Credetemi, non vorrei disturbarvi, davvero. ho appena finito di combattere con la tentazione di lasciare questo foglio in bianco; la tentazione s'è dimostrata belluina abbastanza da piegarmi più volte ai suoi desideri, ma alla fine l'ho gabbata, come un bravo giocatore di braccio di ferro che quando credi d'averlo fiaccato e vedi il suo polso scivolare lento verso il basso, tutt'a un tratto riarma gagliardo e pugnace e ti stramazza.
ed ecco come è andata: oggi ero indecisa se scrivere o non scrivere, e a chi, e perchè; a chi è facile, si può sempre tirare a sorte; perchè, bè perchè non si sa, del resto non c'è da rammaricarsi, son ben pochi i perchè che si fregiano d'aver risposta certa a questo mondo; ma lauestione se scrivere o non scrivere era un vero rompicapo. c'era da andare a prendere il foglio, e poi la penna, sperando ve ne sia ancora qualcuna che scriva, che abbia un po' d'inchiostro nelle vene, cercare la sedia, accostarla al tavolino, nel frattempo potrebbe essere stata spostata, andare a guardare la data sul calendario, annotarla per non dimenticarla di nuovo dopo pochi passi, è cattiva educazione non segnare la data, e poi può sempre tornare utile.. insomma, tutte queste operazioni concatenate in un pomeriggio tranquillo di primo tepore, proprio non mi pareva d'uopo fare. e poi è venerdì, giorno di digiuno, digiuno e pigrizia vanno assai d'accordo. in un giorno così, al massimo si può pensare di fare qualcosa ma non certo farla, e poi ci si è messo anche il gatto, che quando vede carta e penna non sa resistere, salta su e osserva sonnacchioso l'andirivieni della Bic che ha su di lui un effetto ipnotico.
gli occhi del gatto, ambrati e opalescenti, stavano di fronte a me, con le pupille ridotte a due fessure.. fra poco s'addormenta, ho detto, ma io no, non mi addormento. come passerò il pomeriggio? è ancora presto, fa un po' caldo, ma scrivendo non si suda molto. scriverò, ho detto.
la vocina dell'ozio continuava sibilarmi di non farlo, mi teneva la mano abbandonata lungo il fianco, inerte, le gambe molli, la bocca che sbuffava, una noia da sfiancar pure un toro.
allora mi sono alzata e ho trascinato le mie gambe fino alla risma dei fogli, ne ho prelevato uno, no, meglio due, potrebbe venirmi una crisi di prolissità. sono andata al tavolino ma avevo dimenticato la penna, sono ritornata indietro, non c'era. la vocina parlava in continuazione, quando ho visto la penna che spuntava col cappuccetto bianco da sotto un quaderno ho avuto un moto di sollievo e uno di stizza. alla fine l'ho presa, sono ritornata al tavolino, mi son seduta, non stavo comoda, avevo la nausea, ho sbuffato, tre volte, in tre tentativi ho sbuffato. la vocina insisteva come un rappresentante di enciclopedie al suo centesimo tentativo, tanto che avevo deposto le armi. ma non l'asso nella manica! sono rimasta lì immota, gli occhi chiusi. taceva. ho schiacciato il tasto col canto addolorato del filosofo nel momento in cui è sicuro che applicare un potenziatore alle esigenze di infinito e di trascendenza non servirà a far ripartire la sua auto in panne. s'è di scatto voltato. ho afferrato la penna, m'ha lanciato un'occhiata! era tardi. l'inchiostro aveva già cominciato a colare.