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La parte e il tutto
Mi chiamo Fedora.
Abito in un piccolissimo... come possiamo dire... appartamento, alla periferia di Ravenna.
Abito lì ormai da diversi anni con Rinaldo.
Non voglio parlare della mia infanzia: ma devo dire che sono cresciuta in un quartiere industriale di Cesena.
Ho perso le cure della mia mamma in un incidente quando ero ancora molto piccola e mio padre... bé ... probabilmente lui era uno di quelli che da piccola vedevo bighellonare con sfrontatezza per il quartiere e si davano appuntamento nella piazza principale del paese corrosa da decenni di trascuratezza.
Non ho voglia di raccontare la mia infanzia ma ho detto questo solo perché non si pensi che io sia stata allevata e cresciuta tra soffici imbottiture.
Al contrario.
Ho vissuto per un tempo molto lungo per strada sfamata e curata da occasionali benefattori.
Da quando però io e Rinaldo ci siamo conosciuti, davanti al bar incrostato di Sarello dove le grida e le nenie ripetitive dei videopoker venivano regolarmente rigurgitati dall`entrata come se persino la fumosa saletta grigia all`interno non riuscisse a metabolizzarli, bé da quel momento la mia vita è cambiata.
Forse sono rinata.
Rinaldo mi ha portato a vivere a casa sua e io ho lasciato il mio sudicio quartiere all'inizio con il rimpianto tipico di tutti quelli che non possedendo nulla si avvinghiano strettamente ai loro miseri riferimenti.
La mia casa ora e`un bilocale al pianterreno con un minuscolo cortile nel lato opposto all`ingresso che invece si affaccia sulla strada lungo al fiume dove passano poche macchine e molti camion spesso diretti alle raffinerie.
Non e`quello che si definirebbe un nido e forse per chiunque sarebbe difficile anche ritenerlo accogliente.
Con quell` enorme incolto sul retro delimitato da un fatiscente muro ormai coperto con pennellate irregolari di muschio azzurrino e la vista sulle altre incerte casupole di periferia.
Anche il suo aspetto da baracca promossa con troppa indulgenza ad abitazione e afflitta da una senile degenerazione non le farebbe trovare grandi estimatori.
Ma a me piace e ci sono affezionata.
Perche ogni piccolo angolo, anche il piu` insignificante e nascosto e` stato nel tempo da me vissuto con la risonanza di tutti i sensi: e` stato osservato, toccato, annusato, respirato...
Ogni piccolo centimetro e` stato un microcosmo da scoprire e da far mio.
E` per questo che non ho incertezze nel definirla la mia casa.
Non sono solo le tende azzurrine e il vecchio divano di velluto verde bandiera che cerca con indifferenza di nascondere i segni di bruciatura di qualche antica sigaretta a rendermi più confortevole l`atmosfera ma anche e soprattutto quell`eccitante miscela di aromi densi di casa che si intrecciano e aderiscono anche agli oggetti più insignificanti come l` accendigas o il posacenere di cristallo.
Così come è una piccola parte di me anche il tappeto un po` scolorito con qualche frangia di troppo che immancabilmente finisce per diventare un involontario trabocchetto ad incauti visitatori non troppo avvezzi all` esiguità del posto e il piccolo tavolino di cristallo perennemente coperto da uno strato di polvere bluastra rigato qua e là dai frequenti slalom del telecomando.
E ancora la televisione di fronte al divano, un modello a tubo catodico troppo grande per il comodino che faticosamente la sostiene e troppo piccola per l`unica grande parete bianca e nuda della casa.
Poche altri elementi supportano l`arredamento del salotto: una parete attrezzata con una cucina di smalto con fornelli, un frigorifero inverosimilmente coperto di bigliettini ingialliti e un acquaio che sembra sorretto da un`esile tendina blu. Oltre qualche pensile scrostato e un tavolo con piano di marmo che Rinaldo stesso fatica a spostare per la sua imprevedibile pesantezza.
Per il resto poche altre cose: un paio di armadi, una stanza da letto minuscola che soffoca un letto matrimoniale e un comodino (sospettosamente identico a quello posto sotto alla televisione) completano la casa insieme ad una toilette con piccole piastrelle verdi.
