Ti si accende la luce la mattina che già sei in macchina da chissà quanto tempo. Come se la vita scorresse inutile fino al momento in cui ci fai caso. Anche oggi, come sempre, su questa strada, alla stessa ora, già sconfitto, e con tante battaglie davanti a me ancora da perdere. Chi l'avrebbe mai immaginato dieci o vent'anni fa? Sentirsi infelice, perdente, squattrinato, seduto in questa auto a guidare verso un oscuro ambulatorio di periferia.
Se vent'anni fa, avessi potuto vedermi come sono adesso, credo che avrei avuto una crisi di quelle che ti butti a terra, in preda all'agitazione più inconsulta, e sbatti i pugni sull'asfalto, e urli come se ti avessero detto che ti sono morti tutti i parenti o che hai un male incurabile che ti farà diventare andicappato per tutta la vita, o peggio ancora. Perché un handicap ti può anche dare una ragione, una motivazione, per esempio ci sono le associazioni per andicappati, ci sono anche le Olimpiadi per gli andicappati. Ma vedere se stesso a distanza di 20 anni, seduto in macchina, andare al lavoro come un perdente, come un fallito, può essere peggio che vedersi su una sedia a rotelle.
Non sono riuscito ad afferrare i miei sogni. In parte per colpa mia. Quando stavo per realizzarli, mi sono emozionato come quando devi provarci la prima volta (e anche l'ennesima) con una ragazza e dici la cosa più stupida in assoluto che avresti potuto dire in quella situazione. Ho perso le mie occasioni. Non sono riuscito prendere possesso dei miei sogni nella realtà.
Questa strada la faccio tutte le mattine, dal lunedì al venerdì. C'è una pista ciclabile, qui a fianco, dove camminano a passo svelto delle ragazze, rumene o extracomunitarie. Vanno al lavoro tutte concentrate. Probabilmente pensano a quanti soldi guadagneranno e programmano i cambiamenti che questi soldi apporteranno alla loro vita, oppure meditano su come evitare di farsi mettere in cinta da quegli energumeni dei loro uomini, o chissà a cosa pensano, comunque camminano in fretta con la testa bassa. Altri ragazzi che vanno a scuola invece se la prendono comoda. Ai semafori c'è sempre qualcuno che sfreccia in bicicletta, sullo scooterone o sulla sua fiammante Smart. Ragazzi in carriera, di quelli che corrono tutto il giorno, che fanno il lunch e, perché no, anche l'Happy Hour e che alla fine della giornata non gli si drizza l'uccello per lo stress accumulato.
Queste persone gasate per il lavoro mi fanno pensare con nostalgia a New York, ai viaggi che facevo con mia moglie e con un mio amico quando ancora credevo nel lavoro, nell'attivismo, nel futuro, nella realizzazione dell'individuo in una nazione giovane, dinamica, moderna, informatizzata... tutte minchiate.
C'è un bel sole, nonostante siamo in ottobre inoltrato, e anche un po' di nebbiolina che non guasta.
Mi manca il mare, la barca, la sala operatoria. Mi manca la forza che avevo di mandare tutti a cagare e di andarmene via libero. Mi mancano le scopate che dopo la prima hai anche il tempo di farti la seconda, e poi hai ancora tempo per andarti a bere un latte macchiato al bar e di tornare a letto per farti la terza prima di andare a mangiare una pizza, o al cinema o al mare per un bagno di notte quando d'estate in città fa caldo da impazzire.
Finalmente sono fuori, sull'autostrada, da qui si vede la campagna, ma sull'autostrada si rischia di morire. Finalmente sono fuori anche dall'autostrada. Sulla destra, il profilo dei campi, arati da poco, degrada dolcemente e poi, all'orizzonte si risolleva fino a scomparire nella sagoma delle colline intorno alla città, che appaiono scure nel contro luce del sole che appena le sovrasta. La nebbiolina collabora a nascondere i casermoni o le ville che qua e là interrompono scandalosamente la dolcezza del paesaggio.
Il sole è accecante, che meraviglia, almeno questo.
Ora la strada attraversa un comprensorio orribile con palazzine e una Casa di cura, poi si rivede la campagna. Alla prossima rotonda devo svoltare a sinistra e intanto che mi preparo a girare, guardo a destra, verso il sole. Non c'è nessun pericolo, conosco così bene la strada che potrei guidare ad occhi chiusi.
Da quella parte, sulla via parallela, una delle tre che sbocca sulla rotonda, c'è un'autobus, che ora copre il sole, è in movimento, salta la fermata, prosegue. Il tempo si dilata. Studio i contorni netti dell'autobus. È di quelli che hanno sul tetto l'impianto di aria condizionata o di metano. Il sole torna ad abbagliarmi. Adesso è solo in parte oscurato dalla sagoma di una donna, in piedi, alla fermata dell'autobus... a far che? Giro a destra, verso di lei, tanto è ancora presto per timbrare il cartellino. Voglio vederla. Voglio sapere perché non è salita sul bus. Mi avvicino. È girata di spalle, guarda verso il sole, sembra ipnotizzata. Alta, capelli biondi, ricci. Giubbottino jeans cortissimo. Jeans a vita bassa, attillatissimi. Un bel culetto...
- L'autobus è appena passato. - Le urlo dal finestrino.
Non risponde. Scendo dalla macchina, mi metto accanto a lei a guardare il sole anch'io.
- Perché non hai preso l'autobus? - Le chiedo.
Non l'ho sentito arivare, guardavo il sole, è così belo.. Vorrei andare avanti in questa direzione, verso la luce. Non vorrei più, mai più! girarmi indietro. Voglio andare avanti. AVANTI!
È una rumena e ha proprio ragione. Anch'io vorrei andare avanti, verso il sole, senza più voltarmi indietro.
C'è un fronte di nebbia a non più di due o trecento metri da noi, verso la campagna. Improvvisamente si sposta nella nostra direzione e ci circonda. Non si vede più niente.
Andiamo? - Le chiedo. "Tanto, che sarà mai?" penso " Facciamo due passi, quattro chiacchiere e poi torniamo. È ancora presto per timbrare il cartellino".
Dove dobbiamo andare? - Mi chiede meravigliata.
Verso la direzione dove era il sole. Non hai detto che volevi fare questa cosa? -
La ragazza si gira verso di me, spalanca gli occhi, alza le spalle.
Mah! Perché no? Andiamo. Tu chi sei? - Mi chiede mentre ci incamminiamo.
Mi chiamo Mario, lavoro alla ASL. E tu?
Mihaela. Vivo qui vicino.
Sei sposata?
Si. E tu?
Anch'io? Ho una moglie e due figli.
Io no, per ora niente figli. Solo marito.
Sei felice?
No. Non sono felice! Non sono felice per niente! E tu?
Neanch'io! - Le rispondo sconsolato.
È vero, è proprio vero, non sono felice. Da quando? Non riesco più a ricordare. Probabilmente da quando non ho più una moglie, in senso sentimentale, naturalmente. Mihaela mi guarda e accenna ad un sorriso. Probabilmente, ora che ha saputo che un altro essere umano è infelice come lei, si sente rincuorata.
- Che ti manca? - Mi chiede
La libertà.
Anche a me.
Oddio, questo mi stupisce, scusa, ma tu sei giovanissima, che problemi dovreste avere, voglio dire, che problemi dovrebbe avere una coppia senza figli?
Magari avessi dei bambini, almeno non starei sola tutto il giorno. Il fatto è che non abbiamo abbastanza soldi per mantenere un figlio e mio marito non vuole che lavoro. Vuole che sto a casa tutto il giorno ad aspettarlo. Non posso vestirmi come mi pare, non posso parlare con chi mi pare. Sto impazzendo. Se provo a discutere con lui è possibile anche che mi pesta di botte. Io amo la famiglia, vorrei avere dei figli, ma anche amo me stessa, vorrei che... che cos'è questo rumore?
Sembra il mare.
La nebbia è fitta. Guardo a terra. I nostri piedi affondano nella sabbia!
Fermati! - Le dico. - Sediamoci un attimo.
Ci sdraiamo sulla sabbia, umida. Si sente il rumore delle onde... non troppo lontano. Ecco che un'onda, evidentemente più lunga delle altre, ci sommerge e poi torna indietro lasciandoci completamente bagnati. L'acqua è calda e profumata. Ci mettiamo a ridere. La nebbia scompare. Siamo al mare! Mi volto. Un muro di roccia a strapiombo determina il confine della spiaggia alle nostre spalle. Il mare è azzurro. Il sole è caldo.
Che bello! - Dice Mihaela.
Strano, ma bello. - Le rispondo e ci sdraiamo. Ci godiamo il sole e le successive onde lunghe. Fa abbastanza caldo. Ho l'impressione che per oggi il cartellino rimarrà stimbrato. Prendo il cellulare, lo scrollo, provo a chiamare la segreteria per dire che sono malato e che non andrò a lavorare.
Ma come ci siamo finiti qui? - Mi chiede Mihaela.
Non so. Di certo qualcuno non vuole che torniamo indietro... e... e non c'è campo.
Quanto potrà durare?
Non farmi domande così difficili.
Abbandono il cellulare. Ci togliamo gli abiti bagnati e li stendiamo al sole. Poi ci sdraiamo di nuovo sulla sabbia.
Tu perchè non ti senti libero? - Mi chiede girandosi sul fianco verso di me e appoggiando il viso sulla mano.
Mi soffermo un po' a guardarla. È bellissima, ha gli occhi azzurri, i capelli biondi, ricci, lunghi fino alla base del collo, totalmente bagnati e sgocciolanti. Ha le labbra sottili, atteggiate ad un sorriso melanconico. Così, in questa posizione sul fianco, il seno sembra che stia per uscire dal reggiseno, deve avere la terza, terza abbondante! Per il resto à un'acciuga.
Mihaela socchiude la bocca. Evidentemente aspetta la mia risposta.
Le ragazze dell'Est di solito non mi attraggono anche se sono bellissime come Mihaela. C'è qualcosa che non mi convince nella loro personalità, un'ombra oscura, fredda...
- Allora? Sei ancora qui tra noi?
... devo ammettere però che non sono stato mai così in confidenza con una ragazza rumena.
Ehmm, si... er - scusa. Dicevi?
Perché non ti senti libero?
Non mi sento libero perché... perché, credo che... probabilmente perché ho una famiglia un po' più numerosa della tua. Sia ben chiaro: anch'io amo la mia famiglia, l'ho desiderata, l'ho costruita. Posso vestirmi come mi pare, per fortuna, però mia moglie e i miei figli mi impongono un tipo di comportamento che mi costa troppa fatica mantenere - in questo periodo poi non ne parliamo... - Non posso fare ciò che voglio ogni tanto. È quasi impossibile frequentare degli amici che non siamo amici comuni. A volte mi sento in difficoltà a dire o pensare qualcosa che sia al di fuori dei percorsi prestabiliti...
Mentre parlo mi rendo conto che sto facendo la lagna come quando ero bambino.
Tua moglie ti picchia?
No, no, ma son sicuro che se andassi fuori dagli schemi potrebbe essere molto più pericolosa. Non so, per esempio, cacciarmi da casa, chiedere il divorzio, farmi pagare un casino di soldi di alimenti, non farmi più vedere i figli.
Sempre meglio che le botte.
Forse.
Ma tu la ami? - Mihaela cattura il mio sguardo e stringe le palpebre fino a farle diventare due sottili fessure al centro delle quali il colore azzurro degli occhi da al suo aspetto qualcosa di alieno.
Non lo so. Non lo so più. Non riesco neanche a capire quando sia successo e perché. È come se la avessi persa per strada. Non siamo più insieme, tranne che a letto, la notte. Non vuole fare niente con me, neanche le cose più semplici che facevamo una volta, uscire la sera, il cinema, una pizza, andare a passeggio. Non so quando sia cominciata questa cosa, ma è come se fossimo diventati due estranei. Forse perché siamo insieme da troppi anni
Mihaela si distende sulla sabbia, mette un braccio sotto il collo, guarda il cielo e sospira.
