racconti » Racconti brevi » Capitoli
Capitoli
Era una mattina buia, il cielo cupo e un vento pronto a portarti via. Quel pomeriggio, dopo le lezioni si sarebbe svolto un incontro tra genitori e docenti, così per conoscerli.
Piccola decise di avvertire comunque sua madre nonostante sapesse che questa non ci sarebbe andata. Quel pomeriggio avrebbe infatti avuto il sesto incontro con gli alcolisti anonimi. Questo avveniva due volte a settimana.
Il padre invece?! Erano mesi che non lo vedeva dopo il divorzio con la madre. Ma di questo si parlerà in un altro momento.
Erano le 9. 00 e stava per entrare in classe pronta a lavorare il tornio. Infilatasi il camicie entrò nel laboratorio meccanico dove l'attendeva l'intera classe. Non mostrò mai nessuno problema ad essere l'unica femmina nella sua sezione, tanto meno a sentirsi al centro dell'attenzione. Ciò gli era sempre piaciuto.
Era lì, con gli sguardi maschili che la circondavano. Fece anche un ottimo lavoro.
-"Non pensavo ti divertissi a lavorare il tornio, sei la prima ragazza a cui vedo farlo."
-"Molte cose non dai di me, Daniel."
-"Di tempo per conoscerci però ne abbiamo molto, altri tre anni!"
-"Che fortuna." Sospirò con un piccolo sorrisetto.
-"L'ultima persona che mi ha detto una cosa simile si è poi pazzamente innamorata di me."
-"Stava messa male non credi? Io di sicuro non punto a te, tanto meno ad uno sbruffone che si crede bello quando non lo è."
Tutta la classe scoppiò a ridere. Piccola era la prima in tutto l'istituto che gli rispose cosi. Ci rimase anche lui.
-"A brò devi solo abbozzà..."
Iniziarono ad urlare i ragazzi nell' aula.
Daniel abbassò lo sguardo mentre lei, con passo seducente, avvicinandosi, lo baciò.
Tutti rimasero sorpresi anche da ciò. Nessuno capiva il suo comportamento, prima lo derise e poi lo baciò. Che strano effetto che fece. L' intera classe rimase a bocca aperta.
Daniel nel frattempo, sorrise.
-"Ne ero sicuro, nessuno può resistermi."
Era l'ultima ora di lezione, italiano. La professoressa era tutta presa a spiegare Leopardi, grande poeta che per tutti gli studenti era un pazzo che non aveva una vita sociale. Pensava solo allo studio, sì un vero matto.
Gli alunni erano tutti presi a lanciarsi pallette di carte e giocare a carte. Era cosi che passavano le ore a scuola.
-"Allora? Come bacio?" Chiese Daniel.
-"C'è di meglio." Rispose la Piccola Scrittrice.
-"Ah..."
I due scoppiarono a ridere e proprio in quel momento suonò la campanella. Alcuni rimasero a scuola per i colloqui altri tornarono a casa.
-"Piccola i tuoi genitori verranno?" Chiese la professoressa prima di uscire.
-"No. Ci vediamo domani, io ora vado."
Il tempo sembrava essersi rimesso e la giovane era pronta a salire in motorino e dirigersi verso casa.
Appena arrivata, trovò il pranzo pronto. Pennette alla vodka, accompagnato da bistecca e insalata. I suoi piatti preferiti.
Sul tavolo da pranzo trovò anche una lettera scritta dalla madre. Per la prima volta, la ragazza aveva le lacrime agli occhi.
"Non ti sei mai fidata di me ed hai fatto bene. Non ti volevo e tu lo sapevi, sei nata per sbaglio però forze sei stata l'unica cosa bella e vera della mia vita. Ora a sedici anni dalla tua nascita ho capito tante cose a partire dal bene che ti voglio. Sono a conoscenza di tutto il male che io e tuo padre ti abbiamo fatto ed è per questo che ho deciso di cambiare, per te e per il tuo bene. Forse è troppo tardi ma spero che tu mi possa perdonare.
Ora vai di corsa a mangiare prima che il cibo si raffreddi. Ti voglio bene e scusa se non te l'ho mai detto. Buon pomeriggio, mamma."
Quelle parole la fecere commuovere e lei sapeva bene che quelle erano vere.
-"Ti voglio bene anche io mamma." Disse tra i singhiozzi e le lacrime di felicità.
Si diresse così verso il tavolo pronta a mangiare, qualche cosa però interruppe il suo cammino.
Drinn, drinn. Squillò il telefono.
-"Pronto chi è?" Rispose Piccola.
