ci circonda. Vediamo persone apparentemente felici e pensiamo che imitandole lo saremo anche noi, dimenticandoci che la felicità è soggettiva, una meta che varia da persona a persona, esattamente come variano i percorsi che consentono di raggiungerla.
Lui credeva fortemente che ognuno avrebbe dovuto seguire il proprio percorso, anche se questo poteva sembrare erto ed insidioso.
E così, dopo qualche mese di riflessione aveva preso la sua decisione. Alcuni gli sconsigliarono una scelta così rischiosa, altri lo incoraggiarono o invidiarono. Decise però di non badare a queste voci, incoraggianti o demotivanti che fossero, dando retta solo al proprio istinto. Non sapeva cosa lo avrebbe atteso, ma di una cosa era certo: dopo anni imprigionato in una routine che non sentiva sua si sentiva nuovamente libero, vivo.
Eppure ora, alla vigilia della partenza, una strana forma di ansia si era impadronita di lui, una sensazione simile a quella provata sul ponte, quando il vuoto si stagliava sotto di lui, da un lato il desiderio di saltare, dall'altro quello di tornare indietro. Sapeva che era solo questione di trovare il coraggio di fare quel salto nel vuoto per trovarsi immerso in un insieme di emozioni nuove, mai provate.
Dopo un periodo di confusione iniziale, durante il quale non avrebbe capito se fosse diretto verso l'alto o verso il basso, le cose si sarebbero assestate. I rischi c'erano, inutile negarlo, ma sono a volte sono proprio i rischi corsi e le difficoltà superate a farci sentire vivi e a darci la forza di credere in noi stessi.
Mille dubbi gli invadevano la mente, ma ormai era giunto il momento di partire. Inutile avere ripensamenti, aveva salito i tre gradini che lo separavano dal vuoto, l'uomo accanto a lui aveva già iniziato a contare.
Uno. Due. Tre. Saltò, questa volta nel buio.
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- Una deliziosa ironica comparazione.
Premetto, solo a leggerti all'inizio mi venivano le vertigini. Io voglio avere sempre i piedi ben piantati sulla terra, non accetto ne aria nè acqua.
Per tornare al contenuto la tua riflessione sulle decisioni della vita paragonandone le difficoltà a quello sport dal nome per me impronunciabile (per via delle vertigini) la trovo assolutamente azzeccata,
Complimenti
Ciao
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