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Il guardiano di tombe
Spalancai la porta degli interrogatori e dopo essere entrati, Lentini la chiuse. Trovammo un ragazzo accomodato sulla sedia, con le gambe allungate sul tavolo.
Indossava un jeans strappato sopra degli anfibi neri, una T-shirt bianca con un'immagine incomprensibile e un chiodo nero dal tessuto consumato.
Il ragazzo sembrava essere completamente a proprio agio, tanto che al nostro ingresso mi sorrise ammiccando. "Sei la prima bella donna che vedo da quando sono finito qua dentro."
Gli tolsi con prepotenza le scarpe dal tavolo e presi posto.
"E sarò l'ultima se non la pianti di fare lo spaccone, perché tu resterai qua dentro finché non ci dici quello che vogliamo sapere."
"Non potete trattenermi se non avete delle prove."
"Questo è da vedere."
Mi voltai verso Lentini in cerca della sua complicità, ma non la trovai. Notai invece che continuava a fissare serioso il ragazzo.
Ritornai su di lui e gli chiesi: "Vediamo di ricominciare daccapo. Come ti chiami?"
"Gabriele."
Annuii. "Perfetto, Gabriele. È arrivato il momento che tu ci dica qualcosa."
"Quale cosa?"
"Il leader della stupida banda di cui fai parte, è accusato di spaccio di droga e istigazione al suicidio."
Il ragazzo allargò le braccia. "E io cosa dovrei farci? Andate da lui."
Sorrisi ironica. "Molto acuto."
Lui mi sorrise a sua volta.
Poi assumendo un'espressione seria, dissi: "Dimmi dove si nasconde."
"Non sono la sua babysitter."
"Allora dammi l'indirizzo del covo."
Gabriele mi fissò come se avessi appena pronunciato una follia. "Stai scherzando?"
Non risposi.
"Se quello lo scopre, mi ammazza", continuò.
A quel punto, dopo un prolungato silenzio, Lentini prese la parola per la prima volta: "Non sarà un problema, tanto ci pensi già tu, no? Ad ammazzarti, intendo."
Gabriele si voltò verso il mio partner, sorrise ironico e riprese a guardarmi. "Ah, ma allora parla. Credevo fosse finto."
Senza cedere alle battute provocatorie, riprese: "Quegli occhi lucidi, quei brividi che hai e l'atteggiamento che assumi, è tutta la droga che prendi. Non è così?"
"Non so di che parli, sbirro", rispose con noncuranza.
"Ah, non lo sai?"
Lentini si alzò e con prepotenza gli afferrò il braccio, tirò su la manica del chiodo e la pelle nuda dell'incavo tra il braccio e l'avambraccio rivelò evidenti buchi.
"E questi cosa sono?"
Gabriele si dimenò e Lentini lo afferrò per il collo. Poi lo spinse con forza contro il muro. "Sei un maledetto drogato!"
Mi alzai di scatto e mi mossi verso i due, intimando Lentini di lasciarlo andare.
"Dacci l'indirizzo che ci serve!", pronunciò a denti stretti.
Feci leva sulla presa e gridai ancora più forte quando dissi: "LASCIALO!"
A quel punto la sua mano si staccò dal collo del ragazzo, che rivelò i segni di una circolazione errata del sangue.
Gabriele si accasciò a terra, con le spalle contro il muro.
In quel momento entrò Lorusso. Non avrebbe mai umiliato i suoi uomini davanti a qualcun altro, e quindi per il momento si limitò a guardarlo di traverso per invitarlo ad uscire di là.
Lentini ubbidì senza controbattere.
"Resta qua", ordinai a Gabriele.
"E chi si muove?", commentò cercando di inalare più aria possibile.
Passai accanto a Lorusso ed annuii. Lasciai la stanza degli interrogatori e mi diressi alla ricerca di Lentini. Lo trovai solo dopo dieci minuti abbondanti a metà del corridoio dall'altra parte del commissariato.
Lo raggiunsi e lo fissai.
"Che c'è?", mi chiese.
"Dimmelo tu."
