Quanto traffico questa mattina, piove e quando piove la città sembra impazzire. Rumore di clacson e puzza di smog non consentono ad Ester di aprire il finestrino. La musica invade la macchina e ovatta l'ambiente. È curioso guardare fuori dal finestrino, mentre una musica eccitante ci solletica le orecchie.
Ester, un po' imbambolata, si guarda intorno, non vuole pensare alla sua giornata. Non sarà una buona giornata. Ester lavora in un call center sulla via Tiburtina. Ogni mattina è un viaggio per raggiungerlo; Ester abita ad Ostia e si deve fare mezzo raccordo anulare per l'uscita della Tiburtina, da lì verso la città, un inferno di macchine. Ad Ester però non dispiace poi tanto, all'interno dell'angusto abitacolo dell'autovettura ha il tempo per ritrovare se stessa. Dov'è finita Ester, si trova spesso a pensare, i suoi sogni di donna libera, la voglia di conoscere le cose del mondo, dov'è finito tutto questo.
Ma i sogni non consentono di sopravvivere, per l'esattezza neanche il salario del call center, lo consente poi tanto. Dopo tanti anni di gavetta adesso Ester è stata assunta a tempo indeterminato e questo le ha consentito di andare a vivere finalmente da sola. I suoi genitori sono anziani ma ancora in gamba, simpatici e piacevoli ma lei aveva bisogno di una casa tutta sua. È contenta Ester la sera quando torna a casa e si gode un po' di relax, ama molto stare da sola, la musica soave accompagna ogni suo movimento. Di amici ne ha pochi ma sufficientemente buoni. Rimane comunque il fatto che più di otto ore della sua giornata Ester le trascorre alla sua postazione. Che inferno quel lavoro, è agghiacciante il rumore del silenzio che pervade il grande ambiente, dove altri come lei lavorano ad un ritmo martellante. Non è consentito parlare con i colleghi, ne tanto meno mangiare o bere, anche andare in bagno è un segno di scarsa produttività. La produttività che termine aberrante, è la frusta dei nuovi schiavi. I capò hanno ora un nome inglese, tanto tenero, ma sono lì spietati con te, come lo sono con loro.
Ester conosce bene il suo ambiente di lavoro, non aveva prospettive, alla soglia dei suoi trent'anni aveva bisogno di un lavoro stabile.
Piega meccanicamente la testa in segno di sottomissione a questa vita.
Il percorso di andata e ritorno popola la testa di Ester di una vita parallela. La vita immaginata, forse voluta, chissà... Si trasforma ogni giorno in un personaggio diverso. Al colmo dell'euforia si sente pronta ad incontri galanti, pronta e disponibile, inseguendo l'orgasmo agognato. Nei giorni di tristezza la poesia consola il suo io, che si predispone, nonostante non voglia, ad andare a lavorare.
E dopo un'ora di viaggio finalmente arriva, si sente già stanca, nonostante i sogni e la musica l'abbiano predisposta alla giornata. I sogni, sicuramente una trappola, una droga di sopravvivenza. Sopportare le angherie psicologiche per otto ore senza impazzire, riuscendo a mascherare la stanchezza e la frustrazione, richiedono un esercizio di pazienza a cui Ester si è abituata.