-"Ehi ciao, allora come stai?"
-"Ma chi sei? Penso proprio che tu abbia sbagliato numero". Continuò.
-"No, no il numero è giusto. Proprio non mi riconosci?"
-"Senti, gli indovinelli non mi sono piaciuti, dimmi chi sei e sbrigati pure." La giovane stava per perdere la pazienza.
-"Ne hai sempre avuta poca, vero?"
-"Ma cosa? Allora chi sei?"
-"Di pazienza intendevo, ti alteri sempre per poco. Comunque sono Valerio. Il mio nome non ti dice nulla?"
Valerio iniziò a pensare tra sè la ragazza. Chi era mai?!
-"No mi dispiace, ma ci conosciamo?"
-"Non mi hai mai notato. Ero il tuo vicino di casa, passavo le ore a guardarti, eri troppo bella."
-"Il mio vicino di casa?" Iniziò a chiedere perplessa.
-"Neanche sapevi di averne uno, vero? Comunque si. Sono quel ragazzo con il quale ti sei scontrata un paio di volte per le scale. Vedo che mi hai notato molto."
-"Evidentemente non sei bello, sennò ti avevo già notato."
-"Sono passati tre anni da quando ti sei trasferita a Nettuno, ma come sento non sei cambiata per niente. Sempre la solita sfacciata, egocentrica."
-"Se mi vuoi insultare, fare la ramanzina ocose del genere, bhè mi dispiace ma non ho tempo per te."
-"No tranquilla, nulla del genere, ti volevo solo dire che mi manchi e che mi sei piaciuta fin dall'inizio."
-"Bene ora che me l'hai detto, spero che tu sia più felice." Rispose Piccola.
-"Veramente..."
-"Io ora ho da fare, ciao."
-"Aspetta non riattaccare ti prego."
Tuh tuh tuh tuh. Troppo tardi.
Valerio, mhà... Sospirò.
Finito il pranzo di sedette sul divano pronta a fare i compiti di matematica. Le parabole, l'argomento più brutto dell' algebra.
Ci impiegò circa mezz'ora per compiere quei tre esercizi che il professore gli aveva assegnato.
Erano le 17. 30 e la giovane non sapeva che fare, allora si recò nella sua camera e iniziò a tirar fuori, dagli armadi, vecchi album fotografici.
Sorrisi, maschere di carnevale, neonati, amiche. Ecco cosa raffiguravano quelle foto ormai piene di polvere.
Silvia, la sua cara amica anzi migliore amica. La conosceva fin da piccola, erano nate nello stesso ospedale con qualche ora di distanza.
Questa si dovette però trasferire a tredici anni insieme ai genitori a New York, a causa del lavoro del padre.
Forse era proprio per quel motivo che Piccola non riusciva ad avere pià un vero concetto di Amicizia. Non sopportò mai l'idea di lasciarla, di non averla più accanto, di non sentirla tutti i giorni o vederla.
Aveva anche in quel momento le lacrime agli occhi, quest'ultimi erano però anche colmi di rabbia. Infondo la colpa non era di Silvia. Povera bambina.
In quell'album trovò anche le vecchie lettere che le maestre facevano scrivere alle elementari, quelle lettere indirizzate ai genitori dove gli promettevano di essere più buone ed educate.
Un piccolo sorriso gli scappò.
-"Era tutto più bello da piccola, l'ho sempre detto." Dichiarò la giovane.
Si sdraiò poi sul letto con la musica a palla, mentre continuava a sfogliare quei ricordi.
"Valerio" iniziò a pronunciare. Chissà forse un giorno, più in là, ti noterò. Continuò a sospirare.
Decise poi di mettere via le foto ed uscire.
Scesa al portone, accese il motorino e partì, via. Ottanta Km/h con i capelli all' aria, non le piaceva portare il casco.
Percorse tutto il lungo mare quando si fermò e lo vide. Era Daniel, là seduto sulla spiaggia a guardare le onde del mare.
Scese e a piedi nudi gli corse incontro.
-"Assorto nei tuoi pensieri vero?"
Saltò quasi in aria terrorizzato.
-"Sono così brutta?" Chiese con un gran sorriso, Piccola.
-"No scusa è che non ti avevo visto. Ma che ci fai qua?"
-"Un giro in motorino, poi ti ho visto e ho deciso di fermarmi. Disturbo?"
-"No, no tranquilla. Siediti."
-"No grazie, mi sporco i pantaloni nuovi sennò."
-"Bhè tanto ormai ti sei sporcata anche le scarpe."
-"No mi dispiace per te ma quelle stanno nella sella dello scooter. Sto a piedi nudi."