E già! Così credo che vada a finire per tutti. Io per fortuna sono sposata solo da poco, però non sono felice lo stesso.- Mi dice riperdendosi ora con lo sguardo verso il mare.
Mi volto verso di lei, mi avvicino, troppo, sento il suo odore.
Tu almeno puoi uscirne fuori più facilmente di me, se lo volessi. - Le dico. - Non avere figli, casa, debiti, facilita, sai, se uno poi decide di separarsi.
Però avevamo fatto dei progetti.
Sul serio, avevi programmato di fare la schiava?
No, assolutamente no. Avevamo dei progetti completamente diversi. Mio marito, all'inizio, quando stavamo ancora in Romania, parlava di avvenire, di libertà, di progresso e di cambiamento. Qui in Italia, secondo lui, saremmo stati liberi di comportarci come avevamo sempre sognato. Ed i miei sogni erano di avere un lavoro e una famiglia. Lui era totalmente d'accordo con me, diceva che se avessimo trovato un buon lavoro tutti e due saremmo riusciti anche a mettere da parte dei soldi per comprare una casa tutta nostra. Arrivati qui, invece, è cambiato tutto. I compaesani, parenti e amici con cui avevamo una relazione, si comportavano in un modo esattamente opposto a quelli che erano i nostri progetti, e lui non ha avuto il coraggio di uscire da quegli schemi, o forse lui è proprio così, chiuso, arretrato. Sai che i rumeni che vivono qui sono forse ancora più retrogradi e superstiziosi di quelli che sono rimasti al nostro paese.
Mi dispiace. Hai fame?
Si. Cerchiamoci un bar o una pizzeria.
Arriva di nuovo la nebbia umida e impenetrabile.
- Buon giorno, Giovannone. Dov'è sua moglie?
- L'ho vista stamattina prestissimo vestirsi ed uscire. - Dice la puerpera vicina di letto.
- Verdad? - Esclama bloccandosi l'infermiera portoricana che porta il bebè del letto 11.
- Si, l'ho vista anch'io! Mi ero appena svegliata. - Dice la puerpera del letto in fondo alla stanza, quello vicino alla finestra.
- Oh che mata! - Commenta l'infermiera rumena con l'ultimo dei tre bebè della stanza 2.
- Beh, comunque, ragazze, fatevi i fatti vostri e consegnate alle mamme i loro piccolini, non vedete come li aspettano?
- Ed io che faccio?
- Lei, Giovannone, si prende il suo pargolo e se lo coccola per mezzora. Io vado a rimediare un biberon con un po' di latte, così almeno gli da qualcosa da ciucciare, e poi vado ad informare il medico di guardia. Credo che bisognerà denunciare la scomparsa di sua moglie.
- Ma quale scomparsa, signora caposala, mia moglie è solo uscita, aveva da fare qualcosa, certamente, anche se non so cosa, di sicuro tornerà a breve. Guardi! Ha lasciato i vestiti nell'armadietto, quindi tornerà. E poi perché doveva scappare?
- Ho detto scomparsa non scappata! Certo, perché avrebbe dovuto scappare?... - ci tiene a precisare la caposala, ma dentro di se pensa non ci sarebbe da darle torto a quella povera donna. Con un marito così! Altro che scappare! Giovannone assomiglia ad un bisonte. Alto 1 metro e 90 per almeno 180 kg di peso. La testa piccola in confronto al corpo, pochi capelli neri, unti, la barba nera cisposa, la pelle del viso grassa e lucida, gli occhiali a forma di televisore, spessi, Giovannone è miope come una talpa, e poi quella giacca di velluto marrone con sotto una felpa di ciniglia turchese, gli immancabili jeans taglie forti, e, dulcis in fundu, un paio di scarpe nere di vera-finta pelle, completamente sformate da sembrare due padelle..., "ma come avrà fatto quella ragazza così carina a sposarselo e a farci tre figli? " Si chiede la caposala senza riuscire a darsi una spiegazione. Anche perché la moglie di Giovannone è uno spettacolo, ben fatta fisicamente, simpatica, tant'è che i medici del reparto di ginecologia stravedono per lei.
- ... ad ogni modo, - prosegue cercando di non far trasparire i suoi pensieri - tenga! Questo è suo figlio, ci badi qualche minuto, io torno subito.
Giovannone prende in braccio il bebè e si siede sul letto.
È il suo primo maschio! Che emozione. Lui ha già due figlie, femmine, ormai grandicelle, che sono la sua felicità, ma ci ha sempre tenuto al maschio. Claudia, sua moglie, dopo il secondo parto si era rifiutata categoricamente di mettere "un'altra pagnotta nel forno", come dice lei, fino a che, per sbaglio, era rimasta incinta.
Ora eccolo lì.
Il piccolo socchiude lentamente le palpebre.
"Hai gli occhi neri? Non ci posso credere! Il primo in famiglia! Chissà quante altre sorprese hai in serbo per il tuo papà, pisellone mio. Sei bellissimo. Che nome ti diamo? Beh tanto a queste cose ci ha sempre pensato Claudia."
- Eccomi, tenga il biberon, provi un po' a farlo mangiare, ora vado dal medico di guardia e poi le faccio sapere.- Interviene bruscamente la caposala irrompendo nella stanza delle puerpere e nel flusso di pensieri felici del neo papà.
Giovannone avvicina delicatamente la tettarella all'angolo delle labbra del piccolino. Quello sembra rimanerci male, evidentemente si aspetta qualcos'altro da mettere in bocca, tipo un bel capezzolo caldo, profumato, saporito, ma alla fine la fame prevale e comincia a ciucciare.
La tensione si abbassa e Giovannone riprende a pensare. " Che fine ha fatto Claudia?".
Alle tre del pomeriggio, in attesa delle terza poppata. Giovannone si rifugia in una delle due sale d'aspetto, quella meno frequentata. Da lì può controllare l'arrivo dei piccoli e starsene da solo, evitando di dare spiegazioni. L'ansia lo ha distrutto, dentro e fuori, ha un urgente bisogno di fare una doccia ed ha fame. Si avvicina al dispenser di bibite e merendine, in tasca, come al solito, ha una buona scorta di monete. Sente che dovrebbe fare qualche altra cosa, in un momento così tragico, invece che ingozzarsi, tipo un fioretto. In un lampo pensa: " Se Claudia ritorna, smetto di mangiare tutte queste schifezze e mi metto a dieta, lo giuro!"
Proprio in quel momento le porte automatiche dell'ascensore si aprono e Claudia, con aria circospetta, si affaccia. Anche lei ha scelto l'ascensore meno frequentato per non dare spiegazioni.
Claudia!
Ehi! Sei qui!
- Dove credevi che fossi? Tu piuttosto?
- Sono stata a casa a parlare con le bimbe.
- Di cosa? È successo qualcosa?
- No, non è successo niente, stanno bene, loro, sono io che sto male!
- Che hai?
- Non ce la faccio più... non ce la faccio più, ed è più forte di me, perdonami, ma non posso più andare avanti.
- Andare avanti? A fare cosa?
- A stare con te. Non ce la faccio più.
- Ma che dici, se solo un paio di settimane fa...
- Si appunto da una o due settimane mi è venuta fuori questa necessità. Non so neppure io come spiegarmelo. Improvvisamente. Ho provato a resistere, sai dicono che nel postpartum succedono tante cose strane, ma non si tratta del parto, è una pulsione profonda. Mai provata prima, te lo giuro. La cosa certa è che non posso neanche pensare di ritornare a casa con te. Quindi, ed è questo che ho chiesto alle bambine, devi decidere, o te ne vai tu o io non torno a casa. Le bimbe hanno detto che per loro è uguale, che a loro va bene di stare con te o con me. Che cosa decidi?
- Io... le bimbe hanno detto così?
- Non te lo aspettavi?
Non mi aspettavo niente di niente di tutta questa storia. Porca troia, ma che vuol dire.
Vuol solo dire che non posso sopportare l'idea di tornare a casa con te. Punto!
Ma che cosa ti ho fatto?
Niente. Tu non mi fai fatto niente. Non lo so, non so darmi una spiegazione, è così e basta. Ora ho cose più importanti da fare che confrontarmi con le mie crisi esistenziali.
Certo, lo capisco, ma io...
Puoi restare a casa o andare nell'appartamento di zia Giulia, quello che ti piace tanto e che volevi affittare per lo studio...
Si, ma...
Ci ho già parlato ed ha detto che non ci sono problemi, se vai da lei ti da le chiavi.
Hai già organizzato tutto!
Si, il problema parte da me ed è giusto che pensi io ad organizzare. Ora fai così, vai a casa, parla con le piccole e poi decidi.
Io, io, non mi farai più vedere il bimbo?
Ma che cosa dici? Certo che lo vedrai. Tu sei un padre magnifico. Sei stato un marito perfetto. Sono io che ho dei problemi.
Il giorno dopo Giovannone si sveglia nella sua nuova casa, l'attico di Zia Giulia, arredato in perfetto stile minimalista, ideale per un trombatore single. Giovannone odia quel tipo di arredamento e, in generale, odia le case adatte allo "scortico", che gli ricordano i tristi anni della sua adolescenza. Fin dal primo momento in cui la zia glielo aveva mostrato, ne era rimasto totalmente disgustato. Poi, che vuoi, la cara zia era così fiera del lavoro dell'architetto, costatole una fortuna, che Giovannone aveva fatto finta di essere deliziato dallo stile, tanto per non darle un dispiacere. Doveva aver esagerato, però, evidentemente il suo entusiasmo era stato equivocato al punto che Claudia pensava di fargli cosa gradita a sistemarlo lì.
Giovannone si siede sul letto. Ha dormito vestito. Si alza. Sente un vuoto spaventoso nella pancia, gli sembra di vivere un incubo, le sue certezze, le sue abitudini, i suoi affetti, tutto per aria. E come se non bastasse quell'appartamento così impersonale non aiuta di certo.
Si avvicina alla grande parete finestrata, apre uno dei vetri a compasso. Ha voglia di uscire all'aria aperta.
" Ci fosse un cazzo di balcone... attico? Ma quale attico del cazzo... il letto però non se lo sono risparmiato, 3 piazze e mezza... ma va fan..."
Scavalca il davanzale e ci si mette a cavallo, sembra abbastanza robusto. Una fitta nebbia si avvicina al palazzo, avvolge tutto, i rumori del traffico scompaiono, si sente quasi come il rumore delle onde, Giovannone allunga un piede, quello che penzola nel vuoto, sente della morbida sabbia. Scavalca completamente il davanzale e allunga anche l'altra gamba, scivola giù e s'incammina verso il rumore delle onde che si infrangono.
Dopo qualche passo la nebbia scompare, Giovannone si trova su una spiaggia con i piedi a mollo, si guarda in giro e vede un ragazzo ed una ragazza, seminudi, sdraiati sulla sabbia che lo guardano con gli occhi sbarrati e con un'espressione come se stessero guardando un fantasma.
- Buon giorno, scusate, sapreste dirmi che ore sono? - Chiede per darsi un tono, mentre dentro di se si sente molto in ansia.
- Non lo so, - risponde la ragazza, - il mio orologio non funziona più.
- Sarà quasi la mezza, - dice l'altro - ho una fame. Ti va di accompagnarci a mangiare qualcosa?
- Vi accompagno volentieri, ma io non posso mangiare, ho fatto un fioretto.
- Hai fatto un cosa? - Chiede Mihaela alzandosi.
- È una lunga storia, anzi non tanto lunga, ma, perdonatemi se vi faccio una domanda scontata, ma qu-u-ui dove siamo?
- Speravo che lo sapessi tu. - Osserva Mario.
- Ah benissimo!
Si incamminano alla ricerca di un bar, si presentano, Giovannone racconta velocemente la sua storia.
- Ma tua moglie è ... è ... - Gli chiede Mihaela alla fine.
