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Limite invalicabile
Il telefono stava squillando.
Forse era lei. Forse era solo l'ennesima delusione, la totale distruzione del suo ego. Ma lui era pronto ormai, sapeva che da li a poco avrebbe fatto bunjee jumping appeso al trave della cucina, con una corda al collo. La burrasca, che qualcuno potrebbe aver il coraggio di definire vita, lo stava trasportando autonomamente in un cunicolo senza uscita, sbarrato da un limite invalicabile. Morire così giovane? Talvolta ci pensava; pensava a come si sarebbe ucciso, pensava a cosa avrebbe visto dopo la morte. Sicuramente avrebbe cercato una morte veloce e poco dignitosa, non poteva uscire dal personaggio proprio mentre calava il sipario.
Il telefono stava squillando.
Forse sono quelli della linea elettrica. Si saranno accorti che non sto pagando. Si saranno accorti che nemmeno il postino riesce a recapitare la posta.
Fino a pochi mesi fa, avrei giurato che nulla avrebbe potuto scuotere la mia vita, che nulla avrebbe mai condizionato così ferocemente un solo attimo della mia esistenza, e adesso? Sono qui, sterile, vuoto, incatenato al mio destino troppo prevedibile per essere definito tale.
Il telefono stava squillando.
Congedarmi così, staccare la spina, sarebbe stato l'unico modo. Non potevo tirare avanti il carro ancora per molto.
La sua mente, incauta ed inesperta, stava macchinando esitazioni sconvenienti.
Perplesso ma non troppo, rideva al cospetto del suicidio.
Non riusciva ad essere turbato anche mentre preparava la corda. Eppure il telefono continuava a squillare Cazzo se squillava.
Rispose, seguito da immediati ripensamenti.
-pronto.- sussurrò all'apparecchio.
-dieci e trenta, Picadilly, domattina.- furono le uniche parole che percepì. Era una voce di donna.
Le sinapsi del suo cervello si ridussero immediatamente ad un groviglio disordinato.
La comprensione del mondo, stava diventando per lui un affare poco igienico; rifletteva su quelle parole pure, efficaci, indiscutibilmente precise.
Era un appuntamento, su questo non c'erano storie. Ma un appuntamento per cosa? Chi lo aveva chiamato? Era lei?
Il ticchettio dei meccanismi dell'orologio a muro che aveva ricevuto per regalo da sua zia, dal Galles, era l'unica cosa che lo ricollegava alla realtà; beh... forse c'era anche il male soffocante che provava all'alluce del piede, dopo aver sbattuto violentemente contro la gamba del tavolo. In effetti era troppo disorientato per poter pensare lucidamente a come coordinare i movimenti, a come coordinare la sua vita e a come progettare la sua morte.
Stringeva nel palmo della mano destra il cappio, nella sinistra la cornetta.
Il primo atto di superbia della sua vita; la mano destra, pura, sacra, cingeva l'oggetto che lo avrebbe messo per un istante, traballante in punta di piedi, all'altezza di Dio.
La cornetta invece era sempre li, immobile, silenziosa. Cosa lo stava scuotendo di più? Cosa di tutto questo lo stava facendo veramente sentire libero?
Arrischiarsi in un appuntamento al buio o arrischiarsi dando appuntamento alla morte? La propria morte, tra l'altro.
I convenevoli, li avrebbe lasciati sicuramente per ultimi; uomo di poche parole non avrebbe chiesto un parere a nessuno, nemmeno a se stesso. Ma lo stava per fare, stava per stringersi al collo quella corda da mare.
Quasi con un sorriso ripensò alle parole intriganti giunte alle sue orecchie pochi istanti prima.
Tremava, ansimava, il suo stomaco emetteva rumori sinistri; era in pieno stato di shock. Le sue gambe e la sua consapevolezza, lo abbandonarono nello stesso istante, facendolo immediatamente cadere al suolo. Il telefono, strappato violentemente dal mobiletto dell'anticamera si sfracellò al suolo e la Philip Morris che teneva tra i denti, disegnò ampi ghirigori nell'immensità del cielo nella stanza.
Il parquet si dimostrò molto più duro della sua scatola cranica; ruvido ed insolente, all'impatto, fece risuonare la sua testa come una grancassa.
Intanto, la sigaretta continuava ad ardere, mentre egli giaceva, immobile, sul tappeto.
Si alimentava come un grasso maiale in una mangiatoia, sfruttava la situazione; divorato il persiano si diresse verso la mobilia.
Bruciava, bruciava. Il fumo denso e soffocante era ovunque.
Mentre le fiamme erano già oltre la cucina, la mente della povera vittima rimuginava implacabile e solitaria. Ma cosa cercava?
Il problema vero, quello più definitivo e reale era come ne sarebbe uscito; ma in effetti in quel momento non aveva il dovere di preoccuparsene.
Per la prima volta dopo mesi di veglie notturne e masturbazioni mentali, era riuscito indirettamente a trovare il tempo per un po' di meditazione.
Si, una sorta di riposo coatto, una specie di fantascientifica formattazione celebrale, qualcosa che lo avrebbe potuto esportare in una realtà meno concreta, irrazionale.
Sognava feroce e consolato. Ridacchiava qua e là mentre il fumo ormai nero usciva dalle finestre, allarmando il vicinato.
La nube tossica gli aveva già quasi riempito i polmoni, ma lui elaborava, rifletteva. Ma cosa cercava?
Le riflessioni più attente, talvolta, possono portare a una specie di rivoluzione emotiva, che potrebbe forse essere troppo radicale per una mente così debole, così infantile.
Si vedeva disteso su un prato verde, sotto un dolce sole primaverile.
La brezza che scivolava educata sul suo viso e il piacevole profumo dei tulipani collimavano perfettamente; aveva sempre sognato di vivere in un posto così, possedere una piccola casetta in collina, vivere coltivando la propria terra, crescere dei figli, amare, amare, amare.
L'amore, l'uragano che forse fece traboccare il vaso. Il Santo Graal, per lui.
Nemmeno il rumore della porta che cadde sotto gli anfibi dei vigili del fuoco lo riportò alla realtà; e nemmeno le sirene dell'ambulanza mentre veniva trasportato in fin di vita all'ospedale riuscirono a turbare la sua riflessione.
Era molto concentrato il ragazzo; come non lo era mai stato.
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