Esattamente sopra alla nostra dimora si allunga in parte l` appartamento vero e proprio della locataria che però vive a Milano e lo utilizza solo sporadicamente come pied-a-terre. Riconosco quando lei è qui dal fatto che apre e chiude la saracinesca del garage con un`insistenza maniacale al punto da farmi pensare che vi trovi un qualche sottile piacere di manifestazione di potere.
Non ne ha bisogno: dal momento che non cambierei casa per nessun motivo al mondo vivo la sua presenza già con sufficiente soggezione e cerco di evitare gli incontri con lei per quanto posso. Temo sempre che da un momento all'altro possa rescindere dall'accordo verbale di affitto per via dei ritardi che immancabilmente accumuliamo sulla pigione.
Rinaldo sta fuori di casa quasi tutto il giorno: esce la mattina presto e torna il pomeriggio tardi.
Lavora in una fabbrica di materiali plastici. Non ho mai capito bene di cosa si occupi, anche se me ne parla con frequenza maniacale: forse si dedica ad alcuni apparecchi di controllo per una catena di montaggio. Ma in realtà a lui piace sentirsi in un ruolo importante e tende a descriverlo con una solennità tale che sembra quasi abbia la completa responsabilità di chissà quale catena di produzione.
Rinaldo è una brava persona.
Potrei dire di slancio che è la migliore persona che esiste ma - mettiamola cosi - posso permettermi di affermare che è la migliore persona che io abbia mia incontrato.
Ha solo uno o due difetti, a mio parere.
Il primo è che russa fortissimo quando dorme, e in questi casi è praticamente impossibile dormire nella stessa stanza. I momenti in cui ciò accade sono assolutamente imprevedibili e spesso il concerto non richiesto inizia con un cupo grugnito che rimbomba tra le pareti come se il nostro piccolo cubicolo fosse diventato per l`occasione una sala da museo in cui abbia fatto irruzione un branco di suini.
Ma si sa, la notte è il migliore amplificatore che si conosca: di suoni, paure ed emozioni.
Inoltre c`è un`altra cosa di Rinaldo che non mi entusiasma ma in definitiva sarebbe scorretto chiamarlo difetto e si tratta dei suoi amici. A Rinaldo piace invitarli la sera a casa nostra con frequenza settimanale - in genere con il pretesto di seguire insieme la partita - forse proprio per far testimoniare la loro devozione infilandosi in sei-sette uno per volta attraverso lo stretto portoncino in un antro come il nostro e stipandosi attorno al tavolino come topi intorno ad una forma di grana. La loro caparbia disponibilità a rinchiudersi come sardine deve essere un toccasana per Rinaldo che probabilmente ravviva così la stima nel suo carisma.
Per me invece sono semplicemente un po` grezzi.
Alcuni di loro arrivano ancora incartati nella loro tuta da officina e il massimo che ricevo da un paio di loro che reputo i più educati e` un frettoloso "Ciao, Fedora!".
Per gli altri semplicemente non esisto.
Appena me li vedo entrare dentro casa senza alcun preannuncio da parte di Rinaldo inizio a defilarmi.
Solitamente mi ritiro in silenzio senza che nessuno lo noti nella stanza da letto dove ascolto le loro sghignazzate un po` più ovattate e deformate dal rimbombo del microscopico corridoio che separa le due camere.
Rinaldo in genere tiene banco, lo sento pronunciare frasi a voce alta che fanno seguire risate sempre più sguaiate finché non si fa ora di rincasare e arriva per me il momento di assaporare un silenzio a lungo desiderato.
Spesso allora Rinaldo viene di là con una chiara impressione di stanchezza e mi dice sorridendo "sono andati via..." .
Allora io con lentezza ritorno nella stanza ad analizzare i rimasugli di cibo, lattine di birra e briciole lasciate dai nostri amici.
Rimasugli che Rinaldo, differentemente da quanto farebbe qualsiasi altra persona che conosco, si affretta a rimuovere in modo da ripristinare il consueto caos ordinato che regola le dinamiche della nostra casa.
Rinaldo non beve e non fuma, si potrebbe definire un ragazzo modello. Non dice neppure troppe parolacce e non è maleducato. Nonostante l`importanza che per lui rivestano i suoi amici riesce a non farsi trascinare dai loro inviti a pesanti rumori gastroesofagei e a mantenere sempre alto il livello della sua dignità che vive con estrema naturalezza.
