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Etica del lavoro, deontologia e dottrina sociale della Chiesa
Quando mettiamo i comportamenti in relazione con delle regole per esaminare se un'azione è giusta o meno, oppure quando cerchiamo di tracciare un confine invalicabile entro il quale l'altro può esercitare la sua libertà, senza portare offesa al nostro io, vuol dire che stiamo applicando alla realtà la ragione dell'Etica. In sostanza l'etica è la Scienza del dovere che impiegata nel campo del lavoro ci spiega "come dovrebbero essere" i comportamenti del datore di lavoro, delle Organizzazioni Sindacali e del lavoratore che, in questo ultimo caso assume il nome di: deontologia professionale. Man, mano, l'Etica ha assunto sempre più una connotazione sociale e sempre meno filosofica.
I vari codici deontologici approvati e successivamente aggiornati lo comprovano. In Italia a ridosso delle privatizzazioni c'è stato un fiorire di codici deontologici per molteplici professioni, quali ad esempio per: gli avvocati 1997, gli infermieri 1999, gli psicologi 1997, i medici chirurghi e gli odontoiatri 1998 e gli ingegneri 2007 oltre ai codici etici entrati in vigore per i dipendenti della Croce Rossa 2010, Rai 2002, Poste Italiane 1999, Ministero dell'Economia e delle Finanze 2009, Pubbliche amministrazioni 2000, Commissione Nazionale per le Società e la Borsa(CONSOB) 2010 e Ferrovie dello Stato 2005. Possiamo dire che nell'arco temporale di una decina di anni c'è stata una massiccia invasione di eticità. Ma perché?
A causa della crisi economica, le aziende che producono beni e servizi per poter battere la concorrenza, hanno puntato sull'eticità sventolandola come una bandiera pur di guadagnare nuove quote di mercato. Le aziende hanno intuito che l'eticità si traduce operativamente parlando in una maggiore produttività a costo zero. Qualsiasi codice deontologico o etico salvaguardia l'attività del datore di lavoro, perché vincola il dipendente ad un legame di fedeltà con l'azienda. Il lavoratore sa che deve mantenere la segretezza delle informazioni acquisite, la cui violazione comporta sanzioni di carattere disciplinare ed azioni legali tese all'ottenimento di un risarcimento danni da parte del datore di lavoro. Il lavoratore altresì è responsabile del corretto utilizzo degli strumenti di lavoro, deve aver cura dei beni aziendali e non dimenticare che l'interesse del datore di lavoro è prioritario e superiore rispetto al proprio o a quello di un terzo. L'inadempienza di tali norme comporta la denuncia diretta al top management. Quanto appena illustrato sono i vantaggi che il datore di lavoro trae con l'impiego dei codici deontologici o etici.
Ma anche il lavoratore dagli stessi ne ricava dei benefici. Ad esempio, il comportamento etico facilita tra i lavoratori l'interscambio delle conoscenze con il conseguente miglioramento del patrimonio professionale e delle performance lavorative, agevola la convivenza sociale tra le persone, instaura il principio di uguaglianza fugando qualsiasi discriminazione, salvaguardia la pluralità delle risorse, vincola il datore di lavoro alla valorizzazione delle risorse e stabilisce che la valutazione delle stesse sia formulata con il criterio della professionalità maturata. Sintetizzando: l'applicazione dell'Etica porta benefici a tutti!
La ricerca della massimizzazione degli utili di esercizio, porta di sovente gli imprenditori ad assumere comportamenti antietici. Ad esempio, sulle pagine di economia, spesso si apprende di licenziamenti di migliaia di operai, compiuti da parte di aziende sane, il cui unico scopo è quello di accumulare capitali ed effettuare scaltre manovre speculative. Ma non tutti gli imprenditori sono in cattiva fede. Negli Stati Uniti i lavoratori di un'azienda di informatica in crisi, si sono tassati; dal manager, all'ultimo operaio per salvaguardare i posti di lavoro. Ricordiamo che in Italia i top manager non hanno un tetto per i loro guadagni. Ed anche questo aspetto riguarda l'Etica. Le sperequazioni economiche sono da sempre esistite e tanti sono stati gli uomini che le hanno denunciate.
Il primo uomo che le ha sottolineate con pacatezza e fermezza analizzandole sotto il profilo cristiano è stato papa Leone XIII con la bellissima enciclica di Etica sociale, la Rerum Novarum. Riguardo agli imprenditori il sommo pontefice nel 1891 così scriveva: "Il principale tra i loro doveri è dare a ciascuno la giusta mercede. Il determinarla secondo giustizia dipende da molte considerazioni: ma in generale si ricordino i capitalisti e i padroni che le umane leggi non permettono di opprimere per utile proprio i bisognosi e gli infelici, e di trafficare sulla miseria del prossimo. Defraudare poi la dovuta mercede è colpa così enorme che grida vendetta al cospetto di Dio. Da ultimo è dovere dei ricchi non danneggiare i piccoli risparmi dell'operaio né con violenza né con frodi né con usure manifeste o nascoste; questo dovere è tanto più rigoroso, quanto più debole e mal difeso è l'operaio e più sacrosanta la sua piccola sostanza". Parole forti e chiare.
C'è anche un altro stralcio dell'enciclica Rerum Novarum che riporto fedelmente per non intaccarne la bellezza e l'intensità del pensiero: "Quanto alla tutela dei beni temporali ed esteriori prima di tutto è dovere sottrarre il povero operaio all'inumanità di avidi speculatori, che per guadagno abusano senza alcuna discrezione delle persone come fossero cose. Non è giusto né umano esigere dall'uomo tanto lavoro da farne inebetire la mente per troppa fatica e da fiaccarne il corpo". L'enciclica poi evidenziava quanto la ricchezza fosse accumulata in poche mani, mentre molto estesa fosse la povertà e denunciava il monopolio dell'industria e del commercio.
Con un tono meno passionale e più riflessivo papa Pio XI con la lettera Quadragesimo anno (1931) ribadiva l'importanza della Rerum Novarum definendola la Magna Charta dell'ordine sociale e rifletteva sul fatto che l'economia non è del tutto autonoma dall'ordine morale, ma che la produzione dei beni e della ricchezza doveva raggiungere anche la classe proletaria, secondo il principio del bene comune. Affermava che il solo capitale, senza il lavoro dell'uomo non produceva ricchezza, ma che erano necessari l'utilizzo di entrambi gli elementi perché si producesse il benessere. Precisava che la giustizia sociale non poteva essere sostituita dalla carità cristiana, occorreva invece che gli operai ricevessero il giusto salario per poter mantenere dignitosamente le loro famiglie.
Tuttavia ricordava che: "Nello stabilire la quantità della mercede si deve tener conto anche dello stato dell'azienda e dell'imprenditore; perché è ingiusto chiedere esagerati salari, quando l'azienda non li può sopportare senza la rovina propria e la conseguente calamità degli operai. È però vero che se il minor guadagno che essa fa è dovuto a indolenza, a inesattezza e a noncuranza del progresso tecnico ed economico, questa non sarebbe da stimarsi giusta causa per diminuire la mercede agli operai...". Secondo me l'interpretazione che Pio XI da alla giustizia sociale e all'economia è senz'altro equilibrata, saggia e rispettosa del bene comune.
La revisione dell'economia e dei suoi fini è il tema dominante dell'enciclica di Benedetto XVI che con l'enciclica Caritas in veritate (2009) critica con cautela la delocalizzazione della produzione e la deregolamentazione del lavoro. Il pontefice mette in evidenza come il mercato è sottoposto al principio della giustizia commutativa che regola lo scambio del dare e del ricevere tra soggetti paritetici, ma non produce quella coesione sociale, utile per il benessere collettivo. La dottrina sociale della Chiesa invece si ispira alla giustizia distributiva e alla giustizia sociale. Prezioso, mi sembra, il richiamo del pontefice quando denuncia una atteggiamento troppo fatalistico nei riguardi della globalizzazione, come se le dinamiche in atto fossero prodotte da anonime forze impersonali e non dalla volontà umana.
Riconsiderare il ruolo delle organizzazioni sindacali, sarebbe un segno di solidarietà e di fiducia verso i lavoratori e porterebbe uno sviluppo più stabile e profondo di quello attuale. Molto bello, a mio avviso è il seguente passo: "Molte persone tendono a coltivare la pretesa di non dover niente a nessuno, tranne che a se stesse. Ritengono di essere titolari solo di diritti e incontrano spesso forti ostacoli a maturare una responsabilità per il proprio e l'altrui sviluppo integrale. Per questo è importante sollecitare una nuova riflessione su come i diritti presuppongano doveri senza i quali si trasformano in arbitrio Si assiste oggi a una pesante contraddizione. Mentre, per un verso, si rivendicano presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario, con la pretesa di vederli riconosciuti e promossi dalle strutture pubbliche, per l'altro verso, vi sono diritti elementari e fondamentali disconosciuti e violati nei confronti di tanta parte dell'umanità. L'esasperazione dei diritti sfocia nella dimenticanza dei doveri". Secondo Benedetto XVI la carità nella verità è quella logica economica che pur senza negare il profitto, intende andare oltre la logica del profitto fine a se stesso.
E dopo questa breve panoramica sulla dottrina sociale della Chiesa, come non ricordare Giovanni Paolo II? Nella lettera Laborem exercens (1981) il pontefice sottolinea la fatica che tutti gli uomini compiono lavorando ed aggiunge che attraverso l'attività lavorativa, l'uomo aumenta la sua dignità. Anche nel lavoro dipendente, l'uomo deve saper lavorare "in proprio" recuperando così autonomia e creatività. La funzione del lavoro è anche quella socializzante. E poi aggiunge una riflessione etica sulle Organizzazioni sindacali, dicendo che: "Al tempo stesso, però, il compito dei sindacati non è di «fare politica» nel senso che comunemente si dà oggi a questa espressione. I sindacati non hanno il carattere di «partiti politici» che lottano per il potere, e non dovrebbero neppure essere sottoposti alle decisioni dei partiti politici o avere dei legami troppo stretti con essi. Infatti, in una tale situazione essi perdono facilmente il contatto con ciò che è il loro compito specifico, che è quello di assicurare i giusti diritti degli uomini del lavoro nel quadro del bene comune dell'intera società, e diventano, invece, uno strumento per altri scopi". Forse il miglior insegnamento di Etica del lavoro, Giovanni Paolo II ce lo ha tramandato attraverso la testimonianza della sua vita, rimanendo al suo posto gli ultimi quattro anni del suo pontificato nonostante il morbo di Parkinson. Con semplicità usava dire che era stato Dio a volerlo Papa.
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