Daniel abbassò lo sguardo.
-"Ah, non me ne ero accorto scusa."
-"Scusa, e di cosa? Si può sapere cos'hai?"
-"Niente perchè? Sto solo guardando il mare."
-"Niente? Sei uno sbruffone nato, ti credi di essere il migliore, fai il duro e poi chiedi scusa per niente?!"
-"L'apparenza inganna."
-"Anche quello è vero, ma allora mi vuoi dire cos'hai?"
Daniel la guardò con gli occhi pieni di lacrime.
-"Ti prego abbracciami."
-"Ma, cos'hai?"
-"Shh non parlare. Abbracciami e stammi vicino, ti prego."
Rimasero cosi abbracciati su quella spiaggia, tra il vento e le onde. I minuti passarono e così senza parole passarono le ore.
-"Ora devo andare. Ci vediamo domani a scuola."
-"Oserai prendermi in giro anche per questo, vero?"
-"Perchè dovrei? Ognuno a le proprie debolezze."
-"Mi hai visto piangere, cosa rara che succede." Esclamò il ragazzo guardandola negli occhi.
-"E allora? Era uno sfogo, qual'è il problema? Ognuno ha il diritto di piangere."
-"Grazie. Sei un'amica."
Piccola così se ne andò senza più dire nulla.
Nel tragitto verso caso, continuò a pensare a Daniel e al motivo per il quale stava piangendo.
-"Ha un cuore, un cuore d'oro!" Esclamò mentre rientrò in casa.
-"Finalmente ma dove eri?" Chiese preoccupata la mamma.
-"Com'è andata la seduta?"
-"Rispondimi, sono le 22. 00 ti sembra questa l'ora di tornare senza neanche avvertire."
-"Non ti sei mai preoccupata di me ed ora inizi a farmi la ramanzina. Io almeno esco e non a bere o drogarmi."
-"Perché mi tratti così? Anche nella lettera ti ho chiesto le mie scuse."
-"Già, credi di cavartela così vero? Però ricordati sono cresciuta da sola, tra le vie di Nettuno e Roma. Non mi sei mai stata accanto, non ti sei mai degnata di chiedermi come stavo o come andavo a scuola. Non conosci i miei amici ed ora, ha sedici anni dalla mia nascita vorresti rimediare? Hai molto da farti perdonare a partire dalle violenze subite da papà. Non mi hai mai difeso."
-"Avevo paura anche io come te, paura che potesse farmi del male."
-"Certo, ma difendere tua figlia no, era troppo?!"
La situazione stava peggiorando, la lettera si credeva avesse fatto effetto, invece...
-"Basta mi sono stufata, io vado nella mia camera e voglio rimanere da sola."
La madre neanche rispose.
-"Non cambierà mai." Esclamò fuoriosa la giovane.
La giornata sembrava promettere bene, il sole era alto nel cielo, sembrava quasi una giornata d'estate ed invece. Era già il 20 dicembre.
Natale si stava per avvicinare e Piccola con i suoi compagni di classe deciserò di andare in montagna per stare qualche giorno insieme, lontano dai compiti e dallo stress.
Sarebbero partiti il 23 per pi tornare il 26, avrebbe passato la Vigilia e Natale insieme.
Un pensiero si rivolse al suo caro amico Angelo, morto anni prima in un incidente stradale.
"Ormai sono quattro anni che ci hai lasciato, che sei andato lassù in cielo, dove Dio ti ha chiamato e ti ha dato dimora. Manchi a tutti noi, alla tua famiglia, ai tuoi amici, ai professori. Manchi molto anche a me.
Sono notti che non riesco a dormire perché mi torna in mente tutto ciò che abbiamo fatto, sono stati anni stupendi quelli con te. Ti voglio bene, lo sai, te lo dicevo molte volte, ma ora non avrei mai pensato di doverlo urlare al cielo.
Le insegne luminose stanno ad augurarci un felice Natale, però manchi tu e so bene che questo non potrà mai essere così speciale e felice senza te. Vorrei rivederti, riabbracciarti, dirti che sei importante per me e che ti adoro. Vorrei guardarti ancora negli occhi e dirti che eri un pazzo con la quale amavo trascorrere il mio tempo, ora però mi rimane solo il tuo ricordo. Sarai sempre nel mio cuore e nella mia mente. Mi hai insegnato molto, grazie di tutto.
Auguri di Buon Natale Angelo mio..."
Furono queste le parole che scrisse sul suo banco durante l'ora di buco. Era così assorta nei suoi pensieri che aveva concentrato attorno a sè, l'attenzione di tutti.
