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Giostra dei morti

Una sera d'inverno, per una coincidenza fortunata, mi trovo in compagnia di tre vecchi amici. Parliamo di libri, di donne, di giovinezza, di amori...
La vecchia cucina è riscaldata dal fuoco scoppiettante del camino. Sulla tovaglia a scacchi bianchi e rossi ci sono lasagne fatte col torchio, anatra arrosto, patate fritte, funghi, peperoni e bottiglie di clinto e greco bianco. Il risultato è una serata trascorsa in allegria e una cena forse un po' troppo pesante.
Finito di mangiare, dopo sigari e caffè, ci è passata la voglia di andare a dormire. Da un cassetto della credenza, qualcuno tira fuori un mazzo di carte unto, e due amici incominciano una partita a scopa. Io preferisco fare una passeggiata insieme a Tom, per favorire la digestione.
È una notte di gennaio, gelida e stellata. Per le strade del paese non si vede anima viva. I lampioni sono accesi uno ogni tre, le vetrine hanno le saracinesche abbassate, le finestre degli edifici sono tutte buie. Il campanile della vecchia abbazia sta battendo la mezzanotte e i paesani sono già andati a dormire.
Camminiamo sulle pietre sconnesse del marciapiede e i nostri passi disturbano il silenzio profondo della notte. Abbiamo continuato la nostra chiacchierata, ma più sottovoce, quasi intimiditi dalla maestà della notte. Il vento fa volare fogli di giornali lungo il marciapiede e anche un fazzoletto bianco con impronte di rossetto.
La via sbocca in una piazza debolmente rischiarata dove al centro sta una fontana ghiacciata che rappresenta Nettuno. Gli zampilli d'acqua sono tutti congelati in un intrico di stalattiti, sopra lo specchio ghiacciato.
Lentamente attraversiamo la piazza e imbocchiamo una via all'opposto che si ingolfa nel buio. Porticati scuri, edifici chiusi, giardini rinsecchiti dalla morsa dell'inverno e panchine solitarie luccicanti di brina.
La strada costeggia adesso i ruderi della vecchia abbazia. Solamente il campanile è rimasto in piedi. Il tetto dell'edificio è crollato e le arcate gotiche ritagliano curve nere nel cielo stellato. Una luna calante, marcia e deforme, si è levata intanto dietro l'abbazia e rischiara i ruderi di luce giallastra.
Noi ci fermiamo per ammirare lo spettacolo degli archi acuti, dei contorni dentellati sui muraglioni in rovina. Tutto appare immobile, statico, congelato. O forse no. Qualcosa si muove lassù in alto. Sono i tralci di edera che pendono dai muri, ma non è solo questo... Qualcuno sta ballando sui tetti delle case vicine, al chiar di luna.
Ma no, si tratta solo di figure di carta che si agitano nella brezza notturna. C'è un filo teso fra una finestra e il ramo di un olmo e vi sono appese delle sagome bianche di carta.
Senonché le sagome non rappresentano figure allegre, tutt'altro... Scheletrini, pipistrelli, fantasmi, omini gobbi e panciuti ritagliati di sbieco, a zig zag...
Mentre siamo assorti a guardare, all'angolo della via spunta un vecchio con cappello nero e mantello nero. La sua barba bianca luccica per l'umidità, mentre parla con voce roca:
"Che diavolo fate qui? A quest'ora? Guardate le marionette?"
Tom conosce lo strano personaggio e ricambia il saluto:
"Oh, Vittorio, anche voi qui..."
Il vecchio si avvicina ancora di più e sento il suo alito che puzza di vino:
"Già, adesso ci siamo tutti. Aspettiamo che arrivi il Conte Dracula per farci un salasso di buon sangue..."

 

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3 commenti:

  • sara zucchetti il 01/02/2011 12:18
    Bel racconto mi piace perchè non mi ha fatto tanta paura e alla fine si teme l'orrore ma non lo dici. Bravo scritto bene
  • Anonimo il 30/01/2011 10:56
    Se dici "una sera d'inverno" non è corretto che tu inserisca nel racconto l'uso del presente. È come dire... il 24 Agosto del 2010 mi trovo in India... si può anche accettare... ma in un diario, in una biografia... o qualcosa di questo tipo. Qui sei stato un po' confuso nel legare espressioni avverbiali, sintagmi varii e tempi del verbo. Per il resto... si legge abbastanza bene. Ciao!
  • Anonimo il 30/01/2011 10:02
    Vabbè... dai, horror è un po' troppo. Tipica storiella contadina delle mie parti, scritta molto bene, anche. Dico delle mie parti perchè hai parlato di clinto ed anatra arrosto... campagna del bresciano-mantovano-veronese. Il tuo cognome mi fa propendere per la zona di sommacampagna... nebbie a gogò.
    Un bel modo di scrivere anche se la storia in sè è povera. Essendo un bevitore di clinto volevo dirti che io correggerei... anche da noi lo si chiama così, in dialetto, ma il vero termine è Clinton, come il famoso presidente. Ciaociao... e bravo. 5 stelle.

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