La sera quando torna a casa spesso ci piazziamo davanti alla televisione e - se l`umore lo consente - ci scambiamo un po` di coccole.
Solo d`estate, quando il nostro microscopico cortile si trasforma in un esotico luogo di villeggiatura, trascorriamo sonnolente ore intere all`ombra incerta del giovane frassino finche il sole non scompare dietro al capannone di Scagnola, il fabbro.
Quando invece è venerdì pomeriggio in genere il suo buonumore subisce un ulteriore rilancio. La stanchezza del lavoro sembra cedere sconfitta a un incredibile entusiasmo. Ogni suo centimetro di epidermide sembra trasudare gioia per il pregustarsi del finesettimana.
Spesso mi prende di soppiatto sollevandomi da terra e facendomi roteare per qualche secondo e poi a terra di nuovo improvvisamente. A questo punto devo immancabilmente fare ricorso a tutta la mia concentrazione per evitare di cadere a terra barcollante. Intanto lui ride di gusto guardandomi con tenerezza. Poi inizia a parlarmi di tutti i suoi progetti e di tutte le attività che pianifica per il finesettimana e forse per i mesi o anni futuri.
Attività che immancabilmente vanno deserte un po` per pigrizia e un po` per mancanza di realismo alla base. Ma sono momenti belli che vale la pena rivivere ogni settimana ignorando caparbiamente i bigotti ammonimenti della vita a tenere i piedi sempre a terra.
Così come apprezzo quei momenti d`inverno in cui inizia a scendere una pioggia fitta e incessante e il cielo si scurisce già dal primo pomeriggio. Quei momenti che spesso possono sembrare malinconici per me sono estremamente suggestivi.
Spesso Rinaldo lavora oltre l`orario ordinario per cercare di regalarsi un po` di serenità in più nella gestione economica della casa ed io adoro passare minuti se non ore dietro al vetro sul davanzale della finestra sul cortiletto. I rumori della strada sul retro mi arrivano attenuati quasi come una melodia di controcanto e intanto il picchettare sul lucernaio del bagno mi permette di intuire l` intensità della pioggia fuori ormai irriconoscibile dalla semioscurità.
In quei momenti riesco a sentirmi una privilegiata per il semplice fatto di essere al chiuso dentro la mia casa tiepida. Mentre le gocce incessanti si conficcano e si fondono insieme sulla lastra portandosi via un po` per volta grani di polvere e terra nerastra, dietro alla finestra inusualmente ripulita riesco ad immedesimarmi in ogni essere vivente che e` costretto a vivere, muoversi o semplicemente stazionare all` addiaccio.
Riesco quasi a sentire il disagio delle piante schiaffeggiate dai turbini di pioggia o mitragliate dagli scarichi delle grondaie o delle lamiere curve dei tetti delle baracche. Avverto l`umidita` che si propaga con inesorabili ramificazioni dentro al pelame dei roditori che si aggirano tra le mattonelle abbandonate a lato del muretto o tra il piumaggio dei pochi passeri colpevoli di temerarietà o disperazione. E arrivo persino a pensare ai mattoni del muro, al trattore abbandonato con ancora un po`di similpelle sul sedile, alla grossa damigiana di vetro che ormai presenzia come un goffo usciere l`ingresso della casa dei vicini.
Per tutti gli esseri, animati e non, deve essere così duro essere li fuori in quel momento...
Allora il tepore che fuoriesce da ogni frammento di suppellettile sembra avvolgermi come il più regale dei manti.
Il davanzale e`il mio trono e tutto il mondo fuori dalla finestra i miei sudditi che guardo con bonaria commiserazione.
E mi sembra di non avere più bisogno di niente per essere felice.
Sul fatto che Rinaldo mi voglia bene non ho mai avuto dubbi. Con me ha veramente un`incredibile pazienza: in tutti questi anni non ricordo si sia mai veramente arrabbiato e - a parte forse durante le serate con i suoi amici di cui ho parlato prima - non mi sono mai sentita ignorata o sminuita da lui.
Solo qualche rara volta, quando torna veramente stanco con gli occhi arrossati e la schiena più curva del normale trova da ridire su alcuni miei comportamenti.
Ma sembra più che altro qualcosa di pretestuoso per scaricare una piccolissima parte del risentimento che un po` tutti abbiamo verso il mondo quando ci deruba delle nostre forze.