-"Tutto bene Piccola?" Gli chiese Daniel.
-"Si si tutto ok, tranquillo, questa volta sono io ad essere assorta nei miei pensieri."
ll ragazzo a quelle parole la lasciò da sola, all'angolo della classe, immersa nei suoi ricordi.
-"Cos' ha Piccola? i ha detto qualche cosa?" Iniziarono a domandere gli amici.
-"Nulla che vi possa interessare. Lasciatela sola."
Così li dilequò.
La campanella stava per suonare e quel pomeriggio si sarebbe svolto l'ultimo allenamento di calcio della squadra maschile. Piccola non si sa per quale motivo decise di non giocare più. Forse aveva intenzione di divenatere una "femmina".
Fuori scuola incontrò Daniel, ormai era destino che si incrociassero tutti i giorni.
-"Stai meglio?" Gli chiese.
-"Si si era solo un momento così, ricordi."
-"Ne ero sicuro. Senti una cosa, stai con lo scooter vero?"
-"Si perchè?"
-"Ecco dammi un passaggio a casa allora." Rispose con un gran sorriso il giovane.
-"E perché mai dovrei dartelo?" Disse ridendo.
-"Perché sono bello e ti piaccio." Iniziò a provocare Daniel.
-"Si si convinto tu."
I due scoppiarono a ridere. Salirono sul motorino e si diressero verso casa del ragazzo.
-"Dai sali su, ti offro qualche cosa." Esclamò.
-"No tranquillo, devo andare a casa."
-"Daiiii, non ti far pregare. Mica ti voglio portare a letto."
-"Ahaha, quello era ovvio mancherebbe la materia prima." Provocò questa volta Piccola.
-"Ne sei sicura? Vuoi controllare?"
-"No no non vorrei rimanere traumatizzata a vita non trovando nulla." Continuò.
I due risero di nuovo insieme, quasi abbracciati.
-"Sei simpatico sai, sembravi più sbruffone."
-"Bisogna conoscermi bene e saper prendermi."
-"Già."
-"Allora sali? Dai ti voglio solo offrire qualche cosa tranquilla, se poi dovessi allungare un dito ti do il permesso ti prendermi a pizze."
-"Tanto lo avrei fatto comunque anche senza il tuo permesso." Esclamò la ragazza.
Salirono così a casa. Non vi era nessuno.
-"Cosa vuoi? Coca cola, acqua, succo o birra?"
-"Coca cola, grazie. Non sapevi bevessi la birra."
-"Qualche volta insieme alla pizza." Si mise poi a ridere.
I due bevvero. Si siederono poi sul divano a guardare un film.
-"Però hai proprio paura vedo." Esclamò Piccola.
-"Di cosa scusa?"
-"Non hai ancora allungato una mano. Strano."
-"Io vado calmo con quelle che mi piacciono." Disse Daniel, rosso in volto.
-"Come? Perché io ti piaccio?"
-"Mi vuoi dire che non lo avevi notato?"
-"No." Rispose in modo freddo.
-"Mah, strano."
Ci furono minuti di silenzio. Lei pensava e lui la guardava.
Tutto insieme la ragazza si alzò e lo baciò.
-"È la seconda volta. Perchè?"
-"Mi andava." Rispose lei.
Si diresse così verso la porta e senza neanche salutarlo se ne andò.
-"E poi scappa." Esclamò lui, con un sorrisetto in volto.
Appena tornata a casa andò in camera, dove sulla scrivania trovò delle rose rosse. Erano dieci. Stupende e profumate.
Prese così il cellulare e mandò un sms a Daniel, convinta che fosse stato lui.
"Grazie per le rose, sono stupende. Ma come hai fatto a portarmele e perché oggi non mi hai detto niente? Rispondi."
Daniel appena lesse il messaggio rimase perplesso.
"Che rose?" Iniziò a domandarsi.
"Mi dispiace ma non te le ho mandate io. Non so neanche dove abiti di preciso." Gli rispose tramite cellulare.
"Non è stato lui? E chi allora?" Iniziò a chiedersi.
Passò così le ore a guardare quei fiori e a pensare a chi glie le avesse portate.
"Mah." Sospirò.
Si incamminò poi verso il televisore, lo accese e si sdraiò sul letto.
Neanche due minuti che si addormentò.
Drinn, drinn, drinn.
"Che angoscia, chi sarà mai a quest'ora?" Si chiese.
-"Pronto, chi parla?"
-"Piaciute le rose?"
-"Si stupende, ma chi sei?"
