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Chi lascia la casa vecchia
Chi lascia la casa vecchia
per la nuova
sa cosa lascia
ma non cosa trova.
- Io non capisco voialtri! Tutti questi cavilli che tirate fuori. Non mi dicono niente. Sono cose senza senso.-
- Dove state andando...?-
- Senta, figlio di... chi si crede di essere?...
- Che succede... state commettendo un grosso sbaglio...
- Ora basta, si segga, e chiuda il becco!-
- Perché cosa ho detto?-
- Ho ascoltato abbastanza, adesso basta! Non riapra più bocca!-
Con questi dialoghi serrati, densi di nervosismo, a tratti feroci, iniziava una delle sequenze più avvincenti del film La parola ai giurati di Sidney Lumet.
Quando Alfredo Zappaterra entrava in quella sala riunioni, messa gentilmente a disposizione per l'occasione dall'avvocato Colombacci, si sentiva un po' così. Teso, nervoso, impaziente di uscire. Come un giurato. Alfredo veniva dalla periferia di Milano. Aveva trascorso un terzo della sua vita in una casa popolare vicino alla piscina Scarioni. E aveva traslocato in quel palazzo di Corso di Porta Romana da pochi anni. Da quando lo avevano promosso capo ufficio.
Era un bel palazzo neoclassico a sei piani. Con un massiccio portone in legno scuro, pieno di motivi floreali. Un pezzo d'antiquariato. Una sciccheria! Ma soprattutto l'atrio era un piacere per gli occhi. Una vera piazza d'armi. I marmi neri del pavimento e quelli ambrati che rivestivano le pareti denotavano una casa di gran classe. Gli alti soffitti erano tutto un trionfo di stucchi e affreschi. Che dire poi di quella passatoia rossa che correva diritta come un'autostrada per poi biforcarsi ad angolo retto, dopo una trentina di metri.
A destra conduceva ad una scalinata che apriva alla scala A. Dalla parte opposta, ad una scalinata gemella, che portava dritti dritti alla scala B. Entrambe le scale, larghe quanto quelle della vecchia scuola dove aveva fatto il liceo, ospitavano due splendidi ascensori d'epoca. Di quel bel legno che dopo decenni sembrava ancora profumare di bosco e olio di lino. Dotati di tutti i comfort. Compresi degli eleganti divanetti rivestiti di un bel velluto derapé, color rubino. Mancava solo il mobile bar. Quando entravi dentro era come accedere ad un'altra dimensione spazio-temporale. Sembrava quasi ci fosse un valletto in livrea che apriva le porte e sottovoce esortasse il viaggiatore a lasciare fuori ogni problema. E lui poteva rilassarsi ed evadere, guardando il panorama attraverso i bei vetri soffiati a bocca. Questi ascensori per il paradiso procedevano con una lentezza d'antan. E c'era tutto il tempo di lasciarsi andare. Per descrivere il suo appartamento, poi, non c'erano parole. E noi non ci sforzeremo di cercarle. L'idea dovreste già esservela fatta. Quello che si può aggiungere è che traslocare in quella casa era proprio stato un bel salto. Aveva significato realizzare uno dei sogni della sua vita. Quella dimora, così lungamente desiderata e finalmente raggiunta, rappresentava una sorta di promozione sociale.
Il giorno del trasloco, mentre gli operatori del trasporto stavano moccolando per la passatoia, che scivolava sotto i piedi ogni due per tre, mandandoli fuori strada, Alfredo era letteralmente appiccicato alla piastra d'ottone dei campanelli, per scoprire nomi e professioni dei suoi nuovi condomini. Era tutto un susseguirsi di Dott., Prof., Ing., Cav,, Comm., Gen., Chirurg, Assessor... Tanto che pensava, tra sé e sé: dal pedigree sembra tutta gente stimabile, colta, erudita. Come suol dirsi: gente bene. Ergo: gente per bene.
Mica come quegli zotici del condominio di Via Val Maira. Salvo rare eccezioni gente maleducata, ignorante, chiassosa, che mostrava il peggio di sé durante le riunioni di condominio. Ora, davanti a questo po' po' di personaggi, si sentiva quasi intimidito. Fra due settimane ci sarebbe stata la riunione annuale e avrebbe avuto modo di conoscere tutti i suoi prestigiosi coinquilini e, magari, familiarizzare.
