Mi dileguo. In un attimo sono la neve sui tetti e la rugiada nei campi. E la cenere sporca, liberata in orge di spiriti. Io, funambolo. Io, cattivo fratello. Io, brutale peccatore. - Miscela di villici e codardi passanti. La gente non riflette mai troppo poco; e genera il vuoto, e l'odio, la storpia idiozia. Si contrae in espressioni fetide, al di là di ogni morale, come un morbo asfissiante se ne nutre.
Quando guardo negli occhi, mi si stende uno stuolo di marcio rachitico: e crack. Il silenzio. E crack! La miseria. E crack... I miserabili! Sono sonnambulo, dicono. Ma io mi sveglio tardissimo, perchè il sole che sorge mi tormenta e mi provoca adorazione. Come un Dio enorme. Ho paura di crollare, di stemperarmi i pensieri. Disgiungere lamenti e boati. Al tramonto, sino all'ultimo sprazzo di fuoco, riemergono logorii di marce dalle potenti grida. Sono i selvaggi. Le lingue del diavolo. Gli antichi stendardi. Danno fuoco alle mie budella, come in un rito di salvezza. E vorrei tornare ad essere neve, sui tetti. Rugiada, sui campi. Cenere sporca. È questo, il terrificante destino?
Non so' piegarmi. Le mie ginocchia se fremono, non sanno inginocchiarsi sotto i colpi di frusta, per quanto violenti e maligni. I tamburi, il loro fragore riempie le sale di sporcizia. Credo di esserci, credo. - Mi abbevero un'ultima volta, dalle tazze sporche di piscio della Regola, e poi in una fontana dorata, li atterro tutti con la loro stessa terribile arma. È ora tarda, e io, indelebile, striscio.
Ormai perduto. Ormai, fuggo.