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Un'altra bevuta con mio fratello
«Crei un tuo mondo quando non c'è niente da fare, specialmente la sera... »
«Praticamente sempre. »
Stavo seduto al bancone del bar con mio fratello, quello che scompare nella notte fra un raggio di luna che colpisce le palme e l'altro. Lo guardavo fisso negli occhi perché avevo ancora bevuto poco, ragionato poco e vissuto ancora meno.
«E allora? »
«Allora cosa? »
«Non ti senti soddisfatto del tuo mondo? »
«Il mondo me lo creo fra una riga e l'altra, il resto può andare affanculo. »
«È inutile che ti atteggi a duro con me. »
«Non lo faccio per te, ma per fare colpo sulla bionda che hai affianco. » sussurrai.
Lui alzò le sopracciglia, poi le inarcò pensando a come guardarla a sua volta. Si voltò leggermente verso lo specchio che stava dietro al bancone e si lasciò andare ad un fischio di apprezzamento. Bel viso, pulito, gote leggermente arrossate e occhi grandi. Erano azzurri e colpivano la gente come lame. Mio fratello fischiò nell'aria, come un quindicenne stupido. Lei si girò e se ne andò.
«Bene. Ora non hai più preoccupazioni, quindi smettila di fare il duro. »
«Sei uno stronzo. »
«Oh, non più di te. »
«Anche questo è vero. »
La serata passava non sempre leggera in sua compagnia, poco prima avevamo avuto da ridire su una certa cosa... robe di poca importanza, come la maggior parte. Si trattava del ruolo della chiesa nell'avanzata del virus HIV. Concludemmo che era da millenni che la religione in genere mieteva morti su morti, che le mani sporche del papa non erano paragonabili a quelle dei mafiosi (almeno per lui) e, chissà per quale motivo, finì che il giro successivo di beveraggi lo pagai io. Non sono un vero cinico.
«Ti rendi conto che se non ci trovassimo qui al bar, di tanto in tanto, passeresti la vita chiuso in casa? »
«Che ci vuoi fare? »
«Mah, potresti guardarti intorno. »
«Ultimamente la gente mi infastidisce... »
«Non fare il misantropo, adesso. Chi vuoi fottere? »
«La gente va presa a piccole dosi. »
«Una roba tua? »
«Ralph Waldo Emerson. »
La dolce barista Emma si avvicinò a raccogliere i resti delle birre che avevamo davanti: vedendola arrivare io scolai la mia, mentre mio fratello la tenne apposta. Pensai che fosse un bastardo a farle fare due giri per liberare il bancone, povera ragazza, e glielo dissi. Ma lui non mi calcolò nemmeno e aspettò che fosse passata oltre per finire di bere. Certe volte mio fratello si comporta in modo cattivo, forse per compensare quel suo carattere di burro. Gli dissi anche questo, in tutta risposta lui alzò un braccio e ordinò un'altra pinta. Una sola.
«Lo sai che la bevo anch'io. »
«Certo. L'ho fatto apposta. »
«Ti comporti peggio di un bambino. »
«Un bambino con te non avrebbe speranza. »
Mi sollevai dal bancone, gonfiando il petto:
«Perché? Non credi che sarei un buon padre? »
«Saresti un PESSIMO padre. »
«Oh, cazzo di cristo! Come ti viene in mente questa stronzata? »
«Ma guardati! È mercoledì sera e tu stai qui al bar a bere Guinness... »
«E allora? »
«E allora, mi chiede! E allora? Un buon padre di famiglia, ora, starebbe su un divano a guardare un film per tutta la famiglia e magari a purgare con le parole le scene troppo spinte! »
«Come faceva nostro padre? »
Lui sorrise.
«Già. Ti ricordi quel suo senso di pudore quando si accennava anche solo al sesso? »
«Se mi ricordo... Con Love Boat pareva non sapere più che pesci pigliare... »
«Cristo! Love Boat! Che ricordi! »
«Che poi, in realtà, non era per niente spinto... »
«Mah, secondo me qualche riserva ce l'aveva. Un po' di malizia velata... »
«Io so che mi sarei sbattuto seduta stante la ragazza, quella coi capelli a caschetto. »
«E chi non l'avrebbe fatto? »
«Magari nella sua cabina, o cullati dall'acqua della piscina... »
«Perché non in mare? »
«Ma scherzi? Tu scoperesti in mezzo all'oceano? »
«Certo. »
«Mi auguro che venga un pescecane a morderti il culo, allora. »
Arrivò la cameriera con due birre, mio fratello le fece notare che ne aveva chiesta solo una. La sua risposta mi stupì, aveva dell'intelligente e del furbo allo stesso tempo:
«Mi era sembrato strano che lui non bevesse, nessuno dovrebbe mai bere da solo. »
Poi mi strizzò un occhio e si allontanò sculettando. L'avrei mangiata viva ad ogni saltello del sedere. Non era uno di quei culi in grado di stare fermi coi tacchi, bandozzolava un po' ed era ipnotico per le mie pupille offuscate dalle pinte.
«Salute! » disse mio fratello.
«Salute. » risposi.