Scosse il capo. "Non mi fido. È un maledetto tossico."
"Non lo dovevi fare."
"Lui non voleva parlare."
Lo fissai perplessa. "E da quando tentare di strangolare gli interrogati fa sì che ci possano dire quello di cui abbiamo bisogno?", feci una pausa. "Quel ragazzo è solo impaurito, avrebbe parlato."
"Ah sì, certo. I tuoi metodi sono sempre migliori di quelli di chiunque altro."
"Vaffanculo, Lentini. Se non vuoi capire è inutile perdere tempo."
Feci per andarmene, ma il mio partner mi chiese: "Perché ti affanni tanto a difenderlo?"
Lo fissai. "E tu perché ti affanni tanto a fare il contrario?"
"Perché non lo conosco. Per quel che ne sappiamo potrebbe coprire il killer a cui stiamo dando la caccia."
Annuii. "È quello che stiamo facendo, Lentini. Stiamo indagando per cercare di scoprirlo."
"È un drogato, Cinzia."
Lo fissai indispettita. "Non ti riesce di pensare in modo un po' più umano, qualche volta?"
"Che vuoi dire?"
"A pensare che le persone possano essere deboli, e che non sempre le scelte di vita che conducono siano dettate dalla stupidità."
"E da che altro?"
Incrociai lei braccia. "Beh, mi dispiace svegliarti dal sogno, ma esistono anche persone sole al mondo e senza punti di riferimento."
"Ma scusa, ora che c'entra?"
"C'entra col fatto che la vita non funziona in un modo solo. Eppure fai parte della mia stessa squadra operativa. Lo vedi cosa c'è per le strade: la disperazione, la sofferenza."
"Sì, è vero. Ma qua è diverso."
"E perché è diverso? Perché a parlare è un ragazzo che si fa?"
"Sì, è esatto."
Esitai. "Da te proprio non lo accetto."
Lentini mi fissò come se avessi detto chissà quale grossa stronzata. "Quel ragazzo è la perfetta copia della menzogna, non ci dirà mai quello che vogliamo sapere."
"Lo conosciamo appena, non gli hai dato la possibilità di parlare. Come fai a dire così?"
"Non sarebbe servito, perché lui aveva già deciso."
Scossi il capo e feci per allontanarmi. "Pensa quello che vuoi."
"Le persone non possono cambiare!", gridò d'un tratto.
Mi bloccai, mi voltai e lo raggiunsi nuovamente. "Perché?", gli domandai.
"Perché è così. Si droga, mente a se stesso e mente agli altri. Le persone non possono cambiare così da un momento all'altro solo perché è qualcuno a chiederglielo."
Annuii. "Beh... veniamo da scuole diverse, ed io dico che le persone possono cambiare. Non tutte e non subito, è vero, ma non permetto ad un pregiudizio di tapparmi gli occhi."
"Te lo dico io qual è il problema", continuò digrignando i denti. "Il problema è che dopo cento volte che hai levato dai guai il tuo migliore amico e quello promette di non fare più cazzate ma invece cade in recidiva altre dieci volte, ad un certo punto non ci credi più!"
Non aggiunsi altro, ma là capii che forse il problema di Lentini non era Gabriele.
Alla fine, come se ad un certo punto si fosse accorto di aver detto troppo, assunse un tono di voce pacato e disse: "Io la penso così."
Poi lo fissai allontanarsi, e non lo seguii.
Decisi invece di continuare l'interrogatorio da sola. Tornai da Gabriele e notai che aveva smesso di massaggiarsi il collo. L'aria da sbruffone non ce l'aveva più.
Riposi la documentazione sul tavolo e presi posto. Non mi fissò, ma di profilo scorsi ugualmente le lacrime sul viso. Capii che poteva avere molta più paura di quanta credevo inizialmente, e cercai di metterlo a proprio agio.
Attesi qualche istante e intrecciai le mani. "Ascoltami", feci una pausa. "Lo so che hai paura, è normale averne. Però devo chiederti di aiutarmi."
Gabriele scosse il capo.
