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La legge del riccio solitario (parte seconda)
Ming si trova a un chilometro da casa mia, una passeggiata ci starebbe anche bene se non facesse tanto caldo.
Guardo l'orologio che segna l'una, giusto l'ora di pranzo.
Fuori il maledetto sole aggredisce la pelle, l'afa mi rallenta i movimenti. Mi rassegno, dopotutto non posso cambiare il tempo.
Cammino passando davanti alle facciate tutte uguali, il mio è un quartiere"sviluppato per lungo" con case alte e strette dove il comune infila più famiglie possibili, tutta brava gente senza speranza, che a volte fa anche due lavori per mantenere i figli.
Si riconoscono quelli della mia zona, hanno tutti gli occhi spenti, vanno avanti per inerzia come fossero anestetizzati.
Tornano a casa e si rivolgono parole distratte troppo presi dalle bollette da pagare, genitori malati e figli a carico.
I fantasmi, così li chiamo, si trovano ovunque in questa città. Sono così frustrati che non gli rimane che maledire qualche politico al bar e poi giù alcool e sigarette, tanto se non li ammazza qualche cancro ci pensa la rabbia.
Per chi nasce in famiglie come la mia, le speranze per il futuro sono poche. Siamo i figli dei muratori sottopagati, delle donne che fanno le scale.
Io non posso dimenticarlo, ogni volta che mia madre mi faceva una carezza mi lasciava sulla guancia l'odore di varichina.
<<Scansafatiche, perdigiorno.>> Mi ringhia contro la vecchia signora Maffei dalla terrazza annerita dall'umidità.
<<Buongiorno anche a lei, Signora Maffei.>> Rispondo con un sorriso che la fa sempre salire su tutte le furie.
Non è cattiva, certe volte è talmente buffa da sembrare quasi simpatica. Tiene sempre in testa un buffo cappello con una penna come quelli delle ballerine di can-can.
Ogni volta che le rispondo borbotta qualche maledizione contro di me e poi volta lo sguardo.
Alla fine della strada c'è il bar Peo, un buco talmente pieno di fumo da far sfigurare la nebbia milanese.
Appoggiato con la schiena contro la porta scassata Alberto, il vecchio barista, stringe fra le labbra un Toscano più grosso della sua bocca.
<<Bella la vita!>> Mi urla contro appena gli sono a tiro. <<L'hai fatta colazione?>>
<<No, oggi mi sento in vena di cinese.>>
Storce la bocca e sputa per terra un grumo marrone di nicotina e chissà cos'altro.
<<Te e chi ci mangia. Sono quelli che rovinano l'Italia, loro e le schifezze che vendono. Vai, vai a farti bucare lo stomaco, fatti cucinare un bel cane. Non lo vedi che da quando c'è quella scimmia di Ming non si sente più abbaiare nel quartiere?>>
Mi scappa una risata mente continuo imperterrito per la mia strada.
Dalla parte opposta arrivano i ragazzi che lavorano alle costruzioni dei nuovi "torrini", altre case popolari costruite dove una volta c'erano gli alberi.
<<Bella Ale, dove vai?>> Mi chiede Petrik, col suo accento rumeno, ormai più diffuso di quello italiano.
<<Ming.>> Rispondo con voce monocorde.
<<Piuttosto la fame!>> Esclama disgustato Ciro dalla destra di Petrik. <<Non ci mangerei neppure gratis. Non hai visto che da quando c'è lui...>>
<<I cani sono spariti, lo so.>>
Li oltrepasso scuotendo la testa, oggi nessuno potrà distogliermi dalle mie nuvolette fritte.
Il Grande Drago mi mette allegria ogni volta che lo vedo, saranno i misteriosi caratteri scritti in cinese sull'insegna o magari le colonne rosse con i serpentoni arrotolati, non lo so.
Fuori ci sono cinque o sei tavoli apparecchiati indifferentemente dalle condizioni atmosferiche.
A quest'ora è sempre deserto, anzi è quasi sempre deserto per colpa della reputazione da accalappiacani che ha.
Apro la porte facendo trillare l'acchiappasogni all'ingresso e dal grande arco in legno che divide il bancone del bar dalla cucina sul retro, arrivano grandi nuvole di vapore impregnate di un pesante odore di fritto.