- Grassa come me, questo vuoi dire?
- Si, però non credere... - Mihaela cerca di giustificarsi.
- Non mi offendo, sta tranquilla. No, mia moglie è una bellissima donna, magra e con le curve al punto giusto, molto sexy. Ci siamo conosciuti parecchi anni fa. Lei veniva da una storia familiare di abusi, non sessuali, per fortuna, cioè il padre era alcoolista e quando rientrava in casa picchiava tutti. Quando lei aveva più o meno 14 anni la famiglia si riequilibrò, il padre smise di bere e la madre riuscì a ricreare un ambiente familiare accettabile, solo che Claudia aveva attraversato tutta la fase adolescenziale sotto uno stress pazzesco e i danni erano ormai stati fatti. Dato che era molto carina i corteggiatori non le mancavano, ma alla fine si scopriva che erano interessati più alla sua bellezza fisica che alla sua persona, così le si creò una specie di complesso di inferiorità che le impediva di relazionarsi nel modo migliore con i ragazzi. Noi all'inizio eravamo solo amici, parlavamo tantissimo, lei con me riusciva ad aprirsi, a dire cose di cui non aveva parlato mai con nessuno, ed anche io, sai, anche io di problemi adolescenziali ne ho avuto parecchi, e si! Soprattutto disturbi dell'alimentazione. Insomma anch'io mi trovavo benissimo con lei, in questa nuova amicizia. Poi Claudia mi propose di fidanzarci. Lei disse che anche se non era innamorata di me non avrebbe potuto trovare un uomo così disponibile e io mi trovavo in uno stato perfettamente simmetrico al suo, quindi accettai. Siamo stati in perfetta armonia fino a ieri, o almeno lei dice che da un paio di settimane le è venuto fuori questo problema e... insomma così stanno le cose, volendo sintetizzare al massimo naturalmente.
- Naturalmente! - Sottolinea Mihaela.
- Ora provo a chiamare le bambine...
- Rinunciaci qui il cellulare non prende. - Dice Mario - Piuttosto laggiù, non vi sembra di vedere qualcosa?
La nebbia si dirada completamente ed un sole accecante e caldissimo illumina la spiaggia. Non molto lontano, in mezzo alle palme, compare una costruzione di legno, un po' rialzata grazie a delle palafitte. Ha proprio l'aria di essere un bar. Un bar esotico, molto invitante. L'aria è improvvisamente diventata calda e umida, un clima tropicale. Ancora una volta, la nebbia riprende il sopravvento ed i tre sono costretti a proseguire il cammino alla cieca, fidandosi del loro precario senso dell'orientamento.
Un ragazzo, piantato al centro della Cappella Sistina, fissa attentamente l'affresco del Giudizio Universale di Michelangelo. Studia la figura del Cristo Giudice, che si rivela al mondo nel giorno del suo trionfo, il giorno del Giudizio. Il Cristo giudice è circondato dai beati del Paradiso che sono in attesa della Sua Parola. Sotto di lui, una parte dell'umanità si dispera. Sono i dannati, quelli che stanno precipitando nell'Inferno. Gli uomini che hanno meritato il Paradiso, invece, si danno da fare per salire verso il cielo. Il ragazzo sembra estasiato dalla contemplazione dell'affresco, ma in realtà i suoi pensieri vanno su ben altre considerazioni.
" Ma come è possibile che siano potuti passare 500 anni da quando Michelangelo creò quest'opera, senza che l'umanità abbia fatto nessun piccolo passo in avanti, anzi, se vogliamo, qualche secolo fa gli uomini, anche quelli ricchi e potenti, mostravano, alla fine, un minimo di timor di Dio. Adesso, invece, sembra che ogni tipo di azione che vada contro la morale cristiana ed il buon senso del vivere civile nella natura, sia ben accetta, ben vista, se non addirittura incoraggiata. Se è vero che i tre uomini più ricchi del pianeta possiedono una fortuna pari al prodotto interno di tre continenti e non sanno che cosa farci con tutti quei soldi lì, mentre milioni di esseri umani possono contare solo su pochi dollari al giorno. E che dire delle ricchezze del Vaticano, già che siamo qui? Non so perché il Papa non viene menzionato in nessuna delle classifiche degli uomini più ricchi del mondo, il primo posto in assoluto spetterebbe a lui. E non parliamo poi delle ricchezze dei mafiosi che io credo siano appena un po' inferiori a quelle del Vaticano, ma solo un po'. Immaginiamo solo per un istante quanto potere devono avere queste organizzazioni! Potere economico e politico. Poi ci si scandalizza quando si scopre che gli uomini politici hanno delle relazioni con il vaticano o con le organizzazioni mafiose. Vorrebbero farci credere che alle elezioni si presentano partiti ed esponenti della politica che non hanno nessuna collusione con quelle organizzazioni così potenti. Ma come potrebbe essere possibile? Secondo me, in Italia alle elezioni dovrebbero presentarsi solo 4 schieramenti, il partito del vaticano, quello della mafia siciliana, quello della ndrangheta e quello della camorra, sarebbe molto più onesto ed i cittadini potrebbero fare la loro scelta secondo i propri interessi in maniera assolutamente trasparente... secondo me, il messaggio che c'è nel Cristo Giudice dipinto da Michelangelo è che l'uomo può elevarsi al di sopra degli interessi materiali e che deve elevarsi. Questo è ciò che comunica il suo volto, la sua espressione ed il suo corpo. Quale è invece il risultato dopo sei secoli? Che gli uomini non si sono elevati neanche per il cazzo, che pensano solo ad arricchirsi, con qualsiasi mezzo, che non credono più a niente, che non leggono, non pensano, non usano le loro capacità mentali tranne che per stare davanti alla televisione a vedere la pubblicità e una quantità infinita di idioti programmi di intrattenimento che offendono l'intelletto, oppure se ne stanno attaccati al cellulare per dirsi stupide battute e scambiarsi sms privi ormai degli elementi fondamentali della grammatica e della sintassi. Sono felici così. Gli basta questo. Ed intanto gli soffiano via lo stipendio, il lavoro, la casa, la vita vera... tanto che gli frega, sono disposti a subire di tutto, l'importante è avere la possibilità di collegarsi a Facebook comunque e dovunque...
Devo uscire da qui. C'è troppa gente. Me ne vado sulla Cupola, forse vedendo Roma dall'alto mi rilasserò."
Il ragazzo è sotto pressione. Sta vivendo una profondissima crisi esistenziale. Gli ultimi quattro anni della sua vita sono stati così densi di avvenimenti, quasi tutti spiacevoli, che la metà sarebbe bastata già per una vita intera. Il tutto, associato allo sviluppo puberale, si è rivelato un coctail micidiale. La sua personalità si è evoluta così in fretta da non dargli il tempo di metabolizzare e analizzare con la necessaria calma tutti i cambiamenti. Un po' come accade a quei ragazzi che fanno sport agonistico e che in un paio di anni, con lo sviluppo puberale, crescono così velocemente che gli si piega malamente la spina dorsale e gli viene la gobba o la scoliosi.
Il nostro ragazzo, invece ha tirato su un fisico perfetto, ha un viso bellissimo, ma dentro la testa, a causa di una intelligenza un po' superiore alla media e degli avvenimenti della sua famiglia, c'è un devastante uragano tropicale. Quella mattina aveva sperato di rilassarsi con la contemplazione del Giudizio Universale, ed invece niente. Esce dalla Cappella Sistina svicolando tra la gente, va a fare la fila per salire sulla Cupola, si ferma a passeggiare sulla terrazza della basilica, arriva alla balaustra che si affaccia sulla piazza, si arrampica e ci si siede per ammirare lo spettacolo. Sa che potrà rimanere lassù pochissimo, nel giro di qualche minuto arriverà un custode per farlo scendere. Deve sbrigarsi ad ammirare il panorama. Roma è ai suoi piedi, luminosa, Via della Conciliazione, il Tevere, Castel Sant'Angelo. Lo spettacolo è meraviglioso, si rilassa un po', in modo impercettibile. D'improvviso arriva una nebbia che oscura tutto e crea un'atmosfera magica e irreale. Il ragazzo oscilla ritmicamente i piedi nel vuoto, ma non c'è più il vuoto sotto i suoi piedi, c'è della morbida sabbia. Si sente anche il rumore del mare. È un richiamo troppo forte. Il ragazzo si rilassa completamente. Si lascia andare giù dalla balaustra, fa tre passi sulla sabbia. Così come era comparsa, la nebbia svanisce e si ritrova appoggiato alla ringhiera di legno di un casotto sulla spiaggia, di fronte al mare, una spiaggia tropicale. L'aria è profumata e umida. Il mare romba. Si appoggia alla ringhiera e vede tre soggetti strani che camminano sulla spiaggia verso di lui. Una ragazza seminuda, un uomo sulla quarantina in mutande e un ciccione alto come un giocatore di basket. Si avvicinano. Quando sono sotto il casotto la ragazza gli chiede:
- Sai per caso dove siamo?
- Io? Sinceramente no.
- E figurati, stavo in pensiero. Piuttosto. C'è qualcosa da mangiare lassù? - Chiede Mario salendo d'un balzo i quattro gradini sbilenchi di legno. Si avventa contro un espositore frigorifero dove sono in bella mostra tramezzini, panini e macedonia di frutta in vaschette di plastica. - C'è qualcuno qui? - Urla in direzione del retrobottega. - Possiamo consumare intanto? Ok, non c'è nessuno. Senti, io mangio.
Mihaela gli si affianca e scruta con attenzione i tramezzini.
- Davvero tu non vuoi niente, Giovannone?
- No, te l'ho detto, ho fatto un fioretto.
- Ma voi chi siete? - Chiede il ragazzo mentre i gradini cigolano pietosamente sotto i piedi di Giovannone.
- Io mi chiamo Mario, lei Mihaela e il secco si chiama Giovannone. Vieni, sediamoci, così mangiamo, ci raccontiamo le cose e aspettiamo.
- Aspettiamo cosa?
- La nebbia. Chiaro. Che cos'altro se no? Tu praticamente chi sei?
- Mi chiamo Carlo, stavo sulla terrazza della Basilica di San Pietro, quando... all'improvviso...
- Lasciami indovinare, all'improvviso è arrivata la nebbia?
- Si, si proprio così.
- Lo vedi...
- Che ci stavi a fare sopra San Pietro?
- Per distrarmi, sai? A casa mia è un casino, a scuola è un casino, i miei amici non li reggo, le ragazze che mi vengono dietro sono troppo stupide, quelle che mi piacciono sono stronze. Io sono sempre in giro fino a quando crollo e torno a casa giusto in tempo per dormire così non comunico con i miei che si odiano da quando si sono sposati...
- Ho capito, ho capito, ti prego, basta così, dammi tregua, per fortuna non sono più da tempo adoloscente. - Dice Mario e insiste sperando di farlo calmare, - Vuoi mangiare qualcosa?
Mangiano, parlano e aspettano.
La nebbia non tarda ad arrivare. Così fitta che a stento riescono a vedersi le braccia se le allontanano dal corpo.
Miriam si nasconde dietro la porta semichiusa. Guarda il suo amante che aspetta l'ascensore. Ha voglia di uscire di casa, nuda com'è, di afferrarlo per un braccio e di trascinarlo nell'appartamento per scopare ancora, ma si rende conto che facendo così rischia di perderlo. Lo ha già sfruttato a sufficienza: tre giorni di sesso dovrebbero bastare. O no? Non per lei! A Miriam non basta mai. Nella sua mente c'è un pensiero fisso.
" Non sono riuscita ad avere un solo orgasmo! Tre giorni di sesso e niente! Ora vado fuori e mi faccio scopare sul pianerottolo, forse con la paura che la vicina ci vede... forse così ci riesco... Ma no, stiamo calme, tanto sono sicura che questo è quello buono, con lui ci riuscirò finalmente... ci scommetto una cena...".
Una cena? E con chi?
