Stanotte ho fatto un sogno bellissimo:
camminavo sopra un lenzuolo di foglie secche a piedi nudi, le calpestavo sapendo di nutrire così il mondo, e la Terra respirava sotto i miei passi.
Non c'era un angolo grigio intorno a me ed il mondo era vasto e limpido davanti ai miei occhi. Potevo vedere lontano perché l'oscurità non respirava più, non mormorava più, non strisciava più in nessun luogo, men che meno nei miei ricordi piu remoti.
Lì, in quel giardino immenso in cui ognuno era libero di andare e sorridere, tutti ricevevano il proprio calore e la propria acqua direttamente dalle generose mani del pianeta; l'oscurità era morta. Ogni cosa girava all'unisono in una ballata armoniosa in cui non potevi non avere il tuo ruolo, la tua meravigliosa ed unica collaborazione al tutto.
Ricordo che perennemente, ma senza fretta, una luce calda mi chiamava a sé ed io nella sua immagine mi rispecchiavo ed avevo un obiettivo fisso nel cuore: dovevo condividere il mio amore. A tutti i costi.
Soltanto questo mi premeva, soltanto questo desideravo e nel mentre in cui lo desideravo, accadeva, e sulla mia testa, nonostante non avessi alzato mai lo sguardo, sentivo l'amore di un'immensa schiera di astri luminosi e manti d'argento fluttuanti nell'aria infinita e pulita. Altri cuori liberi erano lassù e tanti ancora ce n'erano intorno a me a formare un'unica immensa volontà ibrida ad ogni forma di vita, ad ogni forma di vita. Eravamo un tutt'uno ed ogni concepibile pensiero era vita, poiché la vita era la sola certezza, non la morte.
Poi il sogno è mutato:
uno squarcio nel suolo mi ha scosso e spaventato. Ed ho visto punte metalliche uscirne e fumi salire dalla superficie del mondo, portavano rumori e dolori nell'aria, ed ogni cosa ch'era stata colorata di luce, veniva a scurirsi sotto un manto d'ombra nera e pesante.
Coloro che conducevano le creature di ferro si dicevano figli di Dio... dell'unico Dio, e costui doveva essere immensamente importante per essi poiche lo consideravano Unico, paragonabile a nessun'altra forza esistente: egli era secondo loro eternamente onnipotente.
Lo dicevano misericordioso, ma punitivo. Onniscente, veggente, creatore e distruttore del tutto, ma che lasciava libertà ai cuori dei suoi figli. Libertà di scegliere fra due vie possibili, il bene ed il male. Concetti che venivano a sostituire quella ch'era stata fino ad allora la sola ragione d'essere, l'ovvio e irrinunciabile amore.
E i figli di questo padre superiore, nel suo nome mutavano ogni cosa, obbligandola a piegarsi sotto la sua volontà, sotto quella tremenda scelta tra due opposte realtà.
E tutti i cuori che avevo sentito vicino a me nel cielo celeste, si rifiutavano ad un tratto di aiutarmi, spaventati dall'idea di quel Dio e dalla devozione dei suoi figli che minacciavano il diritto ad ognuno di essi di governare se stesso nell'unione ed il rispetto degli altri.
Così mi ritrovai solo, il mondo divenne spinoso e grigio, il cielo si sporcò e ai miei piedi, ad un tratto apparvero un paio di stivali neri coi quali mi si domandava di inseguire il giorno in cui sarei morto.
Mi sono svegliato di soprassalto tenendo però gli occhi chiusi.
Prima di aprirli ho posto a me stesso questa domanda:
Che mondo vedrò intorno a me, quando avrò aperto le mie palpebre?
Una voce dal cuore mi ha suggerito:
Il mondo che meriti, nulla di diverso da ciò che tu stesso sei.