Allora si può lamentare - che so - del fatto che non uso abbastanza lo zerbino nel rientrare a casa e - a sua detta - lascio impronte ovunque.
Ma neppure quando inavvertitamente urtai il tavolo e feci mandare in frantumi l`insalatiera di porcellana che gli aveva regalato sua mamma e di cui andava molto orgoglioso riuscì a perdere la pazienza e ad alzare la voce con me. Rimase per qualche secondo a fissare basito la mortificazione che doveva leggersi nella mia faccia e poi scoppiò a ridere.
"Be, vedi che ho ragione quando dico che la plastica è il miglior materiale che esista! Dài non ti preoccupare..."
Come potrei non essergli riconoscente?
La nostra vita quindi passa con regolarità e tranquillità tra quelle mura, il cortile e le due o tre viuzze fuori di casa nostra. Conosco buona parte del vicinato e loro conoscono me. La maggior parte di loro sono persone semplici e simpatiche e quando si accorgono del mio passaggio silenzioso mi salutano con un sorriso. Non mi spingo quasi mai oltre il ponte sul canale e oltre la casa di Marchiòn, una grossa struttura con un magazzino e un ampio sterrato all` incrocio con la statale.
Per il resto facciamo pochissimi viaggi che tra l`altro io non apprezzo anche perché soffro pesantemente il mal d`auto.
Nel nostro ecosistema conosciuto in tutti i suoi meccanismi e in cui ho sempre trovato protezione nella sua insita prevedibilità un giorno successe qualcosa di nuovo che cambiò la mia percezione e probabilmente segnò una percettibile virata nel rapporto tra me e Rinaldo.
Era una notte d'estate molto afosa.
Nel nostro quartiere l'umidità estiva diventa insopportabile probabilmente data anche la presenza dei lenti canali e, penetrando fino a dentro la testa, finisce per assumere una consistenza quasi colloidale inceppando o rallentando i delicati ingranaggi dei nostri pensieri.
Le uniche strategie attuabili durante il giorno consistono nel muoversi il più lentamente possibile e nell'aspettare pazientemente la notte. Dove però a volte la delusione per l`assenza della brezza che si fa desiderare come una primadonna non fa altro che rafforzare il senso di insofferenza.
Ma l'estate da noi ha anche uno strano fascino.
Nonostante la maggior parte degli abitanti non abbia la possibilità di andare in ferie l'aria si fa comunque inequivocabilmente ovattata e silenziosa e anche gli animi diventano più indulgenti verso una vita più rallentata.
È un po' come se la consapevolezza di essere in un periodo che per i più è di vacanza induca a godersi la realtà della zona dove si vive con dei ritmi più consoni a un luogo di villeggiatura. Anche i rumori delle attività diminuiscono e a volte si percepiscono lontani aloni di musichette di qualche radio o di qualche riproduttore comprato frettolosamente dai numerosi ambulanti cinesi.
Era una di quelle notti particolarmente afose ed io non avevo sonno.
Rinaldo si era addormentato sul letto lasciando accesa la televisione in salotto. A volte si trascinava tra le due stanze in completa trance risvegliandosi la mattina in un posto diverso da quello in cui si era addormentato.
La porta era rimasta socchiusa come facevamo spesso per illuderci di non ostacolare il buon proposito di qualsiasi soffio di vento che desiderasse visitarci inviato da chissà quale angelo benevolo.
Eravamo sfrontatamente certi che nessun ladro sarebbe entrato per cercare di rubare un inesistente tesoro.
Rinaldo come di consueto russava sonoramente ed io mi ero stancata di stare sul divano incapace di prendere sonno schiaffeggiata dietro le palpebre dai guizzi delle immagini della televisione.
Così uscii all'aperto. Feci pochi passi fuori. Non c'era nessuna macchina sulla strada che ora sembrava un'irreale umidiccia pista da bowling. Solo di lontano il semaforo arancione lampeggiante dell'incrocio animava la staticità che appiattiva quello scenario al punto da farlo sembrare un'improbabile cartolina.
Mi accorsi che qualcos'altro però restituiva una traccia di vita in quella notte.
Un particolare ticchettio di un suono lontano che giungeva alle mie orecchie probabilmente deformato come i lineamenti di un messaggero esausto dalla lunga corsa.
