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Un'ultima bevuta con mio fratello
«L'altra volta mi hai fatto male! »
«Hai ragione, scusami. » risposi.
Si riferiva alla settimana scorsa quando lo atterrai con un pugno in pieno volto, e lui scomparve nella notte di quel mercoledì stupido e pieno di ricordi.
«Di che stavamo parlando? »
«Di stronzate, come al solito. »
«Le nostre non sono mai stronzate, spesso intavoliamo dei bei discorsi. »
«Tipo? »
Lui sorseggiò la Guinness e rifletté sulle ultime uscite assieme.
«Per esempio quella volta che discutevamo della chiesa... »
«Ma andiamo! Discorsi da bar, come al solito. »
«Davvero? »
«Credimi, potremmo parlare di quello come di un letto reclinabile per levarsi dal letto ogni mattina prima delle dieci. Non farebbe alcuna differenza. »
Inarcò le sopracciglia e mi domandò:
«Che cosa? »
«Ma sì, un letto che si solleva del tutto e ti mette in piedi. L'ultima spiaggia per l'uomo che non sente la sveglia mattutina. »
«Beh, così ti alzi di sicuro... »
«È quello che dico io, o ti alzi o cadi a terra. In ogni caso ti svegli. »
«Che risveglio di merda, però. »
«Perché? Ce ne può essere mai uno buono? »
Si avvicinò la cameriera più bella del mondo, quella con il bel culetto che saltella insieme ai passi dei suoi tacchi, quella di cui non ricordo mai il nome, Emma, e disse che il proprietario voleva offrirci un giro di rum. Lo faceva di tanto in tanto con i clienti abituali, per renderli ancora più abituali. Non per amicizia, solo per affari.
«Portali, tesoro. E versane uno anche per te. »
«Io non posso bere mentre lavoro... » si giustificò.
Mio fratello la guardò dall'alto in basso.
«Senti, vuoi che continuiamo a restare clienti abituali? » le disse, «Allora versati un rum e bevilo con noi. »
«Dovrei chiedere al padrone. »
«Chiedi a chi vuoi, ma non privarci della tua compagnia... »
Lei trotterellò via e si infilò nella porta sul retro, ufficio privato del boss.
«C'è sempre un padrone e sempre un sottoposto, vedi? » mi disse mio fratello.
«Hai scoperto l'acqua calda. » gli risposi.
«Secondo te ritorna? »
Buttai giù la schiuma densa della birra scura come la notte e ne apprezzai ogni molecola morbida.
«Certo che torna, vuole la mancia. »
Mio fratello si appoggiò col gomito al bancone e allargò le mani a palmi in alto, come per spiegare le sfaccettature del mio carattere a gesti.
«Io non ti capisco! Potrai mai avere un po' di fiducia nella gente? »
«Cosa vuoi dire? »
«Il padrone che ci offre da bere solo per affari, la cameriera che tornerà per una mancia... pensi mai che potrebbero essere gentili con te perché magari sei un buon diavolo? »
«Cristo! Mi fai vomitare, sembri un poppante appena svaginato! »
«No! Sei tu ad essere CINICO! »
«Senti, vuoi davvero ricominciare a sbraitare come l'altra volta? Lo sai, poi finisce con te che mi pigli a schiaffi, io che mi incazzo e per orgoglio ti rifilo un dritto in faccia. E tu scompari. E non voglio vederti scomparire stasera, è ancora presto. »
«Mi stai trattando come un cane. »
«Non potrei mai, ti voglio bene... come a me stesso. »
«Fottuto egocentrico bastardo! » sorrise lui.
Tornò la cameriera con tre bicchieri da cicchetto, li riempì di rum chiaro e ce li mise davanti.
«Allora il capo ti concede questo lusso? » chiese mio fratello.
«No. Me lo prendo. » rispose lei, allargando la bocca nel modo più sensuale che avessi mai visto.
«Alla salute! »
«Salute. »
Buttammo giù i rum d'un fiato, siamo gente della vecchia scuola, mentre la dolce ragazza lo separò in due sorsate ravvicinate. Perfino il suo modo di bere la faceva sembrare più sexy di quanto non fosse in realtà. O forse erano le pinte di birra scolate prima. Il punto è che aveva completamente ragione Byron sulle donne, basta avere in corpo una vodka di troppo e via.
Il bar non era mai cambiato, fin dalla prima volta che ci avevo portato mio fratello: stessi clienti, seduti agli stessi tavoli, con gli stessi drink e pareva proprio anche negli stessi bicchieri sporchi. Il fumo delle sigarette rendeva l'aria greve, ma non talmente pesante come la legge sociale vorrebbe far apparire. Si stava bene, decisamente bene. E in fin dei conti chi se ne frega se il padrone ti offre da bere solo per farti tornare? Chi se ne frega se per avere rispetto devi spendere soldi? Ha importanza se non si tratta più d'una questione di rispetto?
