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L'ultimo eremita - parte seconda

Devo ammettere che appena messo piede sul sicuro poggio tirai un bel sospiro di soddisfazione, non è da tutti i giorni infatti che un sessantenne pensionato dopo una intera vita vissuta tra i banchi di un liceo con le poche escursioni alla ricerca di funghi si possa improvvisare un Indiana Jones o un pellerosse mohicano. Compiaciuto rivolsi lo sguardo alle mie spalle e la vista dello strapiombo appena oltrepassato mi riempì di orgoglio. Sinceramente in quel momento non pensai affatto che in giornata avrei dovuto rifare la stessa strada per il ritorno. Mi concentrai invece sul luogo in cui mi trovavo.
Il terrazzamento era lungo una cinquantina di metri e largo mediamente due, con punte di tre nella parte centrale, quella davanti l'accesso alla grotta. Proprio in quella zona vi era l'origine del fumo, dovuto alla bruciatura di un mucchietto di foglie e sterpaglie in parte secche e in gran parte ancora verdi e umide. Al centro dello spazio, quasi a mezza distanza dalla grotta era stato improvvisato un braciere fatto di pietre disposte a semicerchio e in quell'incavo erano state deposte le foglie. Non molto lontano dall'improvvisato focolaio vi era un grosso mucchio di sterpi e foglie che, poco alla volta, sicuramente venivano usate per alimentare il fuoco. Ovvio che in quelle condizioni il fumo che ne scaturiva fosse grigio, quasi bianco, e per la quasi mancanza di vento si innalzava alto nel cielo come una colonna bianca.
Aguzzando lo sguardo riuscii a notare oltre il fumo una indistinta sagoma umana accovacciata per terra e con le spalle poggiate ad un grosso arbusto, di quelli che spuntano miracolosamente anche dalle rocce. Prima di avvicinarmi lanciai un rapido aguardo ai dintorni, alla mia destra il magnifico panorama che spaziava sulla sottostante valle e le basse colline, qualche centinaio di metri più sotto, oltre una mezza dozzina di altri terrazzamenti si riusciva a intravedere un vecchio ovile in muratura e da esso un cavo nero che superando la distanza arrivava fino all'arbusto e da lì entrava nella grotta attraverso una fessura tra le pietre a secco della parete. Ricordai allora come oltre venti anni prima il barone Pizzuto ave provveduto a portare quel cavo elettrico dall'ovile alla grotta dicendo che doveva servire per le eventuali luminarie della ricorrenza di san Guittone. Essendo il santo mai stato ufficializzato dalla Chiesa la festa non era mai avvenuta e l'elettricità mai adoperata.
Ritornai a interessarmi di quella figura umana e con prudenza iniziai ad avvicinarmi. Fatto pochi passi sentii una voce ben chiara e tenorile e altrettanto ferma che mi incoraggiava senza tentennamenti.
"Venga, venga senza alcun timore, venga ad accomodarsi qui, sarà sicuramente stanco, immagino, hehehe, ha scelto una brutta strada per arrivare fin qui" disse in tono gentile e garbato e, soprattutto, in perfetto italiano. Mi avvicinai allora più speditamente e intanto ebbi modo di osservare meglio il mio interlocutore. Pian piano le sue forme si facevano più distinte, era un ometto magro e alto forse un metro e sessanta, almeno tanto appariva stando seduto.
Ciò che impressionava era tutto l'insieme, aveva una lunga barba bianca e altrettanto lunghi capelli che fuoruscivano da uno strano berretto, più tardi ebbi modo di constatare fosse un vecchio cappello a cui era stata tolta tutta la tesa, ormai sembrava più un copricapo arabo. L'abbigliamento era costituito da un paio di jeans straconsumato e sfilacciato da più parti, che sicuramente avrebbe fatto l'invidia dei giovani moderni che li comprano apposta così, un paio di scarponi da alta montagna dal colore indefinito legati con dello spago al posto dei lacci, una vecchia consunta camicia di flanella a quadroni blu e rossi sotto la quale si intravedeva il bordo giallastro di una maglia intima di lana. Sopra la camicia una vecchia e deforme giacca di velluto dal bavero alzato e abbottonata sul davanti dall'unico bottone visibile. Le tasche rigonfie all'inverosimile di noci raccolte e non aperte, notai infatti che ogni tanto l'uomo ne estraeva una e con un piccolo temperino l'apriva e mangiucchiava poco alla volta con i pochi denti di cui ancora faceva sfoggio nei suoi smaglianti e dolci sorrisi.

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6 commenti:

  • Bruno Briasco il 07/04/2011 12:27
    Molto bella, intrigane e interessante. Finale come si conviene fra due proff. Complimenti Michele, la storia, affascinate, è uno squarcio di vita vissuta che valeva la pena renderla nota. Un abbraccio
  • Anonimo il 04/04/2011 14:01
    Michele... potresti mettere una buona parola con l'eremita?? Vorrei ritirarmi anche io lì!!!
    davvero bello!!
  • Massimo Bianco il 03/04/2011 22:06
    Mi è piaciuto il racconto e mi è piaciuto il finale. Certo è stato un po' radicale nella sua scelta, il professore. E al contrario di Giacomo penso che non occorre un seguito, la storia si conclude benissimo così.
  • Anonimo il 03/04/2011 14:07
    Grande Michele... piaciutissimo. Interessanti i dialoghi fra i due professori... non è finita, giusto? Aspetto il seguito, allora. ciaociao
    P. S. c'è qualche refusetto... se lo rileggi li trovi... 5 stelle
  • Anonimo il 02/04/2011 18:28
  • Giovanni Barletta il 02/04/2011 09:11
    E bravo Michele! Mi ero perso la prima parte, ma ho rimediato adesso. Noto con piacere una scrittura veramente scorrevole, matura. Direi che stai arrivando al meglio. Una piccola storia di paese, intensa, piacevole e con un tocco di malizia.
    Complimenti!

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