Cassandra, la nipote di Ming, si affaccia per vedere chi è entrato e mi sorride. È una ragazza dai tratti tipicamente orientali con lunghi capelli neri. La prima volta che la vidi mi aspettavo che avesse un nome strano e impronunciabile, invece Cassandra, niente di più semplice.
Una voce maschile dice qualcosa in una lingua che non conosco e Cassandra risponde in cinese con un tono che sembra l'inizio di una litigata, invece è la normale intonazione cinese anche se sembra che stiano per scannarsi.
<<Ciao Ale, sei il primo cliente della giornata, sai?>>
Annuisco sorridendole a mia volta.
Poco dopo dalla nube di vapore esce Ming con un grembiule bianco. È un ometto piccolo e magro che si muove veloce e agile come un'anguilla. Le zampe di gallina attorno ai piccoli occhi a mandorla gli danno un'espressone che lo fa sembrare perennemente arrabbiato e sospettoso.
<<Lagazzo dal borsello leggelo, che vuoi.>> mi chiede fermandosi proprio sotto l'arco.
<<Pensavo a delle nuvolette fritte, tu che dici?>>
<<Che cegli semple piatto più economico.>> Senza aggiungere altro torna in cucina.
Cassandra ridacchia della scena. <<Non ci badare, lo sai che gli stai simpatico.>> spiega facendomi strada verso il tavolo in fondo al locale.
Questo dev'essere l'unico posto senza aria condizionata. A smuovere l'aria ci pensano le grandi pale al soffitto che girano con una lentezza esasperante.
I tavoli sono sparsi in maniera disordinata, intervallati da qualche separé di un tessuto lucido che mi dà l'idea di essere molto morbido.
Cassandra si siede passandosi una mano sulla fronte.
<<Un caldo assurdo.>>
<<Sì>> Confermo, <<insopportabile. Come mai non sei al mare?>>
<<Mi hanno detto che hai suonato bene ieri sera. Mi sarebbe piaciuto ascoltarti.>>
<<Suonerò per te quando vorrai, lo sai.>>
Sorride di nuovo invitandomi a sedere.
<<Allora, come vanno le cose?>>
Mi stringo nelle spalle. Le cose sono sempre uguali da quando mio padre se n'è andato senza motivo.
Ricordo che era la mattina di natale di dieci anni fa, ma quella volta non ci furono regali, solo lacrime e tante domande.
Da qual giorno mamma non fu più la stessa. Cominciò a non vedere più la gente, ma a guardargli attraverso, trasformandosi in un altro dei fantasmi che affollano questa città.
<<Va come sempre. Tu?>>
<<Solita roba.>> Sbuffa lei. <<Sai che ci vorrebbe?>>
<<Cosa?>>
Ming appare di nuovo sotto l'arco con le mie nuvolette appena fatte.
<<Pel questa volta offle dlagone.>> Mi avverte portandomi il piatto.
Annuisco serissimo.
È da quando ha aperto il ristorante tre anni fa che mi dice sempre la solita cosa e poi non mi fa pagare. Credo che sia il suo modo di dimostrarmi "affetto."
Mi concentro sul piatto. L'odore delle nuvolette, il modo in cui scrocchiano a contatto con la saliva sono cose che mi piacciono.
Cassandra mi passa la salsa agrodolce.
<<Un piacevole imprevisto, ecco cosa ci vorrebbe.>>
Le cinque e ancora non ho trovato niente da fare, ma stare in casa è insopportabile.
Afferro la macchina fotografica e imbocco le scale, anche se non ho idea di cosa fotograferò.
Doe mi segue immediatamente sprizzando felicità da tutti i pori, ma non posso portarlo con me.
<<No, tu resta lì. Usciamo stasera, promesso.>>
Guaisce per protesta, ma da cane intelligente qual è torna indietro rassegnato.
Mi fermo davanti alla grande porta a vetri del giardino e indosso gli occhiali da sole prima di uscire.
C'è un silenzio mostruoso qui, non mi piace starci. So bene che molte persone desidererebbero essere al mio posto, certi ucciderebbero solo per avere la piscina di Mirko, ma io continuo a sentirmi a terra.
Scuoto la testa come per scacciare un pensiero, attraverso il giardino e spingo il piccolo cancello in legno per uscire in strada, che dal caldo che fa pare tremare.