Miriam non è di Roma. A Roma non ha amici, o meglio, conosce tanta gente, ma ufficialmente sono tutti amici del ragazzo con cui "convive" da tre anni, o meglio nella cui casa "vive" da tre anni, e che non è quello che sta aspettando l'ascensore. Che arriva finalmente, l'ascensore. Le porte automatiche scorrono e lui si infila nella cabina mandandole un bacio. Miriam chiude la porta di casa, si gira, si appoggia alla porta con il sedere e la schiena. Ha un brivido, fa freddo, è mattina presto, mattina di autunno, sarebbe più prudente andare in camera da letto aprire l'armadio e infilarsi una felpa, ma non ha voglia di girare in quella casa. Non è la sua casa, non lo sarà mai, anche se l'ha arredata lei.
"Se non fosse per me, lo stronzo avrebbe ancora i cuscini in salotto e il materasso per terra in camera da letto... ma tanto a che è servito?... tutto tempo perso. Fatica sprecata. È una bestia. A lui importa solo di fumare, farsi di tutto, scopare come un depravato e poi trasformarsi per andare al lavoro, con i suoi vestiti di Armani e le sue scarpe di Prada... stavo così bene a Milano, come ha fatto a convincermi a trasferirmi in questa città? bella, per carità bellissima, ma... da quando siamo in questa casa mi sono bloccata definitivamente. Se a Milano per un orgasmo mi ci volevano dei mesi, ora sono tre anni, cazzo, T R E A N N I, ma con lui ci riuscirò, ne sono sicura, è dolce come il miele e io voglio diventare la sua ape regina... brrr questa porta è gelata... che faccio adesso?"
Miriam si incammina tristemente verso la camera da letto, non ha voglia di vestirsi, si infila sotto le lenzuola e tira su il copriletto. Tutta la città è in moto, lei invece non ha assolutamente niente da fare. Può solo continuare a pensare e ripensare sempre alle stesse cose.
" Chissà cosa mi immaginavo di trovare qui? Deve avermi plagiata, non riesco a darmi un'altra spiegazione. Quando l'ho conosciuto a Milano, lo stronzo, durante un party, tutto vestito firmato... devo essermi illusa che a Roma frequentasse della gente molto chic, o dei politici, gente ricca, chi lo sa? Così devo aver pensato. E in realtà frequentiamo gente molto ricca, figli di politici. di attori, di gente famosa, che sarebbero pure chic, se non che passano le serate a drogarsi come degli imbecilli, senza fare niente di interessante... come posso fare ad uscirne fuori? Di certo non posso contare sul mio dolcissimo amante, è uno spiantato quello lì. Se non altro non corro il rischio di andare a finire peggio cambiando uomo. Di tornare a Milano non se ne parla! Ma qui che faccio? Non ho prospettive, non ne ho mai avute. Ho trascurato tutte le cose che mi sarebbero state veramente utili nella vita... la scuola, l'università, il lavoro, me ne sono fregata, ecco questo è il risultato, sono diventata la schiava di un depravato e fino a che non riuscirò ad andare via da questa casa mi toccherà ... sempre... che schifo... ma perchè? Proprio a me? Non ci sono scuse, è tutta colpa mia, questa volta non riuscirò a venirne fuori... però... aspetta... forse potrei provare con quel tunisino che mi ha proposto di andare a fare la commessa nel suo negozietto a Trastevere... lui non si fa le pere, ne sono certa, fuma solo e neanche tanto... potrei dirgli che accetto il lavoro solo se mi permette di dormire nel negozio... , si ora lo chiamo... Cristo non ho il suo numero... meglio, vado a parlargli di persona..."
Miriam scatta giù dal letto come una molla, apre l'armadio, cerca qualcosa da mettersi per uscire. Improvvisamente si fa quasi buio nella stanza, il sole che illuminava il terrazzo su cui si apre la camera da letto, è scomparso.
"Cazzo, non dirmi che si mette pure a piovere..."
Miriam apre la grande finestra scorrevole, esce sulla terrazza, nuda, lo fa spesso, nessuno può vederla, l'appartamento è all'ultimo piano. Incredibilmente arriva una nebbia fitta-fitta che fa scomparire tutto. Miriam arriva fino alla ringhiera e ci si appoggia con le mani, si sporge, non si vede niente, non si sente neanche più il rumore del traffico. Prova un piacere particolare a stare così nuda, nella nebbia, ha un brivido. Strano, le sembra di sentire il rumore del mare. Improvvisamente la ringhiera scompare sotto le sue mani, perde l'appoggio, sta quasi per cadere, si tira indietro all'ultimo momento. Contemporaneamente i piedi le si bagnano, come se fosse arrivata un'onda. Ora i suoi piedi non poggiano più sulle fredde mattonelle della terrazza, ma su una soffice e tiepida sabbia. Il suo corpo è percorso da brividi, evidentemente gli orgasmi che non sono arrivati stimolano ancora i sui suoi sensi... Miriam va verso il mare... ha un programma:
" Mi butto in acqua e mi tocco..."
Mario rimane con il panino in bocca, bloccato.
- Caspita, che culo! - sussurra guardando verso il mare.
Gli altri si voltano e vedono una ragazza completamente nuda che cammina nell'acqua, verso il largo.
- Ehi tu, dove vai? - Urla Mihaela.
Miriam si volta. Non è certo il tipo che si copre le vergogne.
- E che tette! - Commenta l'adolescente che fino a pochi minuti prima contemplava Michelangelo.
- Ma siete dei porci! - Dice Mihaela - Ehi, tu ragazza, dove vai? Torna indietro! È pericoloso.
- Perchè è pericoloso? - Chiede Giovannone.
- Dove siamo? - Chiede Miriam rientrando verso la spiaggia.
- Ecco, appunto. Ecco perchè è pericoloso. Non sappiamo dove siamo. - Commenta a bassa voce Mihaela.
- Ma dove vuoi che siamo. - Dice Mario - Ancora non l'hai capito?
- Tu cosa hai capito? - Chiede la rumena, mentre tutti guardano Mario attendendo anche loro una spiegazione plausibile della situazione.
- Te lo dico dopo! - Mario è troppo preso a contemplare le nudità di Miriam che sta salendo uno ad uno i gradini del ristorante.
- Avete qualcosa da mettere addosso, purtroppo non ho fatto in tempo a vestirmi prima di... di, cosa mi è successo non lo so proprio, solo un minuto fa stavo in camera da letto, davanti all'armadio per mettermi una felpa e... e...
- Posso prestarti qualcosa di mio. - Mihaela scende sulla spiaggia e corre verso il punto dove lei e Mario avevano lasciato i vestiti. Improvvisamente la nebbia la circonda.
- Mihaela dove sei? - Urla Mario.
- Qui, ho preso i vestiti, ma adesso non vedo più niente.
- Segui la mia voce. - Urla ancora.
- Si, ma non smettere di parlare.
Mario comincia a cantare una canzone di quelle vecchissime del periodo del primo dopoguerra. Mihaela cammina in direzione della voce di Mario. Improvvisamente sente intorno a lei un ruggito, si spaventa, corre, inciampa sui gradini del ristorante, si ferisce.
- L'avete sentito anche voi?
Tutti la guardano stupiti.
- Sentito cosa? - Chiede Miriam.
- Un ruggito.
La nebbia intanto è scomparsa. Mihaela guarda verso la spiaggia, ma non c'è assolutamente nulla e nessuno. Il suo cuore continua a battere all'impazzata.
- Ti sei spaventata? - Le chiede Mario.
- Altro che!
- Credo sia meglio che non ci muoviamo da qui.
- Scusa, ma ci spieghi cosa hai capito? - Chiede Giovannone.
- Ho capito... ho capito... è un'ipotesi... non sono sicuro... e... - Mario è rapito dal corpo sinuoso di Miriam che sta provando inutilmente ad infilarsi i pantaloni aderentissimi di Mihaela. Non le salgono più su di delle cosce. Ci rinuncia. Tenta con la t-shirt, ma anche quella non le va, non scende un centimetro più giù delle tette! Poi prova la giacchetta jeans che non le sta di spalle. Ora guarda la camicia di Mario. La prende per le spalline, se la appoggia sul davanti.
- Forse questa mi va. - Farfuglia.
- Allora, Mario? Ci vuoi spiegare o no?
- Si... io credo che...
- Ecco questa può andare. - Dice Miriam finendo di abbottonarsi la camicia bianca. Le sta un po' stretta di "torace", in verità, e - e
- Allora?
... ed è completamente trasparente...
- Si credo che siamo in paradiso. - Finisce di dire Mario estasiato dalla vista delle tette in trasparenza
- Comincio a crederlo anch'io! - Gli fa eco l'adolescente rapito dalla visione del fondo schiena di Miriam che spunta da dietro, appena sotto la camicia.
Giovannone si gira anche lui nella direzione in cui stanno guardando i suoi colleghi maschi, poi anche Mihaela si gira e impreca: - Depravati! -
- Cosa intendi dire esattamente? Siamo in Paradiso nel senso che... che siamo morti? - Chiede Miriam.
- È un'ipotesi.
- Ma come sarebbe successo, poi? Io mi sento vivissima, sento il mio corpo, ho caldo, sto sudando, provo delle sensazioni, come è possibile?
- Forse non ancora definitivamente morti. - Risponde Mario ricominciando a mangiare il panino. - Forse siamo in attesa di qualcosa. Sono convinto però che non è il caso che scendiamo più in spiaggia. Credo che questo sia il nostro rifugio, per la notte.
- Vuoi dire che non saremo a casa per cena? - Chiede Giovannone.
- Ti dispiace? - Gli chiede Mario.
- Figurati, non ho più ne casa ne famiglia.
- E a voi altri?
- Non chiedo di meglio che stare una sera senza marito. - Sospira Mihaela
- I miei genitori a quest'ora staranno già ad insultarsi. - Dice sconsolato l'adolescente.
Tutti guardano Miriam.
- Ahh, per me va benissimo, altro che. Anch'io preferisco stare qui, vivo con un ragazzo stronzo, depravato e schiavista.
- Bene! - Commenta Mario. - Siamo proprio una bella compagnia. A me un po' dispiace per le mie bambine. Vorrei avvisarle, che sto bene, si, questo si, ma stare lontano da casa mi fa sentir meglio.
La nebbia riappare, più densa di prima.
Spiaggia di Ostia. Capocotta. Stella sta seduta sulla sabbia a guardare l'orizzonte. Un fascio di luce gialla proveniente dal sole che tramonta alla sua destra, le trapassa gli occhi, donando una sfumatura castana alle sue iridi che normalmente sono nere. Stella è in mutande. Raramente indossa un costume da bagno quando va al mare, come fanno tutte le ragazze per bene, e per di più la sua biancheria intima non è al passo con i tempi. Stella non è propriamente una ragazza, ha 46 anni, portati bene, se non fosse per il fatto che non le interessa per niente di curare il suo look, non si tinge i capelli, non si trucca, non usa deodoranti, è troppo magra. L'incuria non è casuale, non è un comportamento spontaneo o caratteriale, ma una scelta di vita, intellettuale, filosofica, politica.
In tanti anni solo quel ragazzo è riuscito a metterla veramente in difficoltà. Beh, anche lui in realtà non è propriamente un ragazzo.
Stella guarda il mare che sta diventando grigio. Fissa l'orizzonte che non è più nitido e il cielo che si fa scuro. È sola. Qualche mese prima proprio in quel punto della spiaggia, alla stessa ora, con la stessa luce, ha fatto un bagno indimenticabile con il suo amore. Pensa, pensa, pensa...