Continuai. "Se quell'uomo è davvero chi crediamo che sia, la tua vita ma anche quella di tanti altri ragazzi come te, è in pericolo."
Non emise un fiato.
"Cosa fa, manipola le menti? Vi droga?", chiesi ulteriormente.
A quel punto si girò e notai gli occhi rossi del pianto. "Senti! Se volete tenermi qua, fate pure. Io non vi dirò nulla."
Tornò a fissare un altro punto, ed io ripresi. "Ma non ti rendi conto che quell'uomo vi sta uccidendo? A lui non gliene frega niente di voi. Perché continui a difenderlo?"
"Perché è l'unico a cui importi di me. Lui si prende cura di me", disse cercando di convincere più se stesso che me.
Aggrottai la fronte. "Lui si prende cura di te? Per lui non siete altro che oggetti. Vi imbottisce di droga e poi quando decide che è arrivata la vostra ora mette in atto un gioco al suicidio", feci una pausa. "Questo significa prendersi cura di qualcuno?"
Ma Gabriele aveva ripreso il voto di silenzio.
Volevo aiutare quel ragazzo, ma se lui per primo non capiva di star sbagliando, io non avrei potuto poi fare molto.
Dalla tasca recuperai il mio biglietto da visita, e lo feci scivolare sulla superficie del tavolo.
"Se sei in tempo e capisci di volerti salvare, allora chiamami. Io non ti negherò il mio aiuto."
Gabriele si voltò e afferrò il pezzo di carta. "Mi lascia andare?"
"Ti lascio andare."
"Perché?", chiese.
"Perché come hai detto anche tu, non ho prove per trattenerti", feci una pausa. "Se credi che restare in silenzio sia la cosa migliore, non ti posso obbligare a fare il contrario."
Mi alzai e aprii la porta.
"Commissario?", disse a quel punto.
Mi voltai ma rimasi sulla soglia.
"Lei mi può aiutare?", continuò dopo un'esitazione.
"Devi solo darmene la possibilità. Pensaci, okay?"
Infine uscii.
Premetti il pulsante della cioccolata e la bevanda prese a scendere nel bicchiere. Recuperai il tutto e mi accomodai su una poltroncina poco lontana dalle macchinette.
Controllai l'orologio: erano trascorse otto ore dall'interrogatorio con Gabriele. Lui non mi aveva chiamato e Lentini non si era fatto più vivo.
Fu in quel momento che mi sentii osservare dal fondo del corridoio.
Mi voltai e vidi il mio partner avvicinarsi. Quando fu a pochi passi, gli feci cenno di sedersi accanto a me.
Lui lo fece e senza bisogno che gli chiedessi niente, prese a parlare: "Era solo un ragazzo", fece una pausa e si portò le mani chiuse a coppa sotto il mento.
"E lo ero anche io. Però mentre io detestavo ogni tipo di droga, il mio migliore amico ne assumeva in quantità esagerate. Tornava a ripetermi che si sarebbe tolto da quel giro, e invece ogni volta venivo a scoprire che si trattava di una schifosissima balla."
Esitò. "Fino a quando non l'ho trovato morto."
Chinai il capo. "Mi dispiace."
A quel punto mi fissò: "È per questo che non credo a quel ragazzo."
Annuii. "Ti capisco", feci una breve pausa e presi a guardarlo. "Però le persone non sono tutte uguali."
"Non sono riuscito a salvarlo, Cinzia. Ma prima di tutto è stato lui a non volersi salvare. E qua è la stessa cosa. Non possiamo salvarlo da soli."
"Però possiamo provarci. Se cerchiamo di fargli capire che c'è un'altra possibilità, allora potrebbe rendersi conto che la droga non è la soluzione ai suoi guai."
Lui prese a fissare il muro, ed io parlai.
"Il tuo migliore amico non ce l'ha fatta, ma qua c'è un altro ragazzo ora. Per lui non è ancora finita."
Mi guardò ed io annuii appena.
Arrivai a casa, esausta. Erano le undici di sera e di Gabriele neanche l'ombra. Sperai che ci avesse ripensato, che in qualche modo sapesse di potersi salvare e che magari stesse viaggiando lontano in cerca del suo paradiso personale.
