Mi fissai le nocche squarciate, e trasalii. Racchiusi una mano dentro l'altra e le sentii bruciare. Me le portai al seno e la maglia bianca mi si imbrattò di sangue.
Guardai a terra e vidi l'uomo che avevo appena ucciso. Il mio respiro si accentuò e presi a tremare.
Mi allontanai velocemente fino ad arrivare sotto il portone di casa. Dalla tasca del cappotto recuperai le chiavi ed entrai.
Sentivo le gambe molli e la testa girare. Continuai ad osservarmi intorno anche quando entrai in ascensore, come per accertarmi che nessuno avesse visto di quale crimine orrendo mi ero appena macchiata.
Arrivai al mio appartamento e mi ci barricai dentro. Fissai la foto di mia sorella sul mobiletto, e percepii un brivido.
Mi mossi in bagno, mi svestii e mi fiondai sotto la doccia. Mentre l'acqua mi delimitava il profilo e scacciava le lacrime, abbassai lo sguardo verso il basso. Oltre che l'acqua, lo scarico si portò via con se anche quel sangue rosso acceso che mi dava la nausea.
Uscii solo dopo un'ora, e ancora non mi sembrava abbastanza.
Con l'asciugamano stretto intorno al corpo e i capelli ancora umidi sulla schiena, andai a sedermi sul divano.
Sentivo freddo, ma sapevo che a crearmi i brividi non era né la temperatura, né l'acqua che ancora avevo sulla pelle.
Mi racchiusi le gambe tra le braccia e appoggiai il mento sulle ginocchia. A quel punto, udii: "Hai fatto quello che doveva essere fatto."
Senza voltarmi, una lacrima mi scese sul viso. "Vattene."
"Lo sai che non posso."
Fissai l'angolo buio della cucina. "Ho ucciso di nuovo", dissi.
"Certo che l'hai fatto. L'hai fatto per me."
Io scossi il capo e tornai a fissare un punto indefinito dinanzi a me. "No, basta così. Non lo farò più."
A quel punto la voce si fece più vicina. "Lo sai che non puoi. Non abbiamo ancora finito."
"Io sì."
"Ne mancano ancora due. Poi ti lascerò in pace."
Io esitai, pensando a quanto desideravo essere lasciata in pace. Mia sorella era tornata a farmi visita il giorno dopo il suo funerale.
"Dobbiamo restare unite. Abbiamo fatto un patto", riprese lei.
Piansi e col groppo in gola, rantolai. "Per favore, va' via."
Credevo avesse finalmente ascoltato le mie parole quando udii nuovamente la voce di Marta accompagnata da una melodia. "Ti proteggo e ti sostengo quando gli altri non capiscono, quando alla luce ti sottraggono e ridono di te."
Stavo per coprirmi le orecchie, quando come ipnotizzata feci un mezzo sorriso e presi anche io ad intonare la nostra canzone.
"... quando alla luce ti sottraggono e ridono di te."
Mi sentii investire il capo da un'aria gelida. "Brava, brava dolce Angela", mi disse mia sorella.
"Quanti hai detto che ne mancano?", domandai.
"Due. I due bastardi che mi hanno violentato. Poi me ne andrò via e non ti tormenterò più."
Ancora con l'asciugamano indosso, mi diressi in cucina ed aprii il cassetto. Da là recuperai un coltello dalla lama lucente.
Sorrisi compiaciuta.
"Dove li posso trovare?", chiesi infine a Marta.