Non mi perdo d'animo, continuo a camminare mentre penso a cosa fotografare, ma non riesco a trovare nulla.
<<Ciao, Morgana. Dove te ne vai?>>
Mi volto e vedo la signora Rotoni che mi sorride con la sua doppia fila di denti da pescecane. Come sempre sta potando svogliatamente le piante del suo immenso giardino. Se ne sta lì, con la sua finta aria sorridente a farsi i fatti di tutti.
Devo sforzarmi di essere educata, spero che salutandomi non mi lasci i segni delle labbra sulle guancie con i chili di rossetto che si mette.
<<Dio come sei bella. Ah, ma anche io a vent'anni...>>
Non so mai cosa risponderle, perché mi mette sempre in imbarazzo con tutti i falsi complimenti che fa.
Aspetta che io dica qualcosa, ma dalla bocca non mi esce niente. Tiro in dentro le labbra e guardo a terra.
<<Allora, dove vai?>>
Scuoto delicatamente la macchina fotografica.
<<Oh, capisco.>> Dice continuando a potere le piante già perfette <<Dovresti trovare un bel modello.>>
<<Già, dovrei.>>
Mi rivolge un altro sorriso enorme e poi si dimentica della mia presenza, ringraziando il cielo, posso andare.
Riprendo a camminare verso una meta indefinita sperando che l'ispirazione mi colpisca come un fulmine a ciel sereno, ma la vedo dura, qui è tutto uguale.
Le case sono villette a schiera gialle con grandi giardini dove non va mai nessuno. Tutti parlano male di tutti, anche se fanno finta di volersi bene. Ogni cosa è piatta, uguale alle altre.
Le giornate sono scandite da ritmi noiosissimi e ancora più noiosa è la gente che abita il quartiere.
Se non suoni uno strumento non sei nessuno, ma non puoi suonare una cosa qualsiasi: se sei una ragazza puoi scegliere fra violino, basso o piano, se invece sei un ragazzo puoi decidere di suonare la chitarra oltre ai suddetti strumenti. Ogni tipo di musica troppo rumorosa è bandita, quindi è bene dimenticarsi il metal e il rap.
Ci si deve vestire in una certa maniera e curare al massimo la propria vita sociale frequentando solo gente per bene, dove con "per bene" si intende solo quelli che abitano nel quartiere, gli altri sono gentaglia.
È una vita che mi sorbisco queste robe: diciotto anni, mica un giorno.
L'unica cosa che i miei hanno azzeccato è stata quella di mandarmi alle scuole pubbliche, cioè all'inizio avevano provato a mandarmi alle private, ma poi ho smesso di parlare impuntandomi sul fatto di voler andare alle scuole normali e così cedettero per il bene della loro piccolina.
<<Menomale che sei arrivata, mia madre non mi voleva credere.>> Sospira Arianna correndomi incontro.
Non ho idea di ciò che stia dicendo.
<<Reggimi il gioco.>> sillaba muta venendo verso di me.
<<Sì, scusa il ritardo.>> Improvviso cercando di essere convincente, ma senz'altro balbetto. Mi succede sempre quando mi colgono di sorpresa.
<<Non me la contate giusta voi due.>> Dice sua madre guardandoci a braccia incrociate.
<<Uffa mamma!>> Squittisce Arianna infastidita.
Senza neppure preoccuparsi della reazione della madre mi prende per un braccio trascinandomi via.
<<Non ti rendi conto che noia.>> Mi dice.
<<Sì, me ne rendo conto.>>
<<Dove si va?>>
Mi fermo. Non che Arianna mia stia antipatica, ma non la sceglierei per uscire. Con la giornata che ho potrebbe peggiorarmi le cose.
<<Io volevo fare qualche foto.>>
Rimane a guardarmi con un sopracciglio alzato come se avessi detto la cosa più cretina del mondo.
<<Foto?>> Ripete con voce piatta <<a cosa?>>
Mi stringo nelle spalle.
Un lampo di genio mi attraversa la mente, proporrò la cosa più noiosa del mondo, non accetterà mai.
<<Pensavo di andare al museo.>>
Come avevo previsto Arianna storce la bocca disgustata.