Mi preparai la cena e andai a letto che era l'una passata.
Nel silenzio della notte mi ritrovai a fissare il soffitto e a pensare al dolore di Lentini a causa della perdita del suo migliore amico, e alla reazione che aveva assunto dinanzi a Gabriele.
L'ultima cosa alla quale pensai fu l'espressione di quel ragazzo: la maschera da duro che indossava serviva solo ad allontanare tutti e a celare la paura.
Infine mi addormentai.
Sognai di essere in ospedale, i corridoi si presentavano deserti e silenziosi.
Mentre la puzza di disinfettante mi si insediava nelle narici, udii il bip di un elettroencefalogramma.
Entrai in una stanza e vidi una cerchia di camici bianchi e verdi attorno ad un letto. Non vedevo il viso del paziente, ma sapevo bene di chi si trattava. Osservai le mani lungo i fianchi e le riconobbi in quelle di papà. "No", sussurrai come un lamento.
Le lacrime presero a scendermi, e mi misi a correre nella sua direzione. "Non lo toccate, voi non lo dovete toccare!"
Quelli si voltarono. Le mani intrise di sangue, imbevute come le spugne. Infine uno di loro scosse il capo.
"Non ci riuscirai", mi disse.
Aprii gli occhi di scatto e attesi. Mi ero svegliata, ma forse non era stato il sogno. Udii nuovamente bussare.
Mi alzai e recuperai la Glock. Raggiunsi la porta d'ingresso e chiesi chi era.
"Sono io, Gabriele."
Aprii e lo vidi tremare. Il suo viso era pallido e sudato.
Abbassai l'arma. "Che hai fatto?", domandai preoccupata.
"Vitale ci ha indicato un posto dove vendono della roba a buon prezzo."
Socchiusi gli occhi e li riaprii l'istante dopo. "Quanta ne hai presa?"
Mi mostrò il pugno chiuso. Quando lo aprii, vidi che sul palmo della mano teneva una cinquantina di euro accartocciati.
"Ho resistito, Fermi. Ho resistito", disse tra un tremito e un sorriso.
Sorrisi a mia volta e gli feci cenno di entrare in casa.
Non mi feci raccontare niente di quella notte. Cercai di tranquillizzarlo e chiamai un medico mio amico per farlo visitare e somministrargli qualcosa che non lo facesse soffrire troppo dall'astinenza da eroina. Infine gli cedetti il mio letto per far sì che potesse chiudere gli occhi e riposare.
L'avevo guardato dormire per qualche minuto e ogni tanto l'avevo visto sobbalzare nel sonno, come se in qualche modo stesse combattendo contro i propri incubi.
Sentivo gli occhi pesare, ma non m'importava più di tanto. Uscii sul balcone e mi cinsi le spalle.
Erano le sei e faceva freddo, ma la tazza di caffellatte caldo che mi stavo preparando, avrebbe fatto presto effetto.
Mentre ero intenta a godermi il mattino sorgere e il paesaggio animarsi lentamente, udii bussare.
Aggrottai la fronte e pensai di chi potesse trattarsi.
"Chi è?"
"Sono io", rispose Lentini.
Aprii e rimasi sulla porta. "Che ci fai qua a quest'ora?"
"Devo parlarti."
Mi scansai e lo lasciai entrare. Mi diressi in cucina e lui mi seguì.
"Vuoi del caffè, del latte, biscotti, torta, qualcosa?"
"No, ti ringrazio. Ho già fatto colazione."
A quel punto mi appoggiai al buffet e attesi.
"Ho rintracciato la famiglia di Gabriele", esordì.
Non lo interruppi.
"Ha solo più un fratello. I suoi genitori sono morti."
"In che modo?"
"Un incidente d'auto. È successo quando Gabriele aveva dieci anni. Il fratello dice che è stato poco dopo che è cambiato. Scappava di casa, si comportava in modo strano fino a che se n'è andato via dicendogli chiaro e tondo che non l'avrebbe mai più voluto vedere", fece una pausa. "Lui crede che Gabriele si vergogni di quello che è diventato."