"Come è potuto accadere che mi sono lasciata andare con quel tipo. Io l'ho amato da sempre, questo è vero, ma ero riuscita a non farglielo capire. Infatti... e avevo fatto bene. Altro che se avevo fatto bene! Se solo se ne fosse accorto, tanti anni fa, non mi avrebbe dato tregua. Ed io non avrei potuto resistergli. Avrebbe preteso dei profondi cambiamenti nel mio stile di vita. Mi avrebbe reso infelice... certo! È stata una fortuna. Sono stata bravissima a non cedere allora... ma adesso? Perchè ho ceduto adesso? Devo proseguire su questa strada. Non devo chiamarlo più! Se ne farà una ragione. Se l'ho illuso mi dispiace... certo, potevo evitare di scrivergli tutte quelle mail dicendo che lo amo eccetera eccetera... Starà di merda, ma gli passerà, non devo preoccuparmi. Ha una famiglia. È impensabile che possa presentarsi qui a sorpresa... ahh, ... però ... quanto vorrei che lo facesse! Quanto vorrei averlo qui adesso e sapere che torneremo a casa questa notte e lo avrò tra le mie cosce, dentro di me, sopra di me, pesante su di me..."
Stella rivive in un lampo i ricordi di qualche mese prima, beh, più di qualche mese oramai. Lui aveva voluto rivederla, aveva insistito, dopo tanti anni, dopo tante mail, tante telefonate e qualche lettera. Finalmente si era deciso, aveva preso coraggio. Solo per quattro giorni. Era arrivato in piena notte, l'aveva baciata. Il tempo di farsi una doccia, mangiare qualcosa ed erano a letto a fare l'amore e così avevano proseguito fino a qualche minuto prima della sua partenza. Non avevano fatto solo sesso, ma anche un'infinità di altre cose. Il tempo si era fermato. Quattro giorni infiniti.
" ... bello, bello, bello... però è riuscito a farmi sentire a disagio per come mi vesto, per come è arredata la mia casa, per la vita che faccio... e... e, prima di Natale... non ce l'ho fatta più... ho smesso di rispondergli, ho fatto benissimo... che cosa vuole da me? Io mi piaccio così, vado bene così. "
In realtà ci sono due discorsi interni nella mente di Stella. Paralleli. Uno dei due è quasi sempre in superficie, a livello cosciente, la rassicura sul suo modo di vivere, sulle sue idee, sui motivi che l'hanno portata a fare quelle scelte che le stanno condizionando la vita. L'altro discorso interno procede sotterraneamente, inascoltato per lo più, fino a che, a volte, emerge prepotentemente e la fa star male. Troppo male. Le sue scelte allora appaiono deliranti, per certi aspetti, sicuramente troppo condizionanti per lei e per i suoi figli. I soldi per esempio, troppo pochi, perchè non tutti i tipi di lavoro sono intellettualmente o politicamente accettabili, la sua casa, troppo alternativa, se non addirittura impresentabile, perchè un arredamento classico o moderno sono rifiutabili a priori, la sua macchina piccola e scomoda, anche perchè non ci sono i soldi per comprarne una migliore, un marito intellettuale e spiantato che appena ha potuto se l'è squagliata ed ora appartiene ad un'altra donna e ad un'altra famiglia e che, incredibilmente, per quest'altra donna e per quest'altra famiglia fa cose che non aveva mai fatto per lei e per i suoi stessi figli.
Il sole è scomparso, il mare è diventato nero, e dal profondo vengono fuori pensieri scuri:
" ... se mi fossi messa con lui tanti anni fa, forse adesso, anzi sicuramente, avrei una bella casa, comoda, presentabile, una bella macchina o forse due macchine, i nostri figli avrebbero un padre che ci tiene a crescerli e ad educarli. Non dovrei chiedere i soldi ai miei per le necessità più elementari... che poi si può benissimo vivere in una casa normale, bella, grande e comoda, senza dover essere necessariamente dei borghesi... è una questione di sfumature..."
Fa freddo, Stella si infila la tuta, una maglietta, una felpa, si avvolge nel plaid che ha portato con se e chiude gli occhi. Ha deciso di dormire in spiaggia. Il cielo indaco, il mare nero, la sabbia umida, tutti gli aspetti negativi di quel posto così inospitale di notte in autunno, la fanno piombare in un sonno pesantissimo.
Al mattino, si sveglia intorpidita, la visione negativa della sua vita l'aggredisce appena riprende coscienza. Si sente vecchia, stanca, priva delle energie mentali e fisiche che le servirebbero per vivere sfacciatamente quello schifo di esistenza. Ha pena per i suoi figli. Si sente in colpa per averli costretti a fare un tipo di vita che non hanno scelto. Tutto questo per la sua testardaggine, per i suoi ideali che ora le appaiono stupidi. Il dolore che prova è fortissimo, irresistibile. Stella affonda il viso nella sabbia, fino a soffocare. Vorrebbe seppellirsi lì dove si trova. Improvvisamente un'onda lunga la travolge, quasi la sommerge e la surgela. Stella si tira su. Trema come una foglia. Non si vede più niente, c'è una nebbia umida e impenetrabile. Si alza fa due passi verso il mare. Improvvisamente la nebbia scompare, l'acqua diventa tiepida, l'aria umida e calda.
- Oh mio Dio, e quella chi è? - Dice Mario che sta sempre di vedetta quando scompare la nebbia.
Stella, non sa di essere osservata, si toglie la felpa e la tuta che sono completamente zuppe d'acqua salata.
- Sembra una barbona! - Dice Mihaela alla vista della maglietta bianca, un po' ingiallita e bucata in più punti che Stella indossa sotto la felpa.
Poi si toglie anche quella e la strizza.
- Però nuda sembra un po' meglio! - Osserva l'adolescente.
- Se non fosse per quei mutandoni molto poco "attuali"... - Commenta Miriam.
Stella si volta e vede la palafitta con i nostri eroi sopra che la osservano con delle espressioni quasi spaventate. Vede anche le palme, la sabbia bianca e un muro di roccia a strapiombo che sembra delimitare la spiaggia. Stringe i suoi abiti fradici sulla pancia. Sente che le mutande, appesantite dall'acqua le stanno scivolando lungo le cosce. Se le tira su. Si sono così allentate che le arrivano fino all'ombelico. Per fortuna ha i capelli bagnati. Così, schiacciati sulla testa, non si nota quanto sono grigi, volutamente grigi. Non sapendo cosa altro fare, Stella si avvicina alla costruzione, sale dolcemente i gradini, stende i suoi abiti sulla ringhiera di legno che è esposta al sole, si gira e guarda quel gruppo di strani individui che la stanno osservando in silenzio.
- Ehmm... Ciao a tutti, io mi chiamo Stella...
- Non chiederci, per favore, dove siamo, perché non lo sappiamo neanche noi. - Mario previene la domanda scontata della nuova arrivata.
- Bene! Ottimo! Un attimo fa stavo sulla spiaggia di Capocotta, faceva un freddo...
- Vuoi metterti questi, intanto che i tuoi abiti si asciugano? - Mihaela le offre la sua t-shirt e i jeans.
- Grazie, volentieri! - Con la massima naturalezza, si sfila i mutandoni e indossa i jeans che le stanno larghi, e la maglietta pure!
- Hai fame? - Chiede l'adolescente.
- Un po'! C'è del caffè?
- Credo di si - Dice Giovannone andando dietro l'espositore. - Accendo la macchina espresso. Ci vorrà qualche minuto.
- Voi siete qui da tanto?
- Da poco prima di te. - Risponde Mihaela. - E voglio subito informati che in questo posto il cellulare non prende...
- ... e che non siamo sull'Isola dei Famosi. - Sottolinea l'adolescente.
- Non ho un cellulare. Che cosa è l'Isola dei Famosi? - Risponde Stella arricciando il naso.
- L'isola dei famosi è un famoso programma televisivo che...
- Ah, Ok. No, no. Io non guardo mai la televisione! -
- Anch'io la odio! - Esclama GIovannone.
- Ma siete matti? - Interviene Mihaela - La televisione è bellissima. In Italia è stupenda, non vi rendete conto?
Tutti guardano Mihaela con aria di disgusto.
Si fanno le presentazioni, prendono il caffè e si rilassano in attesa della prossima nebbia che già li circonda senza che se ne siano accorti.
Non ci posso credere! Non ci posso credere! Ho sentito questa canzone centinaia di volte negli ultimi vent'anni e non avevo mai capito un cazzo di niente. Ora improvvisamente le parole mi sembrano così facili. John Lennon. Woman. Mi potevo decidere trent'anni fa a capirci qualcosa d'inglese. Avrei trovato il coraggio per andare d'estate a Londra invece di perdere tempo a fare i campeggi in Calabria, in Puglia, con quelle stronzette che pareva ce l'avessero tutta d'oro. Per un bacio dovevi impegnarti in un fidanzamento senza via di uscita. E io ci sono cascato come un allocco. A Londra avrei fatto sesso, sesso alla grande, insomma perché no? L'hanno fatto tutti. E si sa che in quei casi lì poi si rimane in contatto, le inglesine ti vengono a trovare oppure ci vai tu, insomma c'è sempre una possibilità di scopare e così diventa più difficile che una stronza qualsiasi ti freghi facendosela odorare senza dartela. Se hai delle alternative, non stai lì a sbavare, che se ne accorgono, le stronze. E sei definitivamente fregato... che zoccola! "Ci sei cascato come un fesso!", direbbe mia madre. I miei tre bambini non me li fa quasi più vedere, che poi quando si degna, dove li porto? Vivo in una bicocca, è un miracolo se ho in tasca 10 o 20 euro. Per passare un piacevole fine settimana con i miei piccolini ci vorrebbero almeno due trecento euro da spendere. Se no quelli si annoiano e con me non ci vogliono stare. E chi ce l'ha due o trecento euro? Mi ha ridotto in povertà, quella zoccola, ha calcolato tutto, prima si è scopata chi le è più piaciuto. Quando ho scoperto che si era fatta anche il fotografo durante il ricevimento del matrimonio e mi sono incazzato - altroché se mi sono incazzato - mi ha messo fuori casa ed è riuscita ad ottenere dal giudice un ricco mensile, che secondo me se lo è scopato pure quello, il giudice, se no come si spiega? Praticamente mi faccio un culo nella mia fabbrica di colori col risultato che gli affari vanno a gonfie vele, ma tutto il profitto se lo pappa lei, la troia, e i miei dipendenti hanno più soldi in tasca di me... e lo sanno... a Natale... questo Natale, hanno dovuto organizzare loro la solita cena della Coloreria e mi ci hanno anche invitato... che figura! Fino all'anno scorso organizzavo tutto io, a spese mie. In un anno di separazione sono diventato povero e grasso, sono diventato un bue a furia di mangiare, per i nervi... e di bere... ma tanto che importa ormai... Un'altro semaforo rosso, che rottura di coglioni... cazzo... cazzo... cazzo, ora lo rompo questo sterzo a furia di pugni... va fan culo zoccola, troia, mi hai rovinato la vita... Ma cosa cazzo si suona questo?
Un ragazzo scende dalla macchina dietro, si avvicina al finestrino e gli dice:
A nonno hai realizzato, o no, ch'è scattato er verde?
È alto, magro, mulatto, con un cappello di lana nero, di quelli che usano i ragazzi di colore dei ghetti, ha una t-shirt con una svastica nera e un paio di jeans bianchi, sporchi di vernice.
Cosa cazzo vuoi?
Ahhh ho capito, famo notte! Te vuoi move? 'O te devo butta fuori strada a te e a sto caro funebre?
Voi vede che mo' te pijo a sganassoni? - Dice il grassone scendendo dalla station wagon. Contemporaneamente dalla macchina di dietro spunta un'altro ragazzo, praticamente una fotocopia del primo, con una spranga di ferro in mano però. Sferra un colpo micidiale sullo sportellone posteriore della station, poi si accanisce contro le luci di posizione. Volano schegge dappertutto.
A stronzi mo ve sistemo io
Il grassone si avventa contro il primo dei ragazzi, che gli sta più a portata di mano, quello si sposta di lato, velocissimo, schiva il cazzotto e scatta in avanti. Il grassone sente qualcosa che lo colpisce nello stomaco, ma non è un pugno. Qualcosa di freddo è entrato nella sua pancia. Mette istintivamente le mani sull'addome e sente un liquido appiccicoso. Gli si piegano le ginocchia. Il sole si oscura, un'ombra nera lo circonda.