Avevo già sentito quello strano suono ma non saprei dire quando, forse di giorno o forse qualche altra notte, quando magari la televisione era inusualmente spenta, o forse ancora la sera quando aspettavo in silenzio che tornava Rinaldo.
Ma in quel contesto quel suono come di percussioni assumeva la rilevanza di un monologo in un teatro abbandonato.
Non so se avesse un carattere ipnotico, forse era semplicemente la mia stanchezza o il mio desiderio di dormire serenamente ma iniziai a sentire solo quel ticchettio che aveva un ritmo completamente anomalo e a concentrarmi su di esso.
Non ci misi molto a intuire la provenienza: veniva dalla zona oltre il ponte pedonale sul canale.
Era fuori dalle mie colonne d'Ercole: non mi ero mai avventurata in quella direzione, non so bene perché. Forse il ponte sul canale non mi dava un grande affidamento o forse semplicemente vivevo qualcosa d'inquietante in quella zona dietro al corso d'acqua piena di alberi ingrigiti dal tempo e qualche catapecchia rattoppata alla bene e meglio dove vivevano persone troppo simili a quelle che contornarono la mia infanzia.
Ma in quella notte d'estate tutto era diverso.
Tutto era come immobilizzato dallo scatto di una Polaroid e muoversi tra vie sconosciute sarebbe stato come scorrere le vignette di un fotoromanzo senza alcun rischio.
Così m'incamminai verso il ponte sul canale. Il rumore iniziava ad assumere delle sembianze più complete. Si arricchiva di armoniche e di toni prima stremati e decimati dalla distanza. Era un suono ripetitivo che ricordava per certi aspetti il ritmo di una danza tribale ma con pause così irregolari che levavano qualsiasi attinenza con una musica canonica.
Il canale sembrava scorrere ancora più lento e silenzioso del normale sotto il ponticello con diverse assi di legno sconnesse e qualche tenue graminacea coraggiosamente aggrappata ai bordi come un incauto alpinista.
Dalla parte opposta del canale imboccai una traccia di sentiero tra gli alberi che divideva in due un sottobosco di erba e residui di ferro arrugginiti e oltrepassai una stradina sterrata il cui unico lampione si sforzava di distribuire la sua luce a tutto l`isolato. Il rumore che sentivo proveniva da una grossa casa in parte diroccata e in parte parzialmente ripulita e rimessa in sesto senza troppe ansie sul risultato estetico. Stuccature e sostituzioni dai contorni netti si sovrapponevano a materiale vetusto ormai stondato dal tempo.
Mi avvicinai all`edificio lentamente, il suono era diventato per me un`inconsueta sinfonia. Attraversai un piccolo spiazzo erboso con qualche sacco qua e là di materiale edile abbandonato e mi diressi verso l'unica parte illuminata della casa: una bassa e larga vetrata a pochi centimetri da terra che doveva dar luce al seminterrato.
Attraverso il vetro sudicio aperto a compasso si diffondeva la luce biancastra di una lampadina a tubi che penzolava impudicamente nuda dal soffitto.
Mi avvicinai alla lastra e potei vedere lo strumento che produceva la mia sinfonia.
Un uomo era al centro di un ampio stanzone: aveva i capelli chiari lunghi e arruffati e una barbetta incolta. Percuoteva con due strani attrezzi un blocco di marmo che aveva di fronte.
Era Hans. Lo conoscevo perché qualche volta si era incontrato con Rinaldo fuori da casa e aveva scambiato con lui qualche chiacchiera. Non sapevo che fosse uno scultore ma conoscevo le sue origini danesi che tradiva parlando con il tipico accento degli stranieri nordici. Quelle poche volte in cui l'avevo visto ero rimasta incuriosita dallo sguardo indagatore tipico dell'artista che lui portava appresso pronto a indossare alla necessità come un paio di occhiali.
Ero strabiliata da quello che stavo vedendo: Hans stava lavorando facendo emergere da quel blocco di marmo un gruppo di rapaci sopra a una vetta.
L'arte della scultura ha sempre avuto per me qualcosa di magico, di incredibile.
Qualunque altro artista crea le sue opere aggiungendo il materiale necessario e trasferendo in quella nuova materia uno spirito che permane aderente al supporto che sia una tela, una pagina o a qualsiasi altro oggetto.