«Ognuno ha un prezzo, non credi? » domandai a mio fratello.
«Sei troppo generico. Detta così non ha un cazzo di senso. A cosa ti riferisci? »
«Mah... alle persone, principalmente. Basta sventolare un foglio da cento sotto il naso e subito accorrono come fossero i tuoi migliori amici. »
«Non puoi comprare tutto, però... »
Alzai gli occhi al soffitto.
«Cristo! Non vorrai parlarmi del prezzo dell'amore e balle varie, adesso! »
«No, in realtà pensavo più alla fede. Ma ammetto che sarebbe stato un discorso palloso. »
«Quindi la tua idea qual è? »
«Che di certo non puoi comprare tutto, ma che vale la pena farsi fare un preventivo. »
La bella cameriera era rimasta a guardarci per tutto il tempo, scambiando vicendevolmente lo sguardo su chi pronunciava le parole. Era a dir poco basita.
«Ti capita spesso? » mi chiese.
«Mi capita cosa? »
Anche lei allargò le braccia con i palmi in alto, come mio fratello... Che cos'è? Il gesto più di moda nel nuovo millennio?
«Intendo dire... vieni qui abbastanza spesso, ordini da bere sempre raddoppiato... come se foste in due... e poi bevi sempre il doppio degli altri clienti! Ma sembri più lucido ogni bicchiere che butti giù. Come fai? »
«È questione di allenamento, tesoro. »
Come appariva splendida, ora. Emma. Capelli lisci e sottili a caduta libera sulla schiena, lunghi e pettinati come una sudamericana. Il volto dimostrava in pieno i trent'anni ma era piacevolmente intonato al resto del corpo: sorrideva sempre, anche quando non avrebbe dovuto... sorriso alla Monna Lisa lo chiamano, mi pare: è quando gli angoli della bocca sono rivolti verso l'alto anche da seri, dando l'illusione di felicità in ogni momento. Poi ci pensano gli occhi a finire il resto dell'espressione. Dev'essere fantastico vedere piangere una persona come lei, voglio dire: sorridente e piangente. Ma sto divagando.
«E poi ogni tanto ti sento parlare... » continuò lei, «Allora mi giro e vedo che stai da solo. E mi dico che sono pazza, che sento le voci. Tanto qui non c'è nessuno. Ma tu, in realtà, ci parli da solo? Cioè... a me lo puoi dire, non me ne frega se sei fuori di testa o un po' strano. »
«Io non parlo da solo. Ho mio fratello. »
«Oh, già... il famoso Fratello-di-Luca. »
«Sai il mio nome? »
«Anche tu sai il mio. Qualche settimana fa ci hai provato con me... »
«Non io, ma mio fratello. »
«Ok, diciamo che è stato tuo fratello. E mi ero presentata come Emma. »
Un lampo balenò la mente con raggi di luce e ricordi: lei era EMMA.
«Emma... già. » dissi con finta noncuranza.
«Ma non è vero. »
«Cioè? »
«Non mi chiamo Emma. »
«Ah no? »
«No, Emma è mia sorella. »
Una buona risposta, devo ammetterlo. Sorrideva. Per un istante focalizzai la mente sulla possibilità che avesse davvero una sorella, magari gemella, con cui scambiava i propri turni di lavoro al bar. Tanto al capo basta solo fare i soldi con i clienti della sera, indipendentemente da chi possiede le due tette e il bel culetto dietro al bancone. Poi realizzai che mi stava solo prendendo in giro.
«Abiti vicino, Emma? »
«Ti ho già detto che non mi chiamo così. »
«È troppo tardi per cambiare... ti va se ti accompagno? »
«Finisco il turno fra più di un'ora. »
«Ti aspetto. »
Lei trottò via, regalandomi prima uno di quei fantastici sorrisi a bocca schiusa. Bella... la bella Emma, cameriera con una sorella-gemella del topless bar più economico nel quartiere. Sì, poteva funzionare con lei. Mio fratello mi guardò storto, dicendo:
«Stai pensando di portartela a casa? »
«Sì. »
«Credi che verrà via con te? »
«L'ha detto. »
«In verità non lo ha fatto. »
«È come se l'avesse fatto, no? Era implicito! »
«Quando capirai che l'implicito di una donna non si avvicina neanche lontanamente al senso dell'implicito maschile avrai raggiunto una nuova vetta del rapporto sociale moderno. »
«Ma lo sai che ne dici di cazzate? »
«Non più di quante credi. »
«Almeno la mia idea del letto reclinabile si basava su fatti reali. »
«Oh, davvero? »
«Perché? Non la credi possibile? Cristo! Io lo vorrei un letto così! »
«Negli ospedali li hanno già... »
«Si alzano solo sulla schiena, bisogna modificare tutto il meccanismo. »
«Scommetto che ci penserai tu, eh? »
«Non è da escludere. »
Mi chiese di ordinare un altro paio di pinte per far passare il tempo. Avevamo ancora un'ora e oltre per chiacchierare, prima di ritrovarmi per strada ad accompagnare Emma a casa. Magari a casa mia. E questo racconto? Lo basi sul niente? Dovresti costruire una trama, intarsiare le storie come una tela complessa e sconvolgente...