I suoi tre piccolini.
Li vede.
L'ultima volta che sono stati a casa sua. Avevano trovato un posto per giocare sotto la scrivania che sta nell'ingresso, dove ha sistemato il computer. La piccola, Pola, ci stava in piedi tutta dritta, sotto il tavolo, i gemelli erano accovacciati per terra, come degli astronauti, guidavano una nave spaziale. Una nave che li portava via lontano e lui, seduto al computer, faceva parte dell'equipaggio, era il navigatore per la rotta interstellare.
- L'astronave è in perfetto stato, papà! Possiamo andare a velocità luce! - Dice uno dei gemelli.
- Eistiamo a faje nanna qui co te-tanotte? - Farfuglia la piccola.
- Sarebbe bello, ma non c'è da mangiare. - Osserva l'altro gemello. La magia intergalattica svanisce. L'astronave cambia la rotta. Bisogna tornare alla base...
Il grassone stramazza a terra. A pancia in giù, la faccia schiacciata sull'asfalto, le braccia distese in alto. La coscienza non l'ha ancora abbandonato completamente. Stringe i pugni. Gli sembra avere della sabbia tra le dita. Sente il rumore del mare. Un'onda calda lo sommerge. Sembra che lo forze gli ritornino, apre gli occhi, sta sott'acqua. Per fortuna ci sono solo 10 o 20 centimetri di profondità. Si gira sul fianco, tira un po' su la testa e si vede circondato da una chiazza rossa che risalta nell'acqua celeste tropicale in cui è finito. Si gira ancora un po' e vede arrivare correndo dalla spiaggia delle persone. Sembrano agitatissimi. Il primo a raggiungerlo sta in mutande gli si avventa addosso, sembra quasi che voglia fargli la respirazione bocca a bocca. Una ragazza con addosso solo la biancheria intima, lo guarda spaventata, fasciandosi la testa con le mani. Un'altra ragazza, anzi sembra in realtà una signora, magra e trasandata, lo afferra da dietro per il collo e gli tira degli schiaffi come se fosse svenuto. Una tipa in camicia gli si mette in piedi vicino all'altezza della fronte. Non porta le mutande sotto la camicia! Il grassone si sente rinascere alla vista delle parti intime ben depilate che dal suo punto di osservazione non può fare a meno di ammirare. Poi sente che lo stanno trascinando. Piega il collo e vede due tipi, un adolescente e un bestione che lo hanno afferrato per le gambe per portarlo sulla spiaggia all'asciutto. Il sole caldo scompare. Un nebbia fitta sembra piombare dall'alto pesante come un macigno.
- Daniiii! Daniiii!
Daniele si affaccia alla finestra della sua camera al primo piano del villino. Guarda giù un po' preoccupato. Romano, il fratello maggiore, tutto sudato, nel cortile, sta cercando di mettere in moto l'SH 50, a spinta, inutilmente. L'unico risultato dei suoi sforzi è il lungo e profondo solco che ha lasciato dietro di se nel brecciolino.
- Che gli hai fatto?
- Io non gli ho fatto niente. Non parte da ieri. Non lo so perchè.
- Potevi dirmelo. Da quando c'è l'hai tu l'hai massacrato, sto povero motorino.
- Ti faccio notare che me l'hai passato in eredità da neanche 15 giorni e hai continuato ad usarlo... ti aiuto? Vengo giù?
- Ah si, dai, proviamo a spingerlo fuori del cancello.
I due ragazzi provano e riprovano, ma il motore è come morto, non reagisce a nulla. Finalmente Romano ha un lampo di genio.
- Ce l'hai messa la benzina?
- Io no, sei tu che l'hai usato l'ultima volta...
Romano apre il tappo del serbatoio e ci guarda dentro facendo oscillare la moto.
- Cazzo, è vuotissimo! - Impreca. - Che sfiga. Come faccio?
- Dove devi andare?
- Da Mariella, mi ha chiamato. Ha litigato con il padre. Sta a pezzi. Ti rendi conto che quello non vuole farla più uscire di sera, almeno fino a Natale, così le ha detto.
- E vorrei vedere! Se la riporti a casa alle 4 di notte ogni volta, quello si incazza si, che s'incazza.
- Ma che vuoi? La scuola è ricominciata, tra un po' comincerà anche la stagione delle piogge, poi bisognerà studiare, che cavolo pretende quello...
- Che fai allora? - Chiede Daniele, anche se già sa la risposta.
- Prendo la moto.
- Sei matto, non hai ancora compiuto 16 anni, non hai la patente. Papà ti ammazza se lo scopre.
- Non lo scopre se non glielo dici tu!
- Come al solito... - Risponde sconsolato Daniele alzando gli occhi al cielo.
Romano molla l'SH 50 al fratello e si infila nel garage. Va fino in fondo. Scompare nella penombra. Dani lo sente armeggiare con il telone che ricopre la moto, sente che mette la moto giù dal cavalletto, e via con la solita imprecazione che "non ci si passa". Finalmente lo vede riapparire nell'oscurità. Spinge una bellissima Yamaha da cross, così alta che fatica a salirci sopra. Dà un'energica pedata all'accensione. Il motore parte subito. Sgassa. Mette la marcia. La catena fa uno scatto. Ancora un secondo e la ruota posteriore slitta sul brecciolino.
- Aspetta! Romanooo. Devi mettere il cascooooo!
Ma quale casco. Il ragazzo è già oltre il cancello, gira a destra sbandando un po' e scompare. Due secondi e non si sente più neanche il rombo del motore.
Daniele immagina il fratello che sfreccia libero e sereno sulla moto verso l'ingresso della Cassia Bis. Dalla loro villa in campagna bisogna fare un bel pezzo di strada tra i campi prima di arrivare sulla superstrada, poi alla prima uscita c'è un cavalcavia che la incrocia a sinistra passandoci sopra e subito a destra la villa di Mariella. Probabilità di incrociare la polizia: zero. Andrà tutto bene come al solito.
" Rimedio 5 euro e faccio miscela". Pensa Daniele intanto che appoggia l'SH contro il muro del garage. Il cavalletto del motorino è inutilizzabile ormai da mesi.
Romano sfreccia tra i campi, sbanda sullo sterrato ad ogni curva. Si diverte da pazzi. Si sente un po' in colpa per non aver detto tutta la verità al fratello, l'avrebbe fatto rosicare troppo. Mariella gli aveva telefonato, questo è vero, ma per informarlo che i genitori erano andati a ordinare la cucina nuova e che sarebbero stati fuori sicuramente fino all'ora di pranzo!
" Sola a casa! Sola a casa! Tutta la mattina" .
Romano pensa alla sua ragazza, ai suoi bellissimi capelli biondi, ai suoi occhi azzurri, al suo viso che gli provoca una strana sensazione di beatitudine quando lo contempla. Per lui è come guardare un angelo, o qualcosa di simile. Non è per la bellezza in se, è per una strana cosa che non sa spiegare. Il volto di Mariella gli appartiene, gli da un senso di calma, di serenità e... poi i baci e il profumo del collo, e le tette. Oh mio Dio! Mariella ha due tette grosse, imperiali, dure e gonfie che lo fanno impazzire. Ha passato ore a massaggiarle, strizzarle, baciarle, succhiarle. Però, però, c'è un problema! Più in basso delle tette non è potuto mai andare. Non è che lei non lo voglia, in realtà non si è presentata mai l'occasione. Ora invece ci siamo, questa è la volta buona. Romano ripensa attentamente alle parole che la fidanzatina gli ha detto al telefono:
"... ti aspetto con addosso solo il perizoma bianco..."
"Grande!" , le ha risposto, dandosi un tono, anche se effettivamente non sa assolutamente niente della biancheria intima della sua ragazza.
Finalmente un po' d'asfalto. Si può andare veloce senza rischiare di sbandare.
Romano immagina come dovrebbe essere il sedere di Mariella. Le sue mani conoscono il terreno nei minimi dettagli, nelle ultime tre settimane l'ha palpeggiata per bene, ma non l'ha mai visto con gli occhi il culo della sua ragazza. Si distrae un po' per provare ad immaginarselo partendo dai ricordi tattili. È difficile. Fa niente. Tra pochi minuti potrà vederlo dal vivo. Manca pochissimo. Ormai è sulla rampa che immette nella Cassia bis. Si sente infoiato come una bestia! Appena entra nella superstrada da una sgassata e la moto si impenna pesantemente.
Cazzo i carabinieri! - Impreca vedendo nella corsia opposta una Punto Blu dell'Arma. - Speriamo che non mi abbiano notato.
Impossibile non notarlo! È in completa tenuta da cestista: canottierona e calzoncini rossi, scarpe da bascket nere, capelli lunghi e neri, senza casco, senza patente (questo non si vede, ma i poliziotti lo capiscono subito) e per di più con la moto impennata. L'auto dei carabinieri lo incrocia e fa una rapida conversione ad U. Romano controlla la manovra nello specchietto. È evidente che hanno invertito la marcia per lui.
"Li semino!" Pensa accelerando ancora. Effettivamente potrebbe farcela. L'uscita è a non più di duecento metri, poi c'è il cavalcavia a sinistra e subito dopo, a destra, c'è il muro di cinta della tenuta di Mariella. Una cinquantina di metri più avanti, lungo il muro c'è il cancello ad apertura elettronica. Che ci vuole?
" ... ti lascio aperto il cancello... " gli aveva detto al telefono la ragazza con il perizoma bianco.
" Con quella Punto non mi raggiungeranno mai." Pensa ancora e accelera ancora.
Romano esce sulla rampa, rallenta appena allo stop, piega la moto paurosamente, gira a sinistra e imbocca il cavalcavia che sorvola la Cassia. Dall'alto vede i carabinieri che hanno appena imboccato la rampa d'uscita.
" Ce la faccio... ce la faccio..." Nota però che hanno messo la sirena. Poco male. Nella discesa del cavalcavia c'è una macchina, una Panda verde, di fronte non viene nessuno. Manda a manetta, in un attimo la raggiunge per sorpassarla. Il muro di cinta della villa di Mariella è lì, lo vede, ancora 50 metri e si infilerà nel cancello. A quella velocità ci vorrà una staccata alla Valentino Rossi. Poi sfrutterà le ruote da cross per la sbandata sul brecciolino. Romano sorride al pensiero della faccia che faranno i carabinieri quando scomparirà nel nulla come Diabolik.
"Sorpassiamo questo stronzo!"
Alla fine del cavalcavia, sulla sinistra, c'è un viottolo che immette in un campo. È proprio lì che è diretto quello stronzo. Improvvisamente la Panda verde, gira a sinistra mettendosi di traverso. Quello stronzo non si preoccupa di mettere la freccia, tanto di fronte non arriva nessuno e nello specchietto retrovisore è impossibile vedere la moto che gli sta di fianco. L'impatto è violento. La Yamaha vola da una parte e Romano vola dall'altra, verso il villone della sua ragazza.
Romano è uno sportivo. La sua specialità sono i tuffi. Fa le gare. A livello regionale. È uno quotato. Mentre vola, il ragazzo equilibra il corpo e studia rapidamente la direzione della parabola. No. Non ce la farà a superare il muro di cinta e ad atterrare, dall'altra parte. Peccato, oltre il muro c'è un morbidissimo prato inglese. Si sfracellerà invece contro la base del muraglione di pietra.
Cazzo, cazzo, il casco! -
Il ragazzo allunga istintivamente le braccia in avanti. Mancano pochi istanti all'impatto.
Chiude gli occhi.
Splash.
È finito in acqua! È incredibile.
Apre gli occhi, appena in tempo per vedere il fondo sabbioso contro cui sta per sdrusciare.
Fa una ampia bracciata ed emerge in superficie. Un'onda lo travolge, e poi un'altra. L'acqua è grigia, per colpa di una fittissima coltre di nebbia.