<<Se non ricordo male si trova sulla strada che passa dal parco giochi.>>
<<Sì.>> Confermo insospettita.
<<Andiamo.>>
Come andiamo? Possibile che oggi sia una giornata tanto scarognata?
Entusiasta come un gatto sull'autostrada seguo la mia amica che ha già iniziato a parlare come una macchinetta.
<<Mirko?>>
Mi blocco un'altra volta, è vero, Mirko dov'è?
<<Non lo so. Devo chiamarlo.>> Pochi secondi dopo realizzo che non ho preso nulla all'infuori della fotocamera.
<<Tieni,>> Fa Arianna allungandomi il nuovo supercellulare <<sta già chiamando.>>
<<Grazie.>>
Uno squillo appena e la voce di Mirko mi raggiunge l'orecchio con il suo strano modo di rispondere <<Sì, chi è?>>
<<Ciao. Scusami se non ti ho chiamato prima, solo...>>
<<No problem, bimba.>>
Sono due anni che gli ripeto di non chiamarmi bimba e lui puntualmente: "bimba potresti passarmi questo", "ehi la mia bimba" o "anche bimba ho da fare."
<<Dove sei?>>
<<Con degli amici. Infatti ti devo lasciare. A stasera.>>
Senza neppure aspettare un mio saluto riaggancia lasciandomi inebetita con il cellulare all'orecchio.
Restituisco il cellulare alla legittima proprietaria e ricomincio a camminare tristemente, forse era meglio restare in casa.
Arianna mi tira per un braccio, la guardo un attimo non capendo dove vuole andare.
<<Da queste parti dovrebbe esserci un mio amico.>> Ammicca imboccando la strada del parco.
Annuisco rassegnata e la seguo verso il viale alberato sperando che sia un posto fresco.
Credevo fossero tutti al mare, invece ci sono molti ragazzi seduti sulle panchine e attorno alla pista da skate.
Arianna passa fra le persone con molta disinvoltura salutando tutti, ma ha preso di mira un biondino altro e magro.
<<Francesco.>> Dice cominciando a muovere la mano a mo'di saluto.
Lui alza il mento e sorride andandole incontro con passo molleggiato.
<<Ari, che ci fai da ste parti?>>
<<Passavo di qui.>> Risponde alzandosi in punta di piedi per baciarlo.
<<Stasera ci sono le esibizioni.>>
<<Non mancherò.>>
Improvvisamente il ragazzo si volta a guardarmi come infastidito, ma più probabilmente vuole solo sapere chi sono.
<<Lei è Morgana.>>
Mi guarda come se gli stessi antipatica a pelle, si limita a dire una cosa monosillabica tipo "bene".
Così come si sono accorti della mia presenza se ne dimenticano continuando a sbaciucchiarsi.
Mi guardo intorno prima di decidere di andarmene dato che non sono una molto espansiva con la gente.
<<Ciao, sei nuova?>> Mi chiede un ragazzo con la camicia hawaiana.
<<Sì, volevo dire no, sono con Arianna.>>
Sorride, non so se del mio imbarazzo o della goffaggine.
<<Io sono Jonathan>>
<<Morgana.>> Rispondo tendendogli la mano.
Lui la stringe con forza, anche troppa, poi sorride ancora.
<<Ti piace la musica?>>
<<Dipende quale.>>
<<Stasera si esibiscono molti ragazzi bravi.>>
<<Dove?>>
<<Zona industriale.>>
Annuisco.
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Anonimo il 23/01/2011 08:10
Bel modo di scrivere, bella storia... Morgana mi piace perchè è il pensiero che si eleva e riesce a descrivere il mondo che la circonda con lucida analisi. Sembra quasi non parli di sè... molto bello, questo racconto. Carino, ben scritto, realista... dice molto della vita dei giovani senza usare toni eccessivi. Cinque stelle. ciaociao
P. S. mi aspetto una terza parte, ovviamente.
Anonimo il 22/01/2011 13:54
ke hai una capicità analitica pazzesca... e trasformi un mondo"pop" e odierno in un fantastico mondo intimo-intimistico!
- Grazie di aver letto il seguito, Francesco. Una profonda analisi pop? Sarebbe?
Anonimo il 21/01/2011 18:06
sai ke hai una profonda analisi pop?!
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