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Lettera ad un figlio
LETTERA AD UN FIGLIO
( più di un sogno )
" Che io sia morto ieri, ieri l'altro, stamani, a me non importa. Il mio tempo ormai è inalterabile. Se anche da meno di un minuto mi fosse impedito di scegliere se restare nel tepore del letto o se infilarmi le pantofole per vestirmi e uscire a girovagare qua attorno alla ricerca del sole e di un angolo non infestato da auto e da moto: ritieni che potrebbe importarmene?
A questo inutilmente e disperatamente pensavo mentre con lo sguardo davanti alla mia eternità ti vedevo con le mani congiunte in preghiera. Mi ero accontentato di vivere la mia vecchiaia sfogliando il Corriere, avevo giocato ad accendere e spegnere il televisore, mi ero aggirato per le stanze di casa mia chiedendo meno di un bicchiere d'acqua... finché non me ne sono andato. Mille e mille volte avrei voluto chiamarti in disparte per supplicarti di non ricordarmi con l'aspetto dei miei ultimi anni. Meno di un minuto mi sarebbe stato sufficiente, il coraggio mi era sempre venuto meno.
Ieri, quando meno di due metri ci separavano, era troppo tardi. Ero vissuto sino ad un'età che gli uomini definiscono avanzata, eppure anch'io fui giovane, spensierato, spavaldo, figlio mio. Sino all'ultimo giorno quando mi ero fatto la barba nello specchio mi ero visto con i lineamenti della mia gioventù, con le braccia e con il cuore stracolmi di forza e di volontà...
Ricordi
le nostre escursioni in montagna quando eri un bambino alto due o tre centimetri più di Pollicino? Era il rituale dei nostri sabato pomeriggio estivi, non ci avrebbe trattenuti nemmeno il timore di un imminente temporale. Quando arrivavo a casa, di ritorno dall'ufficio, era già tutto pronto: scarponi, borraccia, provviste di frutta nel caso di un crampo di fame allo stomaco... Non avevi trascurato niente. Un rapido pranzo, con te che in un minuto avevi buttato giù pastasciutta e bistecca e giravi intorno al tavolo morso dalla tarantola. Poi finalmente partivamo.
Lasciavamo l'auto in un piccolo parcheggio, mi precedevi lungo lo stretto e ripido sentiero, faticavo a tenerti dietro, procedevamo senza rivolgerci la parola quasi esorcizzassimo nel silenzio le possibili vipere, nella tua fretta di giungere dove la vegetazione cessava il suo dominio e gigantesche pietre si affrontavano l'una con l'altra. Su, cinque minuti di riposo senza sdraiarci, un sorso d'acqua dalla borraccia, uno sguardo ai monti attorno e al cielo: la settimana e l'ufficio erano degl'impicci annullati, o addirittura non erano mai esistiti, erano solo la rappresentazione di una fantasia malvagia.
Poi ritornavamo verso casa dove eravamo attesi dalla mamma. Il passo era trascinato, come stanco. L'occhio procedeva incantato, ora, dalla radura, dai fiori selvatici, dalle pietre, dalle stalle. Ancora tacevamo. Per i tuoi perché e per le mie risposte avremmo utilizzato il tempo di un'intera settimana.
Lascia che ti confidi che quelle passeggiate non le compivo per farti piacere o le subissi per non contrariarti ; il piacere era anche mio, era soprattutto mio. Attendevo con ansia il sabato non per distaccarmi dalla routine della settimana e nemmeno per immettermi in un mondo incantato ma per gioire della tua ammirazione, della tua incredulità, del tuo volto che si trasfigurava. Ti osservavo, mi rivedevo in te e ne andavo fiero.