"Sono morto, pensa, devo essere nell'aldilà. Beh, almeno non è stato doloroso".
La nebbia scompare improvvisamente. Lasciando il posto ad un sole caldissimo. A pochi metri c'è una spiaggia tropicale deserta, se non fosse per un gruppo di persone che si agitano intorno ad un grassone sdraiato sulla sabbia.
Romano raggiunge la riva a nuoto, si avvicina al gruppo. Nessuno fa caso a lui. Quando arriva quasi a contatto con una ragazza molto formosa con le chiappe che le spuntano da sotto una camicia da uomo, e dice: - Ciao... - , Miriam caccia un urlo.
"Sembra impossibile poter rivivere i ricordi con tanta precisione a distanza di settant'anni! Settant'anni, ma ci rendiamo conto?"
Michele si congratula con la sua memoria che a ottantanove anni suonati gli permette ancora di vedere, ascoltare, percepire odori e sensazioni di avvenimenti così lontani nel tempo. A dire la verità la memoria del vecchietto è alquanto frammentaria, in generale, ma ci sono dei momenti della sua vita che ricorda con una precisione formidabile.
Gli era affiorato alla mente, per l'ennesima volta, il ricordo di un giorno di luglio di quando aveva appena 19 anni. Per essere più precisi, si trattava del giorno del suo secondo esame all'università. L'esame di Fisica. Uno scoglio quasi insormontabile. Aveva deciso di tentare, nonostante avesse seguito solo le lezioni senza mai aprire libro, spinto dall'entusiasmo per il suo primo esame, superato brillantemente pochi giorni prima.
"La fortuna aiuta gli audaci", gli diceva sempre il padre. E aveva avuto veramente fortuna. Era stato promosso, addirittura con un voto altissimo, che non meritava assolutamente, ma chi se ne fregava.
Fuori dall'Istituto di Fisica medica era tutto un tripudio. C'erano i colleghi del corso, quelli che avevano superato l'esame anche loro, che si trovavano in uno stato di esaltazione quasi maniacale, c'erano anche i suoi amici venuti a sostenerlo, dato che si prevedeva una sonora bocciatura, e con cui sarebbe partito per il campeggio l'indomani. Il tempo era stupendo, uno di quei tipici pomeriggi di estate, di quando le estati erano miti, ed il caldo della mattina si stemperava già nelle prime ore del pomeriggio fino a che, verso le 6, la temperatura diventava piacevole, l'aria dolce, la luce dorata e... la sera prometteva bene, dolci promesse, dolcissime. In quel periodo stava con tre ragazze contemporaneamente, non so se mi spiego.
Era al massimo dell'entusiasmo, della felicità, della sicurezza in se stesso. Quello era il giorno in cui Michele usciva definitivamente dal tunnel dei problemi causati dal passaggio tra la scuola e l'università. Nel presente c'era l'incasso di due esami superati nella prima sessione (nessuno ci avrebbe scommesso una lira fino al mese prima), nel futuro lo aspettava un'estate tutta da gustare e la voglia di riprendere a studiare e a superare gli esami della sessione autunnale. Ormai ci aveva preso gusto. Un momento mitico, uno dei momenti mitici della sua vita... per questo ricordava quel giorno con tanta precisione. O no?
"Cazzo, mi sentivo vuoto anche quel giorno lì!" pensa il vecchietto. "Ecco perché me ne ricordo così bene! Ero felice, ero all'apice di un periodo bellissimo, ma mi sentivo vuoto al tempo stesso. Una sensazione sottile, appena percepibile che non la faceva da padrone, come in altri momenti, ma che smorzava un po' qua e un po' là i fuochi accesi. Ecco, ricordo anche che qualche mese prima o chissà quando prima, rimproveravo a me stesso di non impegnarmi abbastanza nella cose che facevo. 'Non ci metti l'anima!', mi dicevo. La felicità bisogna andarsela a cercare, non arriva da sola. Che periodo terribile avevo passato, da quando mi avevano scaricato nella vita reale senza nessuna preparazione. Che minchia di famiglia! Mi avevano fatto vivere l'infanzia senza problemi, poi, all'improvviso, ad un momento stabilito così, per caso, avevano deciso che ero cresciuto e che dovevo vedermela da solo. Però nessuno mi ci aveva preparato. Non avevo un bagaglio di conoscenze sufficiente. Un disastro. Anni duri. L'adolescenza. Il liceo. Poi finalmente quel discorso a me stesso. L'inizio della fase ascendente. Ma ormai ero bruciato. Non mi avrebbe mai abbandonato la consapevolezza che il successo, le emozioni, la felicità, possono dare solo un senso, e niente di più, al vuoto dell'esistenza."
Il vecchietto apre gli occhi. Non è cosa facile. Tra blefarite, cataratta e presbiopia, c'è ben poco da vedere, nei particolari almeno.
Stanno sempre tutti lì, ad aspettare.
Ad aspettare che muoia.
Per liberare quel letto, quella stanza, quella casa, quel nucleo familiare.
Ed hanno ragione, altro che. È lì allettato da settimane. Sta sempre peggio. Ossigeno, catetere, parenterale, pannolone. Non controlla più nulla del suo corpo, non riesce a parlare e neanche ad alimentarsi.
Avverte un po' di tensione tra il parentame. Appena ha aperto gli occhi i presenti si sono innervositi.
I nipotini non ci sono, per fortuna. Chissà quanto deve far schifo. Gli piacerebbe comunque di vedersi allo specchio. Vedere la sua faccia come è ridotta prima di morire.
I nipotini, gli sono sinceramente affezionati. Di questo ne è sicuro. Anche gli altri familiari, certo, gli sono affezionati, o meglio lo sono stati, però si capisce che ora non ne possono proprio più, quelli grandi, quelli che hanno perduto la capacità di percepire la vita per quello che è, come invece sanno ancora fare i nipotini. Del resto tutte le attività della famiglia sono bloccate in attesa del suo exitus, che tarda ad arrivare. È una particolarità genetica della sua famiglia, le interminabili ed estenuanti agonie. Ma ora manca veramente pochissimo. L'unica cosa che riesce ancora a percepire è il battito del cuore. Ecco il vuoto della vita. Sta tutto nella frequenza cardiaca. Se il cuore batte sei vivo se no sei fottuto. Sta rallentando, il cuore. Percepisce i battiti uno ad uno distintamente. Fanno male. Incredibile. Il miocardio quando si contrae fa così male? Non lo aveva mai notato. O forse è così solo adesso che è affaticato. Ecco il senso della vita: l'ultimo battito.
Il cuore si ferma. Michele prova tuttavia a riaprire gli occhi. Ce la fa. Non si vede niente. Nella sua stanza è calata una nebbia fittissima. Improvvisamente il suo letto si alza, dalla parte della testa. "Cosa cazzo sta succedendo?" Si chiede allarmato. In un attimo l'inclinazione è tale che comincia a scivolare. Non c'è la sponda a fermare i piedi! Il suo corpo scivola fuori dal letto, precipita nel vuoto. Morire è precipitare? Il vecchietto può sopportare tutto, tranne che precipitare. Ha sempre sofferto di vertigini, gli viene il vuoto allo stomaco. Ma quale stomaco? Non ha più uno stomaco, come suol dirsi, da almeno un paio di settimane. Sotto gli sembra di sentire il rumore delle onde del mare, ed infatti finisce in acqua. Sott'acqua. Un benefico calore lo circonda. Il cuore ricomincia a battere, dei filamenti di energia sembrano invadere il suo corpo gelido. Ha un corpo! Michele prova la piacevole sensazione di avere un corpo. Ora però ha voglia di respirare! Come si fa? Sta sott'acqua. Prova a nuotare, ma non riesce a contrarre un solo muscolo, è rigido come ... come un...
"Potrei fare il morto a galla! " Pensa e si lascia andare. In poco tempo affiora alla superficie. L'aria è calda. Respira. Che bello. Il sole, il mare, l'aria nei polmoni. Sente che i muscoli si stanno ammorbidendo. Prova ad agitare un braccio. Se c'è qualcuno nei paraggi potrebbe vederlo e soccorrerlo.
Miriam, che intanto si era voltata per lo spavento, allunga istintivamente lo sguardo dietro a Romano, le sembra di vedere tra le onde una sagoma galleggiante che saluta con un braccio.
- Ce n'è un altro da salvare. - Dice, poi rivolgendosi al ragazzo. - Tu sei l'ultimo arrivato, quindi tocca a te. Forza, vai a recuperare quel tipo. - E indica la salma galleggiante che ancora agita il braccio.
Tommy sta appoggiato al bancone del bar di IKEA, a Porta di Roma. Il the che ha ordinato è in lavorazione, il dolcetto con la glassa invece è già sotto il suo naso da un minuto. Tommy concentra lo sguardo sulla glassa bianca, sulla sfoglia sottilissima che da la forma al dolce, immagina il sapore della pasta di mandorla (o di chissà cosa altro c'è sotto la glassa e che comunque sa di pasta di mandorla) e, inevitabilmente, ripensa a tutto quello che gli è accaduto da quando la moglie lo ha messo alla porta, circa tre settimane prima. Fino a ieri. Alle 18, 39. L'ora esatta in cui quella gli si è presentata a casa, con la scusa che le figlie volevano vedere "il loro papà" e che aveva una pianta da regalargli per rendere "meno squallido il suo appartamento da single". Poi si è capito che voleva solo scopare. Intanto il ragazzo del bar arriva con un bicchierone fumante, lo deposita su un piattino bianco, di quelli per le tazzine da caffè, e ci mette pure in bilico un cucchiaino. Tommy afferra con una mano il piccolo piattino con sopra l'enorme bicchiere bollente, nell'altra mano ha il dolcetto e sotto un braccio il giaccone cerato. Il cucchiaino cade subito a terra, ma poco importa, non usa lo zucchero da anni, e poi come si può pretendere... Con un po' di fortuna raggiunge un tavolo libero un po' in disparte. Si siede. È solo, si sente a disagio. Prova a bere un sorso di the.
"Cavolo è bollente! - pensa sventolandosi la lingua. - Bisogna aspettare qualche minuto, intanto attacchiamo il dolcetto!"
Il primo morsino (il pasticcino con la glassa è molto piccolo e bisogna centellinarlo) satura le sue papille gustative con il sapore ben noto che gli provoca un pizzico di nostalgia. È lo stesso dolcetto che prendeva con Francy, la moglie "adoratissima", quando venivano ad IKEA. Era un rito. Quante volte è andato a IKEA con la famiglia. Ed ora? Vivere da solo è triste. Triste e deprimente. Triste, deprimente e squallido. È così triste e deprimente? Sul serio è così squallido? Ma quando mai, altro che squallore, sono state le tre settimane più intense della sua vita sessuale, senza volerlo, senza andarsele a cercare. Ancora non ha capito come è che si sia potuta diffondere così velocemente la notizia della sua separazione.
Tutto e iniziato con la dottoressa Dionisi, una collega, che gli ha prestato il ruotino di scorta la sera che aveva bucato nel parcheggio davanti all'ufficio.
" Che poi era il giorno dopo che Francy mi ha cacciato."
E che ha invitato a cena la sera stessa, e che si è pomiciato selvaggiamente in macchina e che alla fine si è portato a casa dove ha inaugurato il lettone con le lenzuola nuove, colorate. Perché, finalmente, per la prima volta nella sua vita, possiede delle lenzuola colorate.