«Oppure potresti farla semplice e lineare. Qualcosa come: lui e lei, incontro al solito bar, notte di passione e fuochi d'artificio... risveglio mattutino a bordo d'un letto che vi butta in terra! »
«Ma la pianti di sfottere la mia idea del letto reclinabile? » lo rimproverai.
«E andiamo! Troverai pure un modo per finirla questa storia, no? »
«Eh, già. Prima o poi dovrei pensarci... »
«Non mi sembra così difficile. »
«Visto che ne sai così tante, perché non mi dai un'idea buona? »
«Dunque... Emma è buona, vero? »
«Sì, sì. Lei l'ho già inserita. »
«E il bar l'hai già descritto. »
«Esatto. »
«L'hai fatto bene? »
Cristo! Manca solo che il mio fratello spiritoso mi dica come fare il mio mestiere. Ma è un mestiere, poi? Comunque sì, l'ho fatto bene. Oltretutto non è che sia molto difficile, qui è sempre tutto fottutamente uguale. Potrei descrivere quelle mensole in finto legno con sopra i soprammobili della Macallan anche ad occhi chiusi. E poi i clienti... cristo, sempre le stesse facce che chiunque può trovare di mercoledì sera in un bar periferico della città. Avete presente il genere, no? Ecco. Fatta la descrizione.
«Ora ti manca solo la svolta. »
«Cioè? »
«Beh, nel tuo caso direi... Emma. »
«Emma? »
«Ma sì, portala a casa. Divertiamoci un po' tutti e due, poi domattina pensiamo al resto. »
«Tu non mi abbandoni mai, vero? »
«E come potrei? » sorrise lui, scolando il fondo del bicchiere.
Mi alzai e andai fuori a fumare una sigaretta. Non che ne avessi voglia ma era la scusa buona per prendere aria. Ovviamente mio fratello era con me. È sempre stato con me, fin da piccoli... quando guardavamo Love Boat con nostro padre che purgava le piccole malizie insite nei fianchi di quel pezzo di fregna coi capelli a caschetto. O nelle mille mogli di Doc. O nel fatto che Isac, secondo noi, aveva inzuppato il biscottone al cioccolato in almeno mezza ciurma.
«Te lo ricordi ancora, eh? »
«E chi dimentica? »
«Con tutto quello che scoli non mi stupirei se domani non ti ricordassi neanche più chi sei. »
«Magari fosse... Ma non potrei, fratello mio. Io bevo per ricordare. »
«Caso più unico che raro. »
«Lo ammetto. »
Ci guardammo negli occhi e fu come guardarmi dentro.
«Quindi... la finiamo qui? »
«Beh sì. Vorrei trovare qualcosa da dire... »
«Non ce n'è bisogno, chiamami quando vuoi compagnia. »
«Spero che ci penserà Emma a darmela. »
«Ne sono convinto. Ciao, fratello piccolo. »
«Ciao, fratello grande. »
Si avvicinò e ci abbracciammo in una stretta vigorosa, a pugni chiusi. Poi lo sentii penetrarmi come un fantasma che attraversa il muro e all'improvviso fu dentro di me. Era sottopelle, era dentro le vene, era nello stomaco... era dappertutto. Mio fratello era rientrato in me e, finalmente, dopo tanto tempo passato con lui potevo tornare una persona integra. Mi sentivo totalmente bilanciato.
EPILOGO
Peccato solo per tutte quelle belle conversazioni che perderò. Ma su Emma ci punto davvero molto: lei può essere realmente quella giusta. Se così fosse, però, avrei dato l'addio definitivo alla mia voce sottopelle. Chissà cosa ne direbbe lei, se gliene parlassi. Magari domattina, al nostro risveglio, lo faccio. Magari gliene parlo proprio mentre il letto reclinabile si solleva, inevitabilmente, verso l'alto facendoci caracollare al suolo.
«Tutto a posto? Sei sveglia, Emma? »
«E come potrei dormire! Sto cazzo di letto! »
«Parliamone... »
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