Ma lo scultore al contrario sottrae.
Crea un'opera straordinaria togliendo materiale da un anonimo e impersonale blocco di marmo o di legno.
Lo scultore riesce magicamente a liberare uno spirito che è contenuto dentro ad una massa informe perché riesce a scorgerlo dove nessun altro potrebbe.
Forse quello sguardo di Hans che avevo già notato in passato era proprio lo strumento che gli consentiva questo.
Ma non solo.
Quando Hans percuoteva gli scalpelli che velocemente alternava tra le sue mani creava una danza. I suoi movimenti erano dotati di un ritmo e di una plasticità che sembravano tradire una qualche regola di armonia che definiva gli equilibri tra i vari elementi di quella complessa macchina composta di tendini, muscoli e ingranaggi cerebrali fino ad ogni più piccola parte del suo corpo.
Rimasi come ipnotizzata a quella vista non saprei dire per quanto tempo.
Attraverso le tracce di polvere e le ragnatele sulla lastra di vetro seguivo le impercettibili variazioni di quel blocco di pietra la cui anima stava resuscitando di fronte ai miei occhi come in un lento risveglio attivata dai movimenti delle braccia del suo liberatore.
A un certo punto Hans si allontanò dalla sua opera. Dopo poco sentii dei rumori a destra della finestra e solo allora mi accorsi che lì vicino sulla parete c'era una porta di ingresso che si stava aprendo.
Realizzai che mi avrebbe vista subito: fu questione di un istante e già mi ritrovai a riattraversare a velocità fulminea lo spiazzo, la strada sterrata ed il ponticello sul canale che ora mi apparivano vicini come mai.
Tornai a casa in pochi secondi e mi resi conto in quel momento che stava per albeggiare. Iniziai a temere che Rinaldo si fosse svegliato e si fosse chiesto che fine avessi fatto ma con sollievo mi accorsi che invece continuava a russare.
Mi accoccolai sul divano continuando ad avere in mente i tendini di Hans che veicolavano quell'invisibile fluido di vita.
Ogni tanto Rinaldo si doveva assentare per lavoro per un paio di giorni o al massimo tre.
Intuivo l'avvicinarsi di questa situazione dalla sua espressione.
Mi sembrava che si sentisse un po' in colpa per il fatto di lasciarmi sola. Io ostentavo indifferenza e in definitiva la cosa non mi preoccupava più di tanto. Tutto sommato le mie attività proseguivano come normalmente e la mia giornata era scandita da ritmi non troppo dissimili.
Fin dalle prime volte mi ero preparata alla sua assenza organizzando la mia giornata e la mia notte senza i suoi piacevoli ingombri e in definitiva mi era sempre apparsa facilmente sostenibile.
Ma quando lui non c`era non erano tanto le assenze prevedibili quanto piuttosto quei piccoli rumori, odori o respiri che, apparentemente impercettibili come segni di punteggiatura, rendevano sgrammaticata la mia giornata con la loro assenza.
Era passato qualche mese da quella volta in cui ero arrivata fino alla casa di Hans e da quel giorno non avevo più varcato il mio confine naturale del ponte sul canale.
Ma in una notte in cui Rinaldo non c'era fui presa dall'irresistibile tentazione di andare a vedere se l` artista stava ancora lavorando al suo capolavoro.
Non faceva più caldo e pensai che era probabile che lavorasse di giorno, ma volli provare ugualmente.
Ripercorsi con circospezione il percorso della volta precedente e arrivai alla finestra del seminterrato che era ancora illuminata anche se ora il vetro era chiuso. Dentro non c'era Hans ma altre sculture, in parte realizzate su legno e in parte nel marmo si appoggiavano ai lati della stanza rivendicando la loro libertà.
Passò qualche altro mese e l'estate iniziò a riproporre il suo menu di afa e qualche temporale che anziché apportare un po' di refrigerio rimarcava il senso di soffocamento.
Rinaldo doveva partecipare a dei corsi di perfezionamento con una maggiore frequenza e così in quel periodo prese ad assentarsi più spesso.
Io ormai avevo ripreso l'abitudine di recarmi quasi tutte le notti presso la casa di Hans.