"E non l'ha mai cercato?"
"A detta sua, non si è mai lasciato trovare."
Esitai. Poi dissi: "È di là."
"Che cosa?", domandò perplesso.
"È venuto qua, stanotte. Ha cercato aiuto, capisci? Ci ha chiesto aiuto."
"Era drogato?"
Scossi appena il capo. "Era in astinenza. Ha resistito, ed involontariamente ha fatto anche di più."
Lentini mi fissò senza capire.
"Mi ha fatto il nome di un certo Vitale. Dev'essere il cognome di un membro di questa gang, o magari del loro leader. Facciamo un controllo, vediamo cosa scopriamo."
Dopo qualche attimo di esitazione, Lentini annuì.
Gli feci cenno di seguirmi. Raggiunsi la camera da letto e bussai. "Gabriele, sto entrando."
Nessuna risposta.
"Forse dorme ancora", ipotizzò il mio partner.
Io però avevo una brutta sensazione. Spalancai la porta: notai il letto vuoto e le imposte spalancate.
Mi affacciai al davanzale, ma non vidi nulla. "Merda, è scappato", commentai.
Velocemente mi mossi in bagno, ma prima di chiudere la porta fissai Lentini: "Vai in commissariato, vedi se riesci a trovare qualcosa su questo Vitale. Io mi preparo e ti raggiungo là."
Mezz'ora dopo mi dirigevo verso l'ufficio di Lorusso. Lentini era là con lui.
"Avete scoperto qualcosa?", chiesi.
"Abbiamo trovato la scheda del fantomatico Vitale."
Mi mostrò la documentazione. "Arresti per spaccio e detenzione per quantitativo di eroina eccedente l'uso personale, sconto di pene detentive che vanno dai reati minori a quelli decisamente più pesanti."
"Tipo?"
"Eravamo sulla pista esatta. Li istiga al suicidio."
Scossi il capo.
"Come avete intenzione di muovervi?", domandò Lorusso.
Alzai il braccio e mostrai quello che tenevo in mano.
Lentini aggrottò la fronte. "Cos'è?"
"Era sul mio comodino, l'ha lasciata Gabriele."
La porsi a Lorusso, e spiegai: "È la tessera dei soci di una casa ritrovo per anziani."
"E cosa c'entra col caso che stiamo seguendo?"
"Potrebbe essere il loro covo, ottimo per mascherare quello che compie questo Vitale."
Lorusso ci pensò su ed io insistetti. "Abbiamo solo questo. Verificare non ci costa nulla."
Il vicequestore annuì dopo pochi istanti. "D'accordo. Cominciate ad incamminarvi. Io raduno qualche volante e vi raggiungo."
Raggiungemmo il posto a piedi dopo aver parcheggiato l'auto distante. Camminammo di soppiatto e attraversammo il giardino.
Presto ci ritrovammo all'interno: tutto sembrava, meno che un ritrovo per anziani.
Sentii dei passi e mi guardai attorno. Feci cenno di fare silenzio e Lentini annuì.
Due tizi attraversarono il corridoio come se nulla fosse e svoltarono l'angolo.
"Per un pelo", commentò il mio partner.
"Mica tanto!", disse qualcuno alle nostre spalle.
Alzai gli occhi al cielo.
"Alzatevi lentamente. Anche le mani", ci ordinò qualcuno.
Ubbidimmo, e una volta in piedi presi coscienza di chi aveva parlato. Tre ragazzi sui vent'anni se ne stavano in piedi poco più in là.
"Camminate avanti a noi", ci ordinò uno.
Presto arrivammo in una stanza dall'atmosfera alquanto particolare, e appena Lentini riconobbe Gabriele, lo chiamò ad alta voce.
Con lui si voltarono anche gli altri presenti.
Poi si avvicinò a noi, e impaurito, chiese: "Voi cosa fate qua?"
"Sei scappato", dissi.
Si rivolse a me, ma chinò il capo. "Ho dovuto, mi dispiace."
"Dispiace anche a me", risposi.