Restammo in silenzio qualche minuto, contemplando la bontà di una birra fresca con il caldo estivo intorno. Qualche altro cliente faceva lo stesso, e guardava il bersaglio delle freccette o la prima donna che passava. Le finestre erano tutte aperte, nessuna cappa di fumo denso che strizzava agli occhi: solo le birre, i clienti ed il bel culetto che saltellava fra un tavolo e l'altro. Com'era che si chiamava? L'ho scordato.
«Non credi che dovresti rinnovarti? »
«Certo. »
«Non sai neanche di che cosa sto parlando... »
«Infatti. »
«Parlo del tuo modo di scrivere, dovresti cambiarlo. »
«Questa è bella! E perché, sig. Marshall McLuhan? »
«Non è il caso che mi pigli per il culo. »
«Senti, io ti dico come fare il tuo lavoro? No, mai. »
Bevvi una gran sorsata di birra fresca.
«E tu non devi farlo con me. » continuai, «Ognuno sta bene come sta, e viviamo entrambi felici. »
«Se te lo dico è proprio perché non ti vedo felice... »
«Fratello mio, se scrivere rendesse felici non pensi che lo farebbero tutti? »
«Ti stai contraddicendo da solo. »
«Lo so. E mi piace così. »
Non capisco perché chiunque si senta in dovere di spiegarmi come vivere al meglio la vita: già ti plagiano a scuola, devi stare attento a non farti incamerare in uno dei loro sistemi malati e poi sul lavoro ti risucchiano in un morbo senza fine, farcito di apprensioni e responsabilità come l'affitto e le bollette e il fatto che dovresti trovarti una donna con cui vivere. Già non bastavano l'affitto e le bollette. Mancava pure di convivere. Troppo complesso, per ora. Sono ancora giovane, profumo ancora di latte per questo genere di cose. Cazzo, ho solo ventiquattro o venticinque anni! Non mi pare il caso di buttarsi giù!
Ma è da almeno la metà dei miei anni che sono chino su un libro di testo a scuola e, ora che l'ho finalmente fatta finita, sono chino su un dannato computer a lavorare. Ogni giorno, per sempre. C'è qualcosa che non torna, non me l'ero immaginata in questo modo. Forse ha ragione mio fratello.
«È così, ti dico. Non è un fatto di maturazione, c'è chi ci è portato e chi no. »
Si parlava di viaggiare all'estero e di provare nuove esperienze all'avventura.
«Perché no? »
«Non ti sto dicendo di no. » gli spiegai, «Solo che c'è da tirar fuori le palle, e non hai idea di quanto piccole ti diventino dopo undici mesi di disoccupazione, il crollo dei sogni e neanche una via di sfogo. »
«Dio cristo! Sei proprio a pezzi, eh? »
«Già. »
Mio fratello posò il bicchiere e mi mollò un ceffone in pieno volto. Schioccò l'ambiente in tutto il bar, qualche cliente si voltò a vedere rapidamente cosa stesse succedendo al bancone ma poi tornò subito nella sua posizione. Certa gente vive anche facendosi i cazzi propri.
«Sai che sei l'unica persona a cui lo permetto... ma non ripetere questo errore. »
«E tu lo sai perché l'ho fatto? » sbraitò lui.
Diedi un'ultima ingollata alla birra, sperando che il fresco mi facesse passare il bruciore. Poi ne ordinai un altro paio.
«L'ho fatto per te! » continuò, «Perché stai morendo in piedi! E svegliati! »
Continuavo a guardarlo, seguendo lo scintillio dei suoi occhi ed il gesticolare di quelle mani grandi che mi avevano appena dato una sonora batosta alla faccia.
«Ma guardati in giro! Pensi di essere l'unico con questi cazzi? Eh? Credi che non ci sia nessun altro al mondo che lavora in miniera, in fabbrica o in banca? Credi che non esista la cassintegrazione? Baciati le mani del fatto che hai un lavoro, stronzo! Io mica ce l'ho un lavoro! »
«Vorrei ben vedere... » commentai, sapendo che prima o poi sarebbe svanito nel nulla.
«Tu devi solo uscire dall'atrofia. Ti serve solo quello. Solo quello e una scopata. »
«Scopo ogni tanto... »
«Troppo poco, merda! Altrimenti non faresti questi discorsi del cazzo! »
«Io voglio scrivere. »
«Prima di scrivere, vedi di vivere almeno. O finirai per scrivere stronzate senza la minima passione, né un briciolo di sentimento per le cose che vedi. Se proprio vuoi farlo, almeno fallo bene! »
«Su questo ti do ragione... »
«Perché, su cos'è che non ce l'ho? »
«Su questo... »
Gli sferrai un pugno in pieno volto, diretto al naso. Lo vidi cadere a terra, poi rialzarsi e caracollare con un sorriso a destra e a manca. Poi scomparve, si dissolse nell'aria semplicemente senza neanche un puff o una di quelle cose dei cartoni animati di un tempo.
Lo feci perché sapevo di avere torto a complicare le robe semplici, sapevo benissimo che lo stavo facendo per darmi un tono e questo lui lo odiava. Lo feci sparire solo perché quella sera non mi andava di immergermi nei meandri della mia mente ancora a lungo, sebbene in fondo sapessi benissimo cosa dovevo fare. La volta dopo mi sarei fatto perdonare.
Si avvicinò di nuovo la bella barista bionda:
«Allora, solitario, bevi ancora due birre? » mi chiese.
«No, una sola. Grazie. »
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