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Approfittarsi
D'un tempo vetusto nella Frosinone latina, servendosi di ingegni e ambi di idee cadeva in degenerazioni l'occulto pensiero di chi è un tal genio
Ad inventare il bene. Come grigio irsuto, impavido nei sui quarant'anni fatti si stava a spiegare tutti quei tuoni sparsi intorno alla sua casa, c'era un incolmabile vuoto tra i ripiani ancora, qual sgombrava i suoi poteri, una crisi di fuochi sparecchiata tra le stanze e da fuori nei giardini sparivano i microscopici insetti e le formiche ch'andavano a prostrarsi chini con la testa arrugginita e gli spicchi del vento scandivano irruenze. Ritirava l'abito stretto e ancora legava il panciotto. Egli era chiamato Massimo. Talora si spiegavano le accuse e la giustizia che l'aveva trascinato davanti ai soldati della vita, ai sacrifici della difesa. Per questo aveva risposto che aveva clemenza per tutti gli allievi. Non credeva che i fuochi si erano dirotti al Tribunale della Giustizia. I colpi a massimo erano stati forti, a picchi violenti. Così il giudice si ritrovò a giustificarsi :
- È sicuro, lei è sicuro di non aver picchiato nessuno?-
- Rispondo che è falso, tutto falso vostro onore - .
Saliva per una strada opposta. Prendeva l'automobile e allacciava la cintura. Correva verso una viuzza, sboccava a sinistra verso il mercato. Voltò a sinistra su una bianca strada e poi verso una piazzetta. Là appariva un 'insegna davanti a un palazzo retto dai veroni amministrati dalle alte reggenze. Vi stava scritto "Istituto Publio Virgilio Marrone ". All'entrata sui gradini erano lasciate quattro capelli sparsi biondi. Egli si chiedeva la ragione di tanta svista, ma i suoi cerei occhi scrutavano come i segni d'un reato. Un reato per affetto.
Avrebbe pensato l'unico errore del personale, lasciarsi abbandonare agli attimi di pausa e non far attenzione appena alle amorevolezze dei teneri.
Veniva come pugnalato alle spalle, considerato anche ignobile amante nei suoi modi di fare, i comportamenti anche immodesti purché si credesse che un aspetto simile ai giovini seri d'una età antica confluirebbe nella grande condotta dei giovini moderni. Pur egli non si dava errori, quando si lamentò di se stesso allo stesso tribunale di giustizia.
Non credeva a nulla. Una volta si lo avevo fatto :aveva rimproverato una ragazzina bionda, una certa Zappatori. Almeno i pensieri desti di Massimo trasmettevano nel campo scolastico una lontananza dagli affetti e una attenzione allo studio.
- Stia attenta Zappatori se la ripesco a rifare messaggini la sbatto fuori. Stia attenta, forse non le interessa Il De bello Gallico?
E quella aveva risposto :
- Non sono io che non m'interesso, ma è l'amore che mi chiama. Pensa che Cesare non fosse mai distratto mentre era in battaglia contro i Galli? Pensa che non perdesse il colpo pensando alla sua consorte, alla sua concubina che lo aveva percorso come un aspide?
- Questo può essere vero, ma non c'entra nulla. Mi dia il suo cellulare.
- Cos'è successo vi siete trasformato in indisciplinati?... Ehi Mantello cosa succede laggiù . Non gridi per favore.
Poi era accaduto l'imprevedibile. Tutti s'erano scatenati ed egli quasi violento di rabbia lanciava le sue mani appena lasciandole volare, approfondendo la sua incolmabile situazione sedando le parole che ancora nelle labbra giocavano nell'immaturità dei sensi occulti della vita maestra.
Entrava così quel giorno nuovamente il funesto pacifista.
Ma tre degli allievi che più palpavano la tasca dell'inferno (e non c'era che mormorare di quelli, i cui durante l'anno s'erano fatti più sentire.
- Non vale neanche la pena sedere su questa cattedra oggi. Mi spetta il tribunale.
Vennero più tardi infatti a tirarlo fuori le guardie e a metterlo in pace. Egli lacrimò. Tenne le braccia chiuse e i pugni come se fosse incitato alla ripicca di fronte al diavolo tra i bastoni. Salì sull'automobile. I picchi degli sportelli neri tuonarono. Senza timore Massimo entrò nel teatro della vita. Smunto col pallore da giustiziato ponderò insieme al destino.
Entrati che furono tutti al Tribunale si sedettero. Risiedevano in un 'ampia stanza blindata. Massimo osservò attorno. Il giudice dai portamenti sembrava un oscuro cavaliere di giustizia, l'avvocato d'uno dei scolari sedeva nella fila destra, mentre l'imputato a sinistra.
Nessuno però che conoscesse lui s'era avvicinato. L'avvocato di famiglia era venuto a conoscenza, tutti pure gli amici, ma nessuno aveva pianto la sua chiamata al tribunale.
- Sono un mostro, sono un uomo -.
All'aula si avvicinò un conoscente. Era Giuseppe Di Grazia. Come assorto, giulivo per quelle sue attese pubblicazioni. Forse chi sa come tanto avrebbe risposto alla sentenza, tanto accolto per citazioni estreme, pur tanto amate da quegli uomini che in toga ammiccavano i boia ;ed essi ch'ordinavano di accalappiare i colli. Egli come avvocato di questi leggi, ora sedeva alle parti del giudice.
- Signor Di Grazia. Quest'oggi abbiamo la sentenza massima di quel matto.
- Per favore non lo chiami così -.
Quando era diventato cancelliere, ricordò quella fatale impresa della sua erudizione. Gli studi conferiti da quel suo amico erano serviti alla convinzione che tutto può esistere e coesistere. Gli obiettivi sono dei passaggi, di cui il nome è la forza del futuro. Conveniente non sia pensare s'essi non andranno a seguir nostro pensiero, ma ch'essi siano il cammino per una battaglia felice.
Eccoci. Apro la sentenza a nome di questa corte giurisdizionale. Testimoni, avvocati se siete tutti in codesta stanza possiamo incominciare -.
Per caso allora un avverso entrò . Testimoni già però avevano proferito parola, quand'esso pur convinto d'esser conosciuto cominciò talora a proferire:
- Scusate vostro onore. So, quest'uomo è il mio nemico, lo è per motivi non riguardanti. Ma perché lo vuol condannare? Ha visto quanti uomini accusano se stessi, quanti uomini tradiscono la propria anima. Or lo voglio dire. Egli un uomo vedovo, che dinanzi a me l'ho visto gettarsi a terra, chieder pietà . Poi l'amor chiedeva, puntualmente si confessava, ancora non si scusava dei suoi futili e miseri convogli per lui di totale importanza. A quanto il bile s'è alzato. Perché svelate tutti. Quando egli v'ha salvato i vostri figlioli in pena, quand'egli tenne quell'onor di combattere e poi quanti disonori. Voi confessate colleghi, tutti voi, purché lo mettiate a vivo e fuor dall'uscio, riecheggerà quella chiosa che dinanzi vi scrisse nel libro dell'onorato cancelliere. Dicendovi questa quanto rancore date a un povero! Io capisco nemico quanto dispiacer la solitudine, quanta cosa falsa, sei cascato negli orrori -.
Da quel giorno che fu egli non tenne più confidenza.
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