Adesso quando trovi un paio d'ore di tempo, compi lunghe passeggiate con la tua Ilaria. D'inverno per le vie meno frequentate della nostra città, d'estate nei luoghi che t'insegnai ad amare. Recuperi il sole dentro un cielo iridescente, recuperi il verde dei prati, recuperi anche la riconoscenza per Colui che regalò questi tesori agli uomini. Abbandoni la vita che altrove si aggira disperata, ma scopri anche il medesimo piacere e la medesima inquietudine perché tua figlia procede non discostandosi mai dal ciglio del sentiero. Proprio come facevi tu che mi obbligavi a rimproverarti affettuosamente. Non sgridare mia nipote, è carne della tua carne e della mia carne, semmai siine fiero. ( Ti confido che anch'io sui sentierini di montagna procedevo come un mulo, ed a mia volta non mi sottraevo ai rimbrotti di mio padre ).
In fondo
ritengo di essere morto volentieri. Domandati : un vecchio ( quel vecchio che ti era stato padre, ti aveva aiutato a crescere, ti aveva consolato, curato, sostenuto, incoraggiato quando ritornavi da scuola con voti che non erano da primo della classe, e neppure da secondo o terzo... ) , quel vecchio al mondo che ci rimaneva a fare? Un vecchio ruba ( e mangia ) cioccolatini e biscotti, un vecchio è una larva che si lamenta dei suoi dolori, del tempo, dei rumori, dei giovani, dei prezzi, di ogni cosa. Di un vecchio non uno ricorda che spense ogni anno le candeline sulla torta partendo dai numeri più piccoli. Un vecchio anche se fu il padre migliore del mondo, il più affettuoso, il più generoso, è soltanto una persona sopportata.
Ho smesso di respirare quasi con sollievo, credimi. Sapevo che avreste ( avresti ) pianto, ma sapevo che vi sareste finalmente liberati della mia più che fastidiosa presenza. Mi sarei spossessato di un corpo che mi era diventato inutile per infilarmi nel tuo, come tu, quando succederà, ti trasporterai nel corpo di tuo figlia.
Più di una volta alzai la voce con te e mi spazientii: perdonami, era il mio amore che esigeva troppo. Me ne sono andato con la coscienza a posto, so di averti insegnato il giusto, che il frutto non matura sulla pianta senza cure, tanto cinque centesimi quanto un milione di euro non restituiti sono un furto. Ti avevo anche insegnato a rispettare chi è degno di essere rispettato, guardati sempre attorno, raramente sotto l'abito troverai un uomo.
Sicuro che non mi deluderai, con soddisfazione me ne sono andato.
Ho conosciuto,
ieri l'altro, un morto che era vissuto male. Permettimi quest' ultimo consiglio. Mi raccontò che l'avevano sepolto da due giorni, ma era vivo, si sentiva vivo, con il sangue, con il cuore, con i muscoli, ma non aveva un corpo nel quale rifugiarsi, dei figli affranti, era morto perché lo impongono le regole che ci governano. Quel poco di buono che vi era in lui si era disperso. Gli toccava agonizzare dentro la tomba in un silenzio totale, torcendosi per la disperazione, accecato dal terrore. Non piangeva, però ; non sapeva piangere, in vita aveva soltanto fatto piangere. Se aveva un'anima era restata prigioniera nel corpo. Credeva di trovarsi in una specie di purgatorio, un uno di quei luoghi di cui parlano i preti ai bambini per spaventarli. Intanto attendeva ed imprecava, si dibatteva e continuava a pensare come una persona che non aveva smesso di respirare.
Poi capì. Troppo aveva fatto piangere, in nessuna anima si sarebbe trasferito, ma indietro non sarebbe tornato, il suo giorno si era irrimediabilmente concluso. Questo mi disse quell'uomo.
Non fare mai piangere, figlio. Insegnalo a tua figlia, ripetiglielo sino a stordirla. Ti aiuterà, e non solamente per vivere e morire sereno. Nei vivi il pianto sparisce, ma per chi lo causa sarà colpa della quale risponderà quando la morte verrà a prelevarlo.
Questo sia il mio estremo consiglio, la certezza che affido al mio addio, figlio mio."
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