Il fatidico giorno arrivò, più in fretta di quello che avrebbe immaginato. La sala, come anticipato, si trovava all'interno degli uffici dell'Avv. Colombacci. Era la sala riunioni del suo studio, momentaneamente prestata per l'occasione al condominio. Una grande sala, arredata con mobili primi novecento, dove, su una parete, spiccava una targa di smalto bianco con scritto, in un bel carattere futurfascista : Non fumare! Il nemico ti guarda! Apprese così che l'Avv. Colombacci era uno spirito allegro.
Gli piaceva scherzare. Questo lo mise di buonumore. Gli sembrava un inizio promettente. Nella stanza c'era un certo silenzio, anche se erano già presenti più di venti persone. L'atmosfera era strana. Sognante e rarefatta. Un po' felliniana. Via via panoramicava con lo sguardo gli sembrava di trovarsi in un bordello di lusso. Dove uomini e donne ammiccavano tra loro e di tanto in tanto lo degnavano distrattamente di uno sguardo. A capo di questo tavolo, lungo come la Nimitz, una donna sulla cinquantina. Secca, ma dai lineamenti abbastanza raffinati. Un'aria esperta. Consumata. Di chi la sapeva lunga. Una pila di carte e cartelle sembravano formare una sorta di barriera protettiva davanti a lei. Doveva essere l'amministratrice del condominio. Nel frattempo altre persone entrarono e presero educatamente posizione.
Improvvisamente l'incanto fu interrotto dalla voce sottile ma ferma dell'amministratrice.
- Possiamo cominciare? Credo che il quarto d'ora accademico sia scaduto. Chi è dentro è dentro... Procediamo con l'appello. Se ci sono delle deleghe, vi prego di consegnarmele adesso. Altrimenti gli assenti tacciano per sempre.-
A quel punto Alfredo pensò giusto presentarsi. Alzò la mano e la tenne così per alcuni minuti.
La donna, di sottecchi, se ne accorse e, intuendo le sue intenzioni, lo precedette:
-prima di iniziare vorrei dare il benvenuto al Sig. Zappaterra... Alfredo, credo. Dico bene?
Alfredo, bruciato sul tempo, annuì con un timido sorriso.
La Signorina Clotilde, così si chiamava l'amministratrice, cominciò con le prefazioni di rito: ordine del giorno e altre amenità.
Nel frattempo Alfredo si guardava attorno, cercando di intercettare qualche sguardo che lasciasse trasparire un minimo di calore. Che so, un cenno di benvenuto. Ma ognuno sembrava immerso nel suo mondo. Tanto a destra come a sinistra non riusciva a trovare con chi avrebbe potuto scambiare un segno di pace. Facce di marmo, facce da poker, si disse. Ma con il passare della serata per gran parte si sarebbero rivelate facce di ben altra materia.
Dopo circa un'ora, in cui non mancarono dissensi, esternazioni, lagnanze, bisticci e alcune scintille, smorzate a stento, si passò al punto quattro: interventi da eseguire nell'atrio. Come temporale sul lago, tutto d'un tratto, si scatenò l'inferno. In pochi secondi le acque si agitarono tumultuosamente, con onde che venivano da ogni direzione. Da una parte si proponeva di piazzare, proprio alla biforcazione della passatoia, una bella riproduzione della fontana dell'Organo di Villa d'Este. Meccanismo idraulico compreso. Da un'altra un gesso del discobolo. Qualcuno avanzò la candidatura di un Pomodoro originale. Fu messo subito a tacere, sommerso da una valanga di nonsonodaccordo, ohibò, chi è costui? L'Avv. Colombacci, in piedi, appoggiato alla libreria, ossevava divertito e, non riuscendo più a trattenere la sua vis ironicomica, lanciò la sua provocazione:- e perché non una bella statua equestre del Duce?-
- Vorrà dire un busto asinestre!- gli fece eco una voce dalla parte opposta.
- Stia attento, Prof. Pignatelli, so che lei è un sovversivo e la curo!-
Da lì in avanti nemmeno tutta l'esperienza e il sangue freddo di quella Kapò dell'amministratrice riuscì più a recuperare la situazione. La serata finì una zuffa upper class. Con scambi di accuse. Fuoriuscite di rancori covati per mesi. E altre cose molto edificanti.
Alfredo fu travolto. Annichilito. Ma come? Quello che doveva essere il suo battesimo... la sua prima entrata in società, si era rivelata una Battaglia di Zama, un girone dell'Inferno Dantesco, il crollo dell'impero d'Occidente. Quei dialoghi rapidi, tesi, minacciosi, gli ricordavano per molti versi La parola ai giurati di Sidney Lumet. E quella riunione condominiale assomigliava tanto a quelle dei condomini newyorkesi, dove gli inquilini, come giudici o membri di una giuria, hanno diritto di vita o di morte sul membro inadempiente o reo di non essere in linea con le regole della Confraternita. Mancava solo che introducessero un articolo nel regolamento che vietava il condominiato ai negri e il paragone era, se non perfetto, assai appropriato.
I mesi passarono. Trascorse un anno. Arrivò la seconda riunione di condominio. Poi la terza e la quarta. Di male in peggio. Alfredo, nel frattempo, si era fatto una cultura sulle dinamiche di gruppo: non c'era via di scampo. Una volta aveva perfino introdotto di sfroso un suo amico ipnotizzatore, ma niente!
Il povero se ne era andato via in stato confusionale. Il fatto più grave, però, era che i comportamenti incivili non si verificavano solo durante le riunioni ufficiali, ma c'era un groviglio di attività sommerse, di cui agli inizi nemmeno sospettava. Gruppuscoli di cospiratori che ordivano tresche per imporre i loro punti di vista. Chi mestava per annettersi parti comuni; chi stringeva alleanze per far passare la propria linea; chi mandava missive... lanciava irripetibili minacce... chi formulava sordidi ricatti... chi assoldava avvocati.
Cominciò perfino a rimpiangere i condomini di Via Val Maira. Non certo dei lord ma, se non altro, sanguigni e diretti. Nel pronunciare i loro vadaviaiciap, non facevano bocca a culo di gallina. Non dissimulavano. Non pescavano nel torbido come tanti Richelieu. Volgarità per volgarità; maleducazione per maleducazione; scorrettezza per scorrettezza, non vedeva che ci fosse tanta differenza fra ceti diversi. Chi avrebbe dovuto dare l'esempio, esempio non dava. Nelle beghe di condominio tutto il mondo era paese. Stava teorizzando il condominio come microcosmo della sociètà. Forse quel tipo di relazione, di vicinanza insana scatenava gli istinti peggiori: invidie, sgarbi gratuiti, desiderio di sopraffazione, di sconfiggere e annullare il vicino della porta accanto. Trasformava una riunione di presunte persone civili e perbene in un misto di dopolavoro per camalli, mensa di boscaioli della valtrompia, bocciofila di trans delle favelas. Per finire con un tocco di circolo ricreativo di gesuiti e di segreti meeting carbonari.
Per fortuna non aveva legato con nessuno. Non avrebbe potuto. Tutto sommato lui era una persona decente. Un po' ingenuo e moralista. Ma decente. Meno male il lavoro gli dava più di una soddisfazione. In fondo, era stato più facile avere rapporti umani in azienda che nel condominio.
E così, sempre più chiuso in se stesso, rientrava quasi furtivamente per evitare quei loschi figuri e correva a sprangarsi in casa. Spesso faceva tutte le rampe al galoppo: ormai nemmeno il viaggio in ascensore gli dava più piacere. Inoltre avrebbe corso il rischio di dover condividere quel salotto con qualche cospiratore. Insomma, quell''atmosfera da corte dei Borgia cominciava a pesargli. Gli toglieva l'ossigeno. E così, da qualche mese, durante il post prandium, era sempre più spesso assalito da un pensiero fisso. Un pensiero cosmico: ci sarà vita su Marte? E, in caso affermativo, come saranno i prezzi delle case monofamiliari?
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1 recensioni:
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- bello... complimenti.
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