Calò il silenzio e un uomo sulla quarantina si fece strada tra tutti. "Hai invitato degli amici e non mi dici niente?"
"Tu sei Vitale", affermò Lentini.
"E tu sei?"
"Ha poca importanza. Siamo qua per il ragazzo."
"Il ragazzo sta bene dove sta. Potete chiedere a lui."
Si voltò verso Gabriele che chinò nuovamente il viso. "Avanti... dillo ai tuoi nuovi amici che stai bene dove stai."
"Sto bene dove sto", ripeté poco convinto.
Vitale ci fissò e sorrise. "E ora che l'avete sentito da lui, vogliate scusarci..."
Lasciai il compito al mio partner. Sapevo che voleva riscattarsi per non aver potuto salvare il suo migliore amico, anni addietro.
"Vieni via con noi", disse d'un tratto Lentini.
Gabriele alzò lo sguardo su di lui. "Devo restare. Non ho scelta."
"Sì che ce l'hai."
"Non ho niente da perdere."
Il ragazzo fece per andarsene, ma Lentini non aveva intenzione di lasciarlo là. "Mi ha detto dei tuoi genitori!"
Gabriele si bloccò e mi fissò come per chiedere conferma.
Io annuii e lui tornò a guardare Lentini che riprese: "Tuo fratello mi ha raccontato di quanto hai sofferto quando sono morti, e delle rinunce che hai fatto per stargli accanto."
Attese, ma insistette nel parlare quando Gabriele non disse nulla. "Mi ha detto che ti chiamavano il guardiano di tombe perché facevi visita ai tuoi genitori tutti i giorni, che stavi ore dinanzi alle loro lapidi e che gli portavi regali e gli leggevi libri e giornali per tenergli compagnia."
Senza smettere di guardarlo col viso rigato di lacrime, il ragazzo chiese: "Davvero te l'ha detto Sergio?"
Lentini annuì. "Sì. E lui non ha mai smesso di volerti bene. Vorrebbe tanto rivederti."
A quel punto Gabriele prese a sorridere, e il mio partner continuò: "C'è un amore grandissimo nel tuo cuore. Quelli che stanno qua non si comportano in questo modo."
Cercò ancora di più il suo sguardo quando disse: "Qua non hanno bisogno di quello che hai. Qua non vogliono quello che hai."
Fu pochi secondi dopo, che Gabriele fece qualche passo e si schierò in mezzo a me e Lentini.
Poi rivolgendosi a Vitale, disse: "Sono io che posso decidere della mia vita, e io scelgo di andarmene via", fece una pausa. "Per quanto riguarda il resto... ti perdono, e spero che anche tu prima o poi possa salvarti."
Vitale restò incredulo per qualche minuto. Alla fine disse: "Ma sì, vattene a fare in culo con i tuoi amici. Non so che farmene di uno così!"
"Tu vieni con noi", lo interruppi.
L'uomo mi fissò e sorrise di sbieco. "E dove, tesoro?"
Gli mostrai il distintivo. "In centrale, tesoro."
Vitale sembrò trasalire, ma cercò di sembrare calmo quando disse: "Devi avere le prove, sbirro. E questo non è altro che un ritrovo tra ragazzi che amano stare in compagnia."
"Già. Ed è per questo che il cartello fuori dice chiaramente che si tratta di un circolo per anziani?"
"Non ha importanza. Lo vedi tu stessa: non facciamo niente di illegale."
"Ci sarà la testimonianza di Gabriele a smontare le tue certezze."
"Nessuno crederà alla parola di un tossico."
"Questo è da vedere", feci una breve pausa. "E comunque c'è la nostra conferma. Dici che il giudice non crederà nemmeno a quella?"
Lui non rispose e sembrò riflettere sul da farsi.
Intuii cosa aveva in mente: mentre i ragazzi presenti impugnarono le proprie armi e ce le rivoltarono contro, io e Lentini facemmo altrettanto piazzandoci spalle al muro.
Vitale si rivolse ai suoi ragazzi. "Idioti, non gli avete sequestrato le armi!"