"Quante volte glielo avevo detto a quella stronzetta, che se mi lasciava la prima cosa che avrei fatto sarebbe stato di comprare delle lenzuola colorate e che sarei rimasto da solo non più di 24 ore! La dottoressa Dionisi... che sorpresona. Io pensavo: - chissà che figuraccia mi farà fare al ristorante! - per come si veste, non per altro, ma dovevo ricambiare il favore, se non mi prestava il ruotino avrei dovuto chiamare un carro attrezzi, minimo, minimo una cena gliela dovevo offrire, o no? Arriva al ristorante con il solito cappotto grigio con tutti i doppi colli e doppi petti, con i bottoni neri, lungo fino alle caviglie. Noto per la prima volta che ha i capelli biondi e ben sistemati, e non ha i soliti occhialoni da cecata (forse ha messo delle lenti a contatto) in ogni caso ha degli splendidi occhi azzurri. - Beh, un po' meglio di quello che temevo, penso, ma Dio quel cappotto, nun se po' guardà , che vergogna - e quella se lo leva e lo da al cameriere. Non ho il coraggio di guardare cosa cià sotto... cosa cià sottoooo? Dei leggins marrone scurissimi, ma che leggins quelle erano delle calze semitrasparenti. Sopra indossava una specie di cardigan nero, con l'abbottonuatura laterale, già scollato di per se e con i primi due bottoni sganciati, e corto, cioè di dietro non arrivava a coprirle tutto il culo. E che culo! Lì non si può camuffare, con dei leggins così. Quando si è seduta e ha aperto il menù ero già totalmente arrapato. Una donna a tre strati. Soprabito inguardabile, primo strato, calzamaglie e cardigan, secondo strato, nuda, terzo strato, una statua greca, ma come è possibile che non me ne fossi mai accorto, eppure lavoriamo insieme da quasi dieci anni, beh lei sta ai piani alti con il capo, comunque, sapevo che era divorziata e anche che aveva due figli. Due gravidanze dovrebbero lasciare il segno, così dicono, e invece no. Me ne sto seduto sul letto, a guardarla mentre si toglie il cardigan, si sfila i leggins e manda indietro le braccia per sganciare il reggiseno. Gli slip non li porta o sono rimasti incastrati nei leggins. Rimango senza fiato, ha gli addominali scolpiti! Penso, - sto per fare l'amore con una donna con la tartaruga! -... sgancia il reggiseno sembra una esplosione, dentro le coppe ci sono due seni sotto pressione, duri, tondi, mi sale su, si gira, me la sbatte in bocca, si piega in avanti, mi apre i pantaloni e mi succhia... la Dionisi... la signora Dionisi, ma che dico, la DOTTORESSA Dionisi, prima segretaria del grande capo, donna temutissima e considerata da tutti una divorziata sessualmente frustrata, ora mi sta facendo un pompino! Penso: - qui conto fino a tre e me ne vengo. - e invece no, il fatto è che ho le labbra immerse nella sua vagina e mi do da fare, modestamente sono uno specialista, quella dopo un po' non resiste, scivola giù e, sempre dandomi la schiena, se lo infila, si dimena, urla, stringe la vagina come fosse un tubo pneumatico a pressione. Non conto fino a quattro che se ne viene, crollando sul letto a pancia in giù.
Io rimango così, disteso sul letto con le gambe penzolanti sul pavimento, totalmente confuso, ancora eccitato. Passano pochi secondi. Lei mi sfiora il viso con una mano,
Tesoro, il preservativo...
Beh mi sembra che sia troppo tardi
Perché? Non abbiamo mica finito, non sei venuto, vero? Mi sembrava di no.
No, infatti, non ho fatto in tempo.
Scusami, è da tantissimo che non... ee..., dai ce l'hai un preservativo?
Credo di si.
Allora che aspetti, mettitelo... - e dicendo così tira su un po' il sedere e lo agita dolcemente.
Oh, mamma - penso - lo vuole dietro! - Per fortuna preservativi ce né in quantità. Ha goduto dal primo momento a quando me ne sono venuto, e c'è voluto un bel po' perché più la sbattevo e meno ci potevo credere, mentre quella urlava, gemeva, sospirava, si dimenava. Prima di andar via mi ha confessato che così le piace più di tutto. E mi ha minacciato anche di morte se solo provo a dire a qualcuno quello che è successo tra di noi. Che sfiga. Mentre stavo lì, dentro quel paradiso, durante il selvaggio va e vieni, pensavo a quando lo avrei raccontato a qualcuno dei miei amici divorziati. Finalmente qualcosa da raccontare anch'io! E invece no. Pazienza.
Tommy, sorridendo, prova di nuovo a sorseggiare il the, che si sta raffreddando, ma non ancora abbastanza. Un altro morsetto al dolce e si chiede come ha potuto reggere la scopata con Francy la sera prima, dopo la lezione di inglese. Si, perché da due settimane ha ingaggiato una insegnante di inglese, sai, con tutto il tempo libero che ha. È una studentessa della Sapienza, si chiama Logan, americana, un po' su di peso, bassina, ma tutto pepe.
"Quando ci siamo accordati per una lezione a settimana, di mercoledì, mi fa una proposta:
Potresti intanto fare un salto domani sera ad un party che danno degli studenti americani per la laurea, che ne pensi? Potrei così valutare il livello del tuo inglese parlato.
Grande. - dico. Altroché, "domani sera" capitava di sabato. Sabato sera da solo a casa proprio no, non ho programmi, poi la Dionisi si comporta con me come se non esistessi.
Il party è uno sballo, Logan è gentilissima, non mi lascia mai solo, mi presenta un sacco di ragazze, qualche volta mi fa da interprete, c'è la musica per ballare ed anche un po' di musica ambient per chiacchierare e si beve, si beve un po' troppo, veramente troppo e si esagera, ecco, ad un certo punto il party degenera un po', ma che vuoi sono giovani, americani, mica seminaristi. La mattina dopo quando mi sveglio sto uno schifo, lo stomaco che mi brucia, la testa confusa, ricordo bene alcune cose e male altre, ecco ho un immagine sfocata di Logan che scopa con me in un armadio, come una porca. - No, penso, devo averlo sognato. - Di ora in ora il sogno si arricchisce di particolari. Poi Logan mi manda un messaggio che il mercoledì prossimo non può e che la lezione è rimandata a giovedì della settimana successiva. Cioè ieri... "
Improvvisamente il cellulare di Tommy vibra. È un sms.
"La signora Garciaaa... uhhhmmm questa si che è una bella sorpresa..."
Quando rifacciamo a casa tua?
Quando vuoi, però da me si fa sempre al naturale, ricordatelo
Lo sai che ormai lo preferisco. Dove sei?
IKEA, Porta di Roma
Il cellulare squilla:
-Ma dai, sul serio sei qui anche tu? Io sto parcheggiando adesso.
-Davvero? Sei da sola?
-Certo. Tu dove sei esattamente?
-Al bar, sto prendendo un the.
-Dammi qualche minuto e arrivo.
"Che combinazione, anche lei qui. La bellissima Signora Garzia. Esco dall'ascensore e me la vedo in sala d'aspetto, davanti al mio ufficio, due giorni dopo che ero stato a letto con la Dionisi..
Il dottor Triaschi?
Si sono io.
Mi manda la Dottoressa Dionisi per un rimborso fiscale.
Mi spiega velocemente. Si tratta di una minchiata, chissà perché l'hanno mandata da me invece di sbrigarsela loro, comunque non ha portato la documentazione e mi chiede di passare a casa sua nel pomeriggio. È una cliente molto in grana, non si può scontentare, però quella è una giornata campale, mi libero solo verso le 19, poi il traffico, insomma, arrivo da lei tardissimo, quasi all'ora di cena. Mi apre con un coltellaccio da cucina in mano.
Venga, ho tutto lì in salone.
Mi lascia un attimo e ricompare quasi subito che io avevo appena aperto le carte.
Vuol rimanere a cena?
Io... veramente... non vorrei disturbare...
Non disturba per niente, sono sola, e lei, ho saputo, è entrato da qualche giorno nel nostro club.
Prego?
Il club dei divorziati.
La seguo in cucina come un'automa. È bellissima. Sta affettando dei vegetali.
-Anche lei è ...
-Si, mio marito se ne andato, è tornato in Venezuela, mi ha lasciato la casa, i figli e un ricco assegno, per fortuna, non posso lamentarmi... me lo ha detto la Dionisi...
Mi guarda, poi riprende ad affettare.
-Come se la cava, ha un appartamento?
-Si, certamente, ho affittato un appartamento... va benone, direi che pensavo peggio. Io purtroppo sono un tipo casalingo, abitudinario, mi piace la famiglia così soffro un po' per via che non posso più stare nella mia casa, con le mie cose, i miei figli, le mie abitudini e mia moglie anche, perché sono sempre innamorato di lei, non siamo separati perché l'ho voluto io, sa, e poi, almeno a letto la notte faceva calore...
-Non mi si deprima, per favore...
-No, no assolutamente, voglio dire sono un tipo abitudinario, questo si, ma so che cambiare fa bene, sì! Anche se è stressante, alla fine è una cosa molto positiva, cambiare casa, orari, abitudini...
-Ogni genere di abitudini?
Mi fissa negli occhi con un'espressione equivoca, è un momento in cui ha preso in mano una zucchina di proporzioni mega, la rotea nell'aria e la sbatte sul tagliere.
Non passa mezzora che sono sul suo letto con le mani e i piedi legati agli angoli della testiera in ferro battuto. Ho accettato di fare questo gioco erotico, scambiandoci i posti. Con la mia fortuna, tirando a sorte, è toccato a me di essere legato per primo, abbiamo stabilito 45 minuti a testa, per ora sono io a stare nudo come un verme sul letto legato, e poi toccherà a lei.
È divertente, piacevole, insomma fila tutto liscio fino a che apre un enorme cassetto dell'armadio che contiene una quantità preoccupante di "sexy toys". Mi prende paura, poi penso che se me l'ha mandata la Dionisi evidentemente ci si può fidare. E non mi sbaglio.
Eccola che arriva, credo che sia la donna più bella che mai mi abbia rivolto la parola."
Non passa certo inosservata, la Sig. ra Garcia, che poi di sudamericano non ha niente, tranne l'ex marito, mentre lei è nata a Cuneo e per la verità non sembrerebbe neanche di Cuneo, alta e bellissima com'è, con i suoi occhi verdi. Fa la gimcana tra i tavoli con quelle gambe lunghe, coperte da una calzamaglia blu e una minimissimagonna viola. Pochi istanti prima di sedersi arriva il flusso d'aria che si muove davanti a lei, saturo di profumo.
-Ciao
-Sei bellissima.
-Grazie
-Grazie a te, stavo qui da solo, pover'uomo abbandonato dalla famiglia, poi arrivi, sei un angelo o un demonio? Ancora non l'ho capito bene.
-È tutta colpa del servizietto che ti ho fatto la sera che ci siamo incontrati, a casa mia... non ne abbiamo mai più parlato, però mi sembrava che ti fosse piaciuto...
-Perché? Non avrebbe dovuto?
-Beh non so, non tutti i maschietti...
-Ma con chi ti credi di aver a che fare, con un eremita, un monaco di clausura?
-Vuoi dire che già avevi...?
-È indipendente, io non sono un frustrato, sessualmente frustrato, e poi anche te non mi sembra che ti siano dispiaciute le sevizie che ti ho fatto.
-Si però ti potevi risparmiare di farmela addosso.
-Invece è una cosa naturale, del resto avresti potuto farlo anche tu.
-Non mi conveniva, ero per prima, poi certamente tu avresti fatto di peggio.
-Quindi ci avevi pensato.
-Certo, è una cosa molto libidinosa.
-Ok basta se no ti salto addosso.
-Che facciamo allora di naturale a casa tua la prossima volta?
-Non diremo il rosario, questo è certo.
-Quindi?
-Non so, improvviserò. Prendi qualcosa al bar?
-No, amore, non ho tempo. Che ci sei venuto a fare ad IKEA?
-Mi manca un servizio di piatti e bicchieri. Devo completare le forniture della mia casa da divorziato. E tu?
-Dei componenti per la cucina. Senti, tesoro, non posso accompagnarti, vorrei tanto aiutarti a scegliere, ma non ho tempo.
-Non preoccuparti.
Allungo la mano per salutarla, lei si alza, sarà un metro e ottanta, più i tacchi, si piega in avanti, mi afferra per la nuca con una mano e mi da