Una notte, mentre ero arrivata lì, iniziò a piovere ed io rimasi per un po' sotto l'acqua. Hans mi prese alla sprovvista e spalancò la porta di casa improvvisamente con una sigaretta accesa in mano.
Anziché fuggire rimasi lì a fissarlo.
Lui mi scorse nella semioscurità: dalla porta aperta usciva un trapezio di luce che però non arrivava fino a me.
"Fedora, sei tu? Che ci fai qui sotto la pioggia?"
Io rimanevo immobile senza emettere alcun suono.
Mi sorrise e ridacchiando mi disse: "entra, dài!"
Ormai passavo molte notti a casa di Hans. Lui lavorava quasi sempre con l`oscurità perche sosteneva che in quelle ore esiste una carica magica speciale che dà vita anche agli esseri inanimati.
Ed io - anche osservando i suoi risultati - facevo fatica a dargli torto.
Hans iniziava a sviluppare un certo intuito riguardo alla mia presenza fuori dalla porta e spesso veniva ad aprirmi pochi istanti dopo che ero appena arrivata.
Io mi sistemavo quasi sempre sul divano che aveva in fondo allo stanzone e lui mi raggiungeva nelle frequenti pause che si concedeva per ricaricarsi di energia.
Mi accarezzava e stavamo lunghissimi minuti insieme prima che riprendesse un nuovo lavoro.
A volte stavo ore a guardare affascinata quel miracoloso lento incantesimo svolgersi sotto i miei occhi mentre masse di legno di ulivo, roccia, marmo iniziavano a parlarmi.
Me ne andavo quasi sempre prima dell'alba e rientravo a casa prima che Rinaldo si svegliasse.
Il mio atteggiamento con Rinaldo però era cambiato.
Ero spesso di pessimo umore e talvolta sfuggivo alle coccole che lui voleva farmi sul divano.
"Cos'hai Fedora?" mi diceva ridendo "hai la luna storta?"
Mi dispiaceva moltissimo non riuscire a comunicare con lui allo stesso modo di prima solo perché i miei sensi di colpa ponevano ora delle distanze prima inesistenti.
Era come se il tradimento da parte mia della sua totale fiducia svuotasse l'essenza del nostro rapporto e questo mi distruggeva.
Finché un giorno questo stato mutò.
Rinaldo tornò a casa fischiettando come faceva quando era di buon umore. Appena mi vide mi fissò e sorridendo mi disse puntandomi il dito:
"Ho incontrato Hans! Mi ha detto che te ne vai da lui quasi tutte le notti! Eh, lazzarona? Adesso ho capito che cosa combini la notte quando te ne vai in giro...!"
Poi si tolse la giacca e parlandomi come al solito come se chiedesse un consiglio che ovviamente io non ero in grado di dargli: "Hai visto che belle sculture fa Hans? Che dici, un giorno o l'altro potremmo permettercene una qui in salotto? Magari un tuo ritratto, eh?... Hans mi ha detto che ci stava anche pensando... ma chissà quanto ci costerebbe!"
Poi mi guardò con affetto e aggiunse: "Ma che ci importa! è molto meglio avere l'originale...!"
Mi prese in braccio e iniziò ad accarezzarmi come faceva spesso.
Fu un momento di indicibile tenerezza: sentii grumi consolidati di tensione e ansie sciogliersi e scorrere caldi dentro di me.
Fino a quel giorno avevo sempre considerata mia ogni cosa che faceva parte del mio microcosmo.
Ogni suppellettile, ogni strada del quartiere che frequentavo, e soprattutto anche Rinaldo.
Rinaldo era mio quando stavamo a casa a goderci i programmi idioti della televisione, quando russava, quando cucinava le sue crepes troppo unte la sera ma era mio anche quando era con i suoi amici maleducati e quando era al lavoro o in trasferta ai suoi corsi di aggiornamento.
Ma ora avevo scoperto una nuova cosa che non mi sarei mai aspettata di riconoscere. Una dolcissima e piacevole sensazione che affiorava dentro di me solo dai primissimi periodi della mia infanzia.
Ero sua.
Avrei potuto piangere di commozione se solo la natura mi avesse dotata di lacrime. Avvolta completamente dalle sue braccia ritirai la coda e strusciai la testa verso il suo gomito esprimendo la mia gratitudine come meglio potevo: con un lungo e appassionato miagolìo.
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