oggi, proprio non c'è ispirazione. no, non mi riferisco all'oggi come tempi moderni, ma all'oggi 29 marzo giornata fresca e ventosa. il maestrale agita il fogliame, scompiglia i capelli, disperde i pensieri, non si riesce a far altro che porgergli alternativamente l'altra guancia in un andirivieni di ridicoli tentativi di schivarne gli schiaffi, forse è per questo che non c'è verso d'afferrar un'idea, corrono tutte via tra il pattume leggiadro che solitamente orna le strade della città e le nuvolette di rena venute su dal lido vietato ai bagnanti.
certo, perdere l'ispirazione può essere un fatto gravissimo per un artista, fatto sicuramente sconcertante e deleterio.. per un artista, ma non per me, che me ne sto qui ad osservare una colonna di formiche indaffarate che procede allineata ed instancabile lungo il bordo interno del gradino della ringhiera. che strano, c'è una fila che va e una che viene ma non formano doppia fila, solo a tratti qualcuna si ferma appena a bisbigliar qualcosa all'altra che procede in senso opposto, poi continua in perfetta riga verso casa.
la casa è quanto mai semplice e dimessa, essendo costituita da un buco tra una linguetta di terra e la pietra, un forellino tanto piccino da non potersi agevolmente notare se non da un oziosa della mia risma senza ispirazionee senza fantasia.
non ne conosco l'interno, anche se mi piacerebbe moltissimo vedere dove caspita si vanno a ficcare tutte quelle bestioline quando suona la ritirata, immagino sia come l'esterno, solo più articolato.
m'accorgo d'una certa concitazione, d'un incremento d'interesse, d'una solerzia di forze che si dirige verso un punto alle mie spalle, mi giro e un nugoletto nero e lucente argomenta intorno a un oggetto di colore chiaro, di forma quadrata, dalla consistenza morbida e umidiccia, dev'essere una sorta di pietra filosofale vista la mole d'attenzione e di sollecitudine sollevatasi.
mi sposto e vedo la quintessenza dello scibile personificata in un bocconcino di cibo per gatti rosato e appetitoso circondato da una miriade di lillipuziane creature in grande affanno nel tentativo disperato di appropriarsene. occorrerà una forza ciclopica per spostare quella leccornia da lì, come quella di due dita umane e cedo alla tentazione di rendermi utile.
non hanno gradito l'intromissione, si son tutte scombussolate, disperse, il loro piccolo monumento di carne non suscita più alcun interesse ora che è lì, a pochi centimetri da casa.
lo divido in due, in quattro, in otto, in una miriade di pezzettini, ormai è quasi spiaccicato quando due di esse si decidono ad afferrarne uno e a trasportarlo lentamente alla magione.
ecco, questa scena suggerisce al poeta l'ode alla laboriosità, il canto alla coralità degli intenti, giunge persino a paragonarle alle cure umane, si augura in un delirio disperato che l'uomo somigli alle formiche, il filosofo produce una elaborata e dottissima disquisizione sulla vanità degli affanni e sulla ineluttabilità della sofferenza che accompagna la vita.
io, vedo solo le formiche, piccole come pulci oppure grandi come ragnetti, nere oppure rosse, singole, a piccoli gruppi o incolonnate, alla scalata di muri arroventati, vagabonde tra il terriccio e il fogliame, esploratrici di fornelli incustoditi.
e che dirà il poeta di chi le sommerge con un bicchier d'acqua, sigilla la loro casa col cemento, si diverte a incendiarne i corpicini con un fiammifero, così solo per celia, questi esserini così piccoli che accanto al basilico stanno come ai piedi di una sequoia.
c'è forse estate senza le formiche, senza le cicale, senza l'odore del fico selvatico?