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La cena è pronta
"La cena è pronta!", urlò sua madre dalla cucina e Camilla ebbe un tuffo al cuore. Quello era il momento della giornata che odiava di più, la rendeva nervosa e vulnerabile. Lei aveva i suoi piani. Si, Camilla aveva un piano per tutto : per i compiti da svolgere, per i giorni in cui doveva andare in palestra, per quando doveva lavare i capelli. Era una ragazza organizzata Camilla.
Ma il piano a cui teneva di più era quello della dieta. Aveva progettato tutto, era un piano di alimentazione perfetto, ma sapeva bene che i suoi genitori l'avrebbero costretta a mangiare più del dovuto, e lei non voleva. Sapeva bene anche perchè sua madre insisteva tanto perchè lei mangiasse. Era invidiosa, le si leggeva negli occhi. Sua madre era stata bella, un tempo. Aveva anche vinto un concorso di bellezza, quando aveva vent'anni. Durante la gravidanza, però, era ingrassata più di quanto avrebbe dovuto e i chili in più non li aveva più persi, nemmeno dopo tutti quegli anni. La colpa era di Camilla, e sua madre lo sapeva. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, perchè le piaceva considerarsi la madre perfetta, ma Camilla lo sapeva da quando era piccola. Così adesso voleva far ingrassare la figlia come era successo a lei.
Camilla aveva capito il suo piano da tempo ormai, e si era organizzata, come sempre, aveva ideato un piano. La mattina si svegliava sempre dieci minuti prima rispetto ai suoi genitori, cosi quando loro raggiungevano la cucina lei poteva dire di aver già fatto colazione.
A pranzo, poi era un gioco da ragazzi. I suoi genitori lavoravano e lei era sempre sola. Le bastava predendere del sugo e sporcare un piatto da lasciare nel lavandino come prova, e lasciare un guscio d'uovo nella spazzatura.
La cena era il problema. Sua madre era là che la guardava vigile e studiava tutti i suoi movimenti. Non poteva permettersi di fare un passo falso.
Andava in cucina e si sedeva a tavola, di fronte a sua madre, combattendo con tutte le sue forze contro la nausea che l'odore del cibo caldo le provocava. Ogni tanto aveva qualche conato di vomito, che mascherava abilmente con un colpo di tosse.
Sua madre le metteva davanti il piatto colmo di spaghetti che la osservavano spavaldi. Lei rimaneva impietrita, disgustata per qualche secondo, poi prendeva la forchetta e iniziava a giocarci, mischiandoli. Odiava il rumore che facevano, quella specie di squittìo. Era come se le facessero il verso, sfidandola. Ma lei non aveva scelta. Con la forchetta arrotolava gli spaghetti, tanti, quanti più riusciva e li metteva in bocca, fino a riempirsela tutta e non riuscire a respirare.
"Cami, non è educato fare bocconi così grossi!", le ripeteva sua madre, ma lei si giustificava dicendo che aveva molta fame. Era una ragazza furba, Camilla.
La sensazione della pasta sotto i denti, era davvero insostenibile per lei, così masticava velocemente il meno possibile, quanto bastava per non strozzarsi, e inghiottiva. Sentire gli spaghetti che le scivolavano giù per la gola la faceva rabbrividire di ribrezzo, ma sopportava. Era una ragazza forte, Camilla.
Dopo ogni boccone beveva un bicchiere pieno d'acqua, perchè sapeva che l'avrebbe aiutata dopo.
Poi era il momento del secondo. Di solito carne, ogni tanto formaggio. Era uguale, per Camilla, era comunque intollerabile. Anche per il secondo usava la stessa tattica. Boccone enorme, inghiottire, bicchere d'acqua.
Il pasto durava in media venti minuti, i venti minuti più lunghi della giornata. Alla fine si alzava da tavola, con lo stomaco gonfio di acqua e rabbia e andava al bagno. Vomitare non era difficile. Le prime volte, le aveva fatto schifo. Adesso era diventata un'abitudine, un piacevole rituale serale, qualcosa di cui non poteva fare a meno. Una sera non era riuscita a farlo. Aveva provato con tutto, le dita, lo spazzolino, una penna, ma niente. Alla fine si era arresa ed era stata male. Si sentiva sporca, impura, pesante, colpevole. Uno schifo.
Fortunatamente accadde solo una volta. Tutte le altre sere era facile, non aveva nemmeno bisogno di sforzarsi, oramai. Appena arrivava in bagno, faceva appena in tempo ad avvicinarsi alla tazza, che succedeva tutto da sè. Era un po' come se il cibo vivesse male dentro al suo corpo e premeva per uscire fuori. Tutto sommato era un odio reciproco, quello tra Camilla e il cibo.
Alla fine usciva dal bagno, soddisfatta e felice di sè. Sapeva di aver fatto la cosa giusta, sentiva di essersi liberata, di essere più leggera. E voleva verificarlo. Così, andava in camera sua, chiudeva a chiave la porta e si spogliava completamente nuda, in modo da non aggiungere alcun peso inutile, poi saliva sulla bilancia e chiudeva gli occhi per qualche secondo. Lentamente li riapriva e guardava giù, con il cuore in gola per l'emozione. 41, 3 kili. Non male. Le scappò un sorriso.
Era felice, sempre più vicina all'obiettivo. Si, perchè le persone che la guardavano con preoccupazione, dicendo che era malata, non sapevano come stavano realmente le cose. Camilla sapeva controllarsi, sapeva tenersi lontana dal limite. Voleva solo arrivare a 40 kili, perchè le piacevano le cifre tonde. Poi avrebbe smesso il piano della dieta. Era una ragazza responsabile, Camilla.
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