Loro non risposero. Ma quando lui tornò a fissarmi, lo fece assumendo un ghigno divertito, come se all'improvviso si fosse accorto di qualcosa che tutto d'un tratto, lo tranquillizzava.
"Mettetele giù", ci disse.
"Non sei tu a dettare le regole, questa volta."
"Avanti sbirri... voi siete solo due. Tre con quel fottuto tossico disarmato. Noi siamo molti di più. Devo solo ordinargli di sparare e voi vi ritrovereste per terra crivellati di piombo."
Stavo valutando la situazione, quando notai il puntino rosso del laser sul corpo di Vitale. Da qualche parte, doveva essere arrivato Lorusso coi rinforzi.
A quel punto presi a dire. "La tua sarebbe una giusta ipotesi..."
"No, la mia è una giusta ipotesi."
"E che fai se ti dico che fuori è pieno di poliziotti e che uno di loro ti sta puntando un'arma contro?"
"Direi che stai mentendo. I trucchi con me non funzionano."
"Come preferisci."
"Il vostro commissariato avrà due agenti in meno da oggi."
Due ragazzi caricarono le armi. Io e Lentini ci abbassammo a terra e trascinammo giù anche Gabriele.
A quel punto udii degli spari. Andammo a nasconderci, mentre di sfuggita vidi Vitale e gli altri accasciarsi a terra.
Quando la sparatoria cessò, uscii allo scoperto e vidi Lorusso venirmi in contro.
"Lei dev'essere proprio il nostro angelo custode, dottore", dissi.
"Vi avevo detto di incamminarvi, non di procedere all'irruzione!"
Nessuno dei due emise fiato. Eravamo in torto, e lo sapevamo bene. Una delle regole fondamentali che cercavano di inculcarti all'accademia, era proprio questa: mai mettere in pericolo la propria vita e quella di un collega.
"Noi pensiamo a loro. Voi occupatevi del ragazzo", disse infine.
Poi si allontanò.
Diversi giorni dopo l'accaduto, eravamo venuti a conoscenza del fatto che Gabriele aveva rintracciato suo fratello, che l'avrebbe accolto con sé ed aiutato a disintossicarsi definitivamente. Non sarebbe stato facile, ma l'affetto di una persona cara, spesso è indice di forza.
Parcheggiai l'auto al commissariato e notai Lentini poco più in là ad osservare l'alba sorgere.
"Sono molto fiera di te. Hai fatto un discorso da oscar a Gabriele, l'altro giorno", dissi.
Lui si voltò e mi sorrise. "La prossima volta devo ricordarmi di portare un registratore."
"Perché?", domandai raggiungendolo.
"Per quello che hai appena detto. È una soddisfazione quando dalla tua bocca esce un complimento rivolto a me. Di solito m'insulti solo."
"Beh, è perché te lo meriti."
Lui esitò per pochi istanti. Poi continuò: "Davvero, ti sono grato. Per quello che hai fatto, intendo. Per avermi fatto capire che Gabriele poteva cambiare, e per avermi fatto credere che le persone in generale possono cambiare."
"Ringrazia te stesso per averti permesso di ricrederti."
Senza aggiungere altro, riprendemmo a fissare il sole sorgere: uno di quei momenti colmi di quiete; di quelli che nelle vite che avevamo deciso di vivere, erano rari.
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- Grazie mille, Sara! Sono felice che ti sia piaciuto! Eheh, eh già: tu e le storie a lieto fine siete una cosa sola!
@mariateresa: purtroppo non avere la possibilità di poter parlare direttamente con gente competente in quegli ambienti, comporta anche scrivere delle imprecisioni. Ad ogni modo, per quanto mi riguarda, cerco di essere il più precisa possibile documentandomi su Internet, leggendo libri e guardando film e telefilm che trattano di polizia.
E in ciò che leggo e visiono, nelle stanze degli interrogatori funziona anche così.
Poi appunto, l'hai detto: è un'opera di immaginazione, e si sa che i fatti riportati sono descritti in maniera un po' romanzata! 
- Il racconto non è male, ha un suo ritmo, però nelle stanze della Polizia non funziona così. se si vuole parlare di un ambiente, di una situazione specifica, occorre conoscerla... poi d'accordo...è un opera di immaginazione...

- Questo non potevo perderlo! brava Roby, bella storia! Mi ha colpito subito il titolo e la storia a lieto fine mi è piaciuta molto, anzi il finale è anche simpatico!

- non è che abbia perso l'ispirazione... è che sono ancora impegnato con il lungo romanzo che hai provato a vedere su Net, quindi, per ora, niente racconti brevi.
Comunque tornerò a pubblicare, questo è sicuro 
- Ed io che lo vedevo un po' nudo, senza sangue ed omicidi. Ahahah!
Son contenta che ti sia piaciuto, Ste! Anzi, che addirittura sia uno tra i tuoi preferiti.
E tu? Per il momento non pubblichi più qua?
- Giova? Vecchio no, solo bavoso.

Un abbraccio!
- ecco qui un tuo racconto che non si vede tutti i giorni... nessun omicidio, non me lo sarei aspettato ahahah!!!!
A parte gli scherzi, a me è piaciuto veramente molto; leggermente diverso dal solito, mostra un altro lato di Lentini e lo mette in primo piano nella risoluzione del caso. Caspita, alla fine riceve persino i complimenti da Cinzia... ha ragione, avrebbe dovuto portare un registratore 
Il lieto fine poi ci sta tutto... ogni tanto è bene che le storie, essendo tali, finiscano nel migliore dei modi. Fin troppe volte nella realtà simili vicende hanno un triste epilogo, non era il caso di seguire questo terribile standard.
Se non sono stato sufficientemente chiaro, uno dei racconti che ho preferito... 5 stelle!!!! 
- aaahhhahahhaah!!

mi prendi in giro, eh?
il viaggio è andato bene, poi ti dico.
mi piace mancare per un po' e al ritorno trovare qualcosa di bello da leggere. poi non vorrei sembrare un vecchio bavoso ma quando c'è Fermi di mezzo... eeheheh!!
- Beh, non direi tanto fedele... l'ho pubblicato quattro giorni fa. Buahahah! Ovviamente scherzooooo, lo sai che tivibì!
Ma ciao! Allora, 'sto viaggio com'è andato? Poi mi racconti come si deve.
No, vabbè. Ovviamente il racconto mi piace, altrimenti non l'avrei neanche pubblicato... però in confronto ad altri che ho scritto, lo preferisco meno. Ecco tutto. 
- vedi come ti sono fedele? tornato dal lungo viaggio sono qua a gustarmi i tuoi bei thriller. leggevo la risposta che hai dato a Vincenzo... perchè questo non è tra i tuoi preferiti? a me è piaciuto!! portano proprio la tua firma. bravissima Robi, kissss!!
- Ahahahah! Sì, questa volta niente cadaveri o colpi di scena particolari.
Ti dirò... questo racconto non è esattamente tra i miei preferiti. Ce l'avevo da parte da parecchi mesi, ma l'ho modificato fino alla fine. Devo dire che ero anche indecisa se pubblicarlo o meno, però era là che mi guardava triste e sconsolato, e allora ho optato per il sì.
Poi, come hai giustamente notato, in questo caso ho voluto concedere spazio a Lentini e mostrare un lato un po' più umano e nascosto. Insomma, far capire che non è solo un ninfomane.
A questo punto, grazie anche a te di seguirmi sempre, Mottola!
Ciaooo! 
- Triste, sta storia della droga, fortuna che c'è il lietofine. Stavolta hai concesso più spazio a Lentini, il discorso bello è toccato a lui e non ha nemmeno sbavato un pochino su una donna, pare sia davvero migliorato!!

Bello aver trovato questo tuo racconto dopo un po' di tempo, l'ho letto con piacere, sei stata molto brava; direi che stavolta possiamo dire "noir", niente cadaveri, atmosfera un po' triste, storia morbida, senza strappi, accelerazioni improvvise o colpi di scena, un racconto di polizia, semplice ed amaro.
Brava, Robi, come sempre. Ciao!! 

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