-"Neanche il mio numero hai salvato? Daii."
-"Perché mai avrei dovuto? Comunque te lo chiedo per la terza volta, chi sei e cosa vuoi?"
-"Sono sempre Valerio, il tuo vicino."
-"Ancora tu! Ma le rose come hai fatto a mandarmele, non sai neanche dove abito." Chiese alterata.
-"Esci sul pianerottolo e lo vedrai."
"Sul pianerottolo e perchè mai?" Cominciò a chiedersi.
Stava anche in pigiama. Senti poi bussare.
Attaccò il telefono e aprì la porta.
Rimase incantata.
Alto circa 185 cm, moro con occhi marroni. Capelli alzati che formavano una cresta. Un po' palestrato e magro da morire.
-"Allora? Non parli?" Gli chiese.
-"Tu, tu?" Balbettò Piccola.
-"Si, sono io, Valerio. Proprio non mi riconosci?"
-"È impossibile. Tu non sei il moccioso con il quale mi ero scontrata per le scale. Quello era brutto, con l'apparecchio, una vocina odiosa, basso, gobbo e ciccione."
-"Sono cambiato però, come vedi."
-"Vedo vedo."
Valerio scoppiò a ridere.
-"Ma cosa ci fai qua?" Gli domandò.
-"Inseguo l'amore." Gli rispose.
Si stava per sciogliere, onn poteva credere ai suoi occhi. Era incantata e credetemi, tutte lo sarebbero state.
-"Dai sto giocando, cioè non proprio. Comunque mia madre ha deciso di domprare questa casa, proprio accanto alla tua. Era in vendita."
-Ah non lo sapevo."
Si girò poi versò la porta accanto alla sua e là, in quel momento, notò il cartello Vendesi che era stato appena tolto.
-"Piacere Piccola, comunque." Si presentò quasi per voler sciogliere il ghiaccio.
-"So bene chi sei, ti ho sempre notato, già te l'avevo detto." Sorrise.
-"Si. Ricordo." Arrossi.
-"E fu così che scoccò l'amore."
Quelle parole proveniente dalle scale interruppero quel silenzio che si era creato, quello fatto di imbarazzo.
-"Papà smettila." Disse il giovane.
Si misero tutti a ridere. Piccola li invitò poi ad entrare a casa sua.
La madre era dillà, stesa sul letto a dormire.
-"Non vorremmo disturbare." Esclamarono.
-"Tranquilli entrate, non preoccupatevi."
-"Avete una casa molto bella complimenti." Disse il padre del giovane.
-"Grazie mille."
Passarono così un'oretta a parlare del più e del meno, fino a quando il padre non li lasciò soli.
-"Buona notte allora, e tu figliolo sbrigati a venire a casa, che Piccola sarà stanca."
-"Si papà, tra poco arrivo." Rispose il ragazzo.
-"Notte signore." Esclamò la giovane.
Vi era imbarazzo tra i due giovani.
-"Come mai quelle rose?" Domandò.
-"Così, avevo sempre voluto farti una sorpresa del genere."
-"E ci sei riuscito." Esclamò a voce timida e bassa mentre il suo sguardo "analizzava" nei minimi dettagli il ragazzo.
-"Non ti sono piaciute?"
-"No no erano stupende solo che non me lo aspettavo."
-"Sono comparso così dal nulla vero?"
-"Già."
I silenzi stavano diventando ormai troppi.
-"È tardi, è meglio che vada."
Proprio in quel momento gli arrivò un sms da Daniel.
"Grazie per oggi, sono stato benissimo. Ti voglio bene. Comunque baci da dio. Buona notte."
Arrossi e sorrise a tali parole.
-"È il tuo ragazzo?" Chiese Valerio.
-"Come? No no, solo un amico."
-"Dal sorriso a 32 denti non direi proprio, comunque meglio così un rivale in meno." Gli fece l'occhiolino.
Arrossi.
"Perchè che sorriso ho fatto?" Cominciò a chiedersi tra sè.
-"Bhè ora ti saluto, ci vediamo domani. Notte." Disse il giovane.
-"Ok, notte." Disse, guardandolo negli occhi ancora rossa in volto per prima.
Lui si avvicinò. La baciò.
Fu uno di quei baci intensi, veri, passionali, di due lingue in lotta.
-"Dovevo farlo." Esclamò andando via.
123456789
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
- Forse un cinquantaseienne, che potrebbe esserti nonno, capirti non dovrebbe. Invece è la solita storia d'amore dei tempi nostri, dei tuoi genitori e vostri. E scrivi veramente bene. Complimenti!

Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0