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La morte allunga il passo. (seconda parte)
Sam Fontana, detto Palla di Vetro, era sprofondato nella sua poltrona di pelle umana. Seminascosto dietro una grande scrivania, anche questa rivestita di morbida pelle. Si riusciva a individuarlo seguendo i segnali di fumo del suo sigaro. Era un nanerottolo sotto il metro e mezzo, con una vocetta mielosa con cui veicolava i suoi continui understatement. Come ci teneva a definirli amabilmente lui stesso. In effetti non c'era nessuno più esplicito e diretto di lui. Gli disse di farsi avanti e mettersi comodo.
- Allora Signor Ted Sullivan il mio amico quel mariuolo da strada di Jack sei braccia ha perorato la sua causa ha intercesso o interceduto come minchia si dice non me ne può fregar di meno per lei per falle avere sto colloquio a proposito mi scusasse lo gradisce un mandarinetto un sigaro un biscottino allo zenzero-
- No, la ringrazio, Signor Fontana... non fumo, sono a dieta e... il dottore mi ha consigliato di stare lontano dall'alcol...-
- Ma fottere fotte eh atrimenti che minchia ci sta a fare a sto mondo in ogni caso non la conosco ancora tanto bene da potella affidare alle cure amorose di Sofia e
Teresa le gemelline che l'hanno condotta da me in seguito se farà il bravo giovine vedremo allora mi diceva-
Ascoltare Sam Fontana era davvero impegnativo. Forse ve ne sarete accorti, il boss parlava a raffica, senza sfumature, e soprattutto senza rispettare la punteggiatura. Era come se partisse in quarta e ci rimanesse sempre, se ne fregasse dei semafori, e spiaccicasse tutte le vecchiette che avevano la sfortuna di trovarsi sulla sua strada. Solo quando diventava paonazzo, si fermava a riprendere fiato e ripartiva in quarta. Era stressante per chi lo ascoltava. Probabilmente lui ci aveva fatto il callo.
- Veramente non le ho ancora detto il motivo che mi porta da lei.-
- Nun ce ne sta bisogno figghiu... o sacce ggià-
Altra cosa che connotava il suo eloquio era l'uso di parole di varia provenienza. Siciliane, calabresi, napoletane... Forse un vezzo per marcare con orgoglio la sua italianità.
- Stai ceccando a lettera a lettera do mistero o mistero di sta minchia nun ce sta mistero pe Sem Fontana-
Di tanto in tanto Ted lo interrompeva, non per altruismo, per farlo respirare, ma per prender fiato lui stesso. Per riprendersi dal tour de force.
- Visto che lo sa già, crede di potermi fornire qualche indicazione utile?-
- Indicazione utile ah ah ah sto picciotto comincia a stammi simpatico pensi che se sapessi dove è a lettera nun saria già acchi allora devo agguire nun ne conosci u cuntenutu-
- Sarò sincero, no!-
- Bene figghiu pattiamo da premessa cu sindico de Niu Yokke Biondello la Grazia parente laterale di Fiorello la Guaddia attrimenti detto Fiorello a Minchia democratico sotte spolie di repubblicano s' è messo in ta capa un'idea meravigliosa sentammè eliminare Littol Itali Ciainataun Hallem nun vole ghetti dice vuole promuovere l'integrazione razziale vuole che facimmo di tutterrazze ammuina insomma vuole sfrattarci a tutti quanti.-
Finalmente Ted cominciava a capire il perché delle parole di Saul Mellow.
- Capisco...-
- Checcapisci ancora nun poi capi citto e scoltammè sto Biondello nessuno lo sa tiene l'orecchio dolce-
Cogliendo una nota interrogativa sul suo volto, Sam si sentì in dovere di precisare, spazientito.
- Si si insomma Biondello o prenne intuuculu ci piace eccome se ci piace fa festini e pe camuffallo ci chiama fimmine e masculi fotte nu poco tanto pe fassi un alibi e poi s' appatta con giovini ben dotati-
- Ah, baciami il culo!-
- Commo hai detto-
- Intendevo dire cazzo!-
- E cazzo si tanti cazzi molti cazzi sapessi quanti il coppo dei marines al completo a busta conteneva ottre a una lettera accune foto che provano o vizietto del nostro amato sindico o strumento pe ricattallo e bloccare ste strane iddee di sta minchia d integrazione razziale noi stiamo bene acussi i cinesi stanno bene acussi i negri pure che minchia va ceccanno sto frocio di Biondello che ceccasse i cazzi sua si accontentasse citto e ciuccia-
- Però, bacia... che casino!-
- Chi tiene a lettera tiene Biondello pe palle il direttore do Cronicle sto minchione sciupa femmine da strapazzo di Mollicano ammesso avisse tenuto o curaggio di pubblicare a notizia rischiando non una semplice raffica di mitra sull'insegna ma di finire arrosto con tutta la redazione lui e quei cazzo di whu whear when whot whai avrebbe provocato uno scandalo gigantesco prima di poter trattare uno scambio col rischio se nun avesse funzionato di accelerare o cambiamento-
- Capisco, capisco, adesso capisco.-
- Capisci ma nun sai nun sai che io non ciò sta benedetta lettera magari pemmia l'hanno fottuta molto probabilmente gli occhi a mandolla i cinesi e li che devi ceccare e poi se la trovi la porti qua da zio Sem per questo tuo impegno eccoti un anticipo di duemila big bucks come dite voi ienchis-
Ted era stato colto in contropiede. Era frastornato. Non sapeva se più dai modi o dalle notizie. Che fare? Poteva rifiutare? Al punto in cui stavano le cose sarebbe certo uscito da quell'ufficio coi piedi in avanti e magari un buon aroma di mandarinetto sulla fronte, a mo' di estrema unzione. Prese i soldi e fece per andarsene, quando Sam disse:
- Mii quanta fretta assettate adesso ti dico o futuro give me yor hend-
La mano? Cosa... ma certo!, adesso Ted capiva il perché di quella sfera di cristallo sulla scrivania, di quei mazzi di tarocchi sparsi qua e là. Capiva il perché di quel nick name: Palla di Vetro. O il Futuro dietro le Spalle, per pochi intimi che non avevano più avuto la fortuna di ripeterlo. Sam Fontana era un cultore delle scienze occulte. Dell'arte della divinazione. Un seguace del paranormale. Lui stesso era paranormale. Non avendo niente di meglio da fare, si assoggettò di buon grado. Spontaneamete gli offrì la sua mano. Tremava leggermente. Sam l'afferrò con avidità. Non gli sembrava vero di potersi esibire con un novizio e cominciò con il suo originale stile espressivo à bout de souffle a dischiudergli le porte del futuro. Non capì molto. Solo la conclusione fu chiara. Larvatamente minacciosa ma anche moderatamente tranquillizzante.
- Vai vai tutto okkei anche se ti teniamo nel mirino non credere conosciamo quanti peli hai su u culu il tuo babbiere a donna che ti scopi quella che ti fa le pulizie assoreta e il tuo sciuscià-
I due biondi angeli custodi lo riaccompagnarono all'uscita. Finalmente respirava. Si fermò al distributore di giornali, inserì una moneta. Un titolo in particolare lo colpì: Jim O'Brian, fotografo e recordman di scoop scandalistici era scomparso. La polizia temeva fosse caduto vittima della criminalità organizzata. Lo conosceva di vista. Sembrava un buon diavolo. Certo quello di Jim non era un mestiere privo di rischi. Perché il suo forse lo era? Mentre procedeva speditamente, un pensiero fra tutti occupava la sua mente. Lo agitava. Fra i tre litiganti, chi aveva il maggiore interesse a mettere le sgrinfie su quella lettera? I neri? Forse. Ma erano, tutto sommato, troppo tranquilli per azioni violente. Troppo intenti a portare avanti le loro lotte per i diritti civili. Non avrebbero corso il rischio di rovinare tutto. Rimanevano italoamericani e cinesi. Questi ultimi, da anni, avevavo iniziato una sorta di lento ma inesorabile espansionismo a spese di Little Italy. I cinesi perciò erano i più indiziati. La sana regola del a chi giova portava dritto dritto a questa conclusione. Era lì che bisognava indagare. A Chinatown.
Prima però c'era una questione da sistemare. Sullivan, in fondo, era una persona onesta. Non voleva essere pagato due volte. Quella mattina si era recato, a piedi, alla sede del Little Italy Chronicle. Si era fatto ricevere da Mulligan e gli aveva detto che non era riuscito a trovare nessuna pista che valesse la pena seguire. Preferiva fare la parte dell'incapace, del coglione, piuttosto che quella del disonesto. Gli aveva restituito i duecento dollari e, nonostante l'insistenza di Mulligan, aveva rinunciato all'incarico. Appena in strada, dopo essersi allontanato qualche centinaio di metri, aveva appoggiato un piede su una colonnina antincendio, per allacciarsi una scarpa. La scena sarebbe valsa una foto. Il nero lucido dell'elegante calzatura risaltava come non mai accostata al rosso fiamma della colonna di ghisa. Ma proprio in quel momento di rapimento estetico, con la coda dell'occhio, vide Dorothy, la maggiorata di Mulligan, uscire con aria circospetta dal Chronicle. Sembrava andare di fretta. Un presentimento l'indusse a seguirla. Era diretta a Chinatown. Davanti al ristorante Mr. Chow si fermò a parlare con un cinese. Sembravano molto in confidenza. Quasi intimi. A giudicare dallo sguardo liquido di lei.
Nella lavanderia deserta c'era un gran silenzio. I capi a penzoloni parevano minacciosi fantasmi. Sullivan guadagnò velocemente il retro, da dove sembravano provenire delle voci. Per evitare di essere scoperto si tolse le Diplomat, le legò fra loro con i lacci e se le mise attorno al collo a mo' di stola. Le voci si facevano sempre più distinte. Sullivan conosceva un po' di cinese. Suo padre, ufficiale di seconda su di un mercantile che trasportava carichi da e per la Cina, l'aveva imparato nel corso dei suoi lunghi viaggi. Nel poco tempo che trascorreva a casa, cercava di insegnare a Ted quella lingua così' difficile. Mentre gli diceva:
- Figliolo... vedrai che magari un giorno ti verrà utile.-
Ted non avrebbe mai immaginato che l'augurio del padre si sarebbe un giorno trasformato in profezia. Provò un misto di soddisfazione e riconoscenza e, mentamente, occhi al cielo, gli rivolse un ringraziamento. Adesso era così vicino che riusciva a vedere tutto. Dorothy, abbracciata al cinese, gli sussurrava:
- Ted Sullivan si è tirato fuori... non dovete più temere. Nessuno ormai può sospettare di me.-
Nel mentre, altri due uomini li raggiunsero. Quello più piccolo, dalla faccia sfregiata, disse:
- Il fotografo non potrà più parlare. Sta facendo compagnia ai pesci. In fondo all'Hudson. Quanto a Sullivan che facciamo?-
- Meglio non rischiare...-
Quelle parole avevano provocato in Ted un certo brivido. Aspettò che quelle brave persone se ne andassero, poi si rimise le scarpe e uscì, cercando di confondersi fra la folla. Aveva bisogno di aria fresca, di un po' di cielo. Staccare per un attimo. Prese la metropolitana, diretto a Long Beach.
Era più di un'ora che aveva la sensazione di essere seguito. Aveva cercato di seminare l'ostinato pedinatore, di far perdere le sue tracce. Sembrava esserci riuscito quando udì prima in lontananza, poi sempre più distintamente, il cigolio delle ruote di un vecchio carretto. Tipico anche del cuoio non conciato a dovere. Passi che si facevano sempre più rapidi. Più intensi. Come il crescendo del suo cuore.
Ted Sullivan giaceva disteso, supino, sulla vasta pavimentazione di assi di legno, che respiravano insaziabili l'aria dell'oceano. I piedi leggermente a vu. Gli occhi fissi verso un cielo di un azzurro struggente. Consapevole che era l'ultima volta. Poi, con le poche forze di chi si aggrappa disperatamente alla vita, lo sguardo percorse le gambe in tutta la loro lunghezza, fino ad arrivare giù in fondo. Alla fine dell'esistenza. Le sue Alden Diplomat erano là. Larghe macchie rosse si stavano facendo largo tra lacci e cuciture. Sembravano avere la meglio sul nero luccicante.
Al cimitero, quel pomeriggio piovoso di ottobre inoltrato, c'erano solo il sacerdote, l'amico Saul Mellow e una donna assai elegante, avvolta nel suo inebriante profumo: Chanel N° 5. Molto in lontananza, dentro una limousine nera, sprofondato sul sedile posteriore, un omino intento a recitare mentalmente una preghiera.
Dimenticavo di dire: dentro la sua bara, oltre alle Diplomat nere tirate a nuovo, c'era un altro paio di Diplomat marroni, nuove di zecca, con un biglietto scritto a mano, di cui non si riusciva a leggere la firma.
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- Non fosse stato per il drammatico finale mi stavo davvero divertendo, Sam Fontana sembrava la parodia di Danny Devito.
Il mio "temo che..." inendeva proprio questo, il timore di un piacevole racconto troppo breve.
In sintesi, mi pare un sapiente mixage di vari racconti e film d'autore, l'ultima scena ricorda, se non mi sbaglio Ray Liotta su una barella verso l'obitorio.
Lettura scorrevole e quindi piacevole e, come già detto, a tratti divertente.
Ciao
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