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La Ninfa del ghiaccio
Volgeva al termine la stagione del dio Vahun, il dio che dominava le correnti d’aria fredde, le nevi e i ghiacci dell’inverno.
I primi germogli iniziavano a crescere e nascere sulla terra ancora candida, il verde di quelle piccole foglie brillava acceso sotto i raggi dorati del disco di fuoco.
E preso la cascata di Thaar, inizia questo racconto…
Sulle rive del lago che si formava sotto il getto d’acqua ghiacciato, un’esile figura avvolta in una semplice e trasparente veste azzurra era china ad esaminare con un’espressione depressa i flutti immobili. Gli occhi vitrei, quasi vuoti, bianchi e lucenti, un bagliore di vita e uno sguardo dolce, melanconico e semi-assente.
Le fragili mani perlacee, come il resto della carnagione, poggiate tremanti a terra, sulla neve che piano diveniva liquida al sole, una sottile e morbida chioma bianca sulle spalle di quell’esile creatura, ciuffi protesi in avanti a coprirle metà viso a punta, lineamenti delicati e poco marcati…
Un tonfo, un altro, di nuovo un terzo.
L’esile creatura sobbalzò, sussultò portandosi una mano alle labbra che recavano una sfumatura di celeste cielo.
Rimase ancora china su quella gelida riva, si toccò ancora le labbra, sussultò di nuovo con paura…or socchiuse le iridi bianche, tremò appena…un altro tonfo, si stava avvicinando…sentì il proprio cuore batter e aumentare quei battiti all’inizio flebili…doveva solo attendere ora…
Un soffio di vento smosse l’aria caricando ogni luogo circostante di un tetro silenzio, perfino l’acqua della cascata smise di cadere con la sua potenza, le mille gocce fredde finirono come pietrificate mentre le iridi sconvolte della creatura assistevano a quello spettacolo.
Cadde un tombale silenzio, la creatura assunse un atteggiamento frenetico, iniziò ad appiattirsi sul terreno nevoso, scavò nella candida neve nascondendo le braccia sotto quella coperta fredda, or con tutto il corpo si prostrava alla cascata immobile e morta.
Tremò, ma non per il freddo, quei tonfi non si udivano più ma ella sapeva che vi erano proprio dietro di lei, silenziosi ed intonati alla musica invisibile. Strizzò forte le iridi bianche, strusciò il labbro inferiore sui denti, si morse, ma non uscì sangue.
Le ciocche argentee caddero sul suo viso a punta, i raggi dell’ancora presente sole rifletterono bagliori di luce su quella liscia e povera chioma, la creatura trattenne il fiato, serrò i pugni, quei riflessi l’avevano tradita ed ora lo Yhu l’avrebbe trovata.
Sotto i passi dello Yhu la terra tremava, ma ogni rumore era assente dal luogo sotto il giogo di quel che pareva un incantesimo lanciato dallo Yhu stesso.
La creatura or appariva tremula e minuta, sovrastata dall’ombra minacciosa di colui che temeva.
Poi un sussurro, una sferza di gelido vento che va a ricordare una spietata lama, squarciò l’aria e dritta puntò alla creatura ancora tremante, impaurita e raggomitolata sulla neve.
“Qui ancora sei, piccola e creatura sudicia, alla neve sporcare con il tuo corpo minuto e corpo indegno di mondo questo?”
Parole che parevan sconnesse, vi dico, ma che invece la creatura accasciata al suolo ben poteva comprendere dalle sue sottili orecchie.
Piano ella si voltò a guardare il suo aggressore, quella minaccia che tanto pregava per non mai vedere.
Ciocche lisce di capelli le coprivano mezzo viso, sparse sul quel candore pallido e sbattuto per la paura.
“Sono solo persa…non…”
Ma quel mormorio di cristallo venne spezzato da un singhiozzo della creaturina stessa, la mano ancora stretta alle labbra, le dita tremanti come le gambe sottili e fine, solo semi coperte dalla vestina leggera…
Lo Yhu era quel che era conosciuta come una delle più belle creature della dea Ihra, Colei che ogni fiore ed ogni filo d’erba fa crescere rigoglioso nelle primavere.
Lo Yhu rassomigliava ad un cavallo più imponente del normale, con un crine dorato che ogni raggio di luce catturava facendolo proprio e brillando d’un intenso chiarore splendente. Un manto d’avorio lo ricopriva, ogni suo passo lieve e silenzioso anche se eran zoccoli possenti ad investire i suoi estremi degli arti.
E svolazzante, ondeggiante ad ogni piacevole vento, morbida e flessuosa era la coda della creatura, portante mille colori sui peli di seta. E lunga, che ad esso faceva da strascico. Leggera toccava terra e lasciava al suo passaggio fiorito il prato e viva la terra. Tracce di candida neve si scioglievano dissetando le nuove foglie smeraldine. Ovunque passasse nuova vita sbocciava lieta.
Rigoroso e serena visione era quella dello Yhu, uno strano potere lo accompagnava ed egli poteva infondere tranquillità e pace negli animi di coloro che incontrava sulla sua strada.
Ma la creatura azzurra, ancora rannicchiata su se stessa e tremante, era appartenente al dio Vahun che domina invece ogni inverno. Ed ella trovava solo la fine della sua esistenza nell’essere che ora la sovrastava, adirato di vederla ancora fuori dal cancelli del Nord, il luogo ove le creature d’Inverno trovavano la loro casa durante i periodi caldi.
Quella che poi era la Ninfa del ghiaccio or si specchiava tristamente negli occhi verdi e profondi dello Yhu, ancora un bagliore di paura delle bianche iridi di lei, nessuno a soccorrerla.
L’animale imponente nella sua bellezza semidivina osservava severamente la ninfa, poi protese il muso verso di lei, respirando intensamente l’aria che piano scaldava sotto i raggi solari.
“Vaga per i prati, creatura sciocca, che se aiuto il Dio darti vuole ancora, che salvi il tuo essere. Fuggi dalla, che porto, Signora.”
E proferito ciò lo Yhu impennò sulle zampe anteriore, lanciò un grido musicale al cielo squarciando luci ed aria, mentre impietrita la ninfa guardava.
In fretta, veloce come il vento la piccola creatura si alzò, iniziò a correre con tutta la rapidità che possedeva, l’aria mancò presto negli esili polmoni, strinse i piccoli pugni mentre le fronde degli alberi le frenavano la corsa. Abbandonò il luogo per spostarsi in un folto bosco, animato dagli animali che or sorgevano dal letargo. Corse ancora senza sosta, ovunque ella poteva trovare pace.
Fino alla notte corse, ove ora l’aria si fa calda, primaverile, mortale per la creatura d’inverno.
Su un picco, sfinita si fermò a rimirare ansante la luna che mezzo cielo riempiva. Le candide iridi sgranate, piano e lente le mani tese verso il firmamento lontano, la sua leggera veste si disfece alla brezza calda su di lei, mani trasparenti dolcemente portarla via e consumarla.
Un gemito all’astro, alle stelle luminose e vive della vita che lei stava perdendo.
Tese ancor le mani, la Ninfa del ghiaccio raggiunse la punta del picco, si protese ancora mentre il vento cullarla per ucciderla voleva.
Nei pensieri della creatura vi era lo Yhu e la sua eleganza, egli una possibilità le aveva donato ma troppo lontana da casa ormai era rimasta.
Indietro, abbandonata, il suo gruppo non l’aveva aspettata.
Con un ultimo sussurro, un freddo canto struggente e colmo di nivee lacrime, ella s’abbandonò al baratro del picco, ma sorretta dalle ali del vento galleggiò nel cielo, fino a dissolversi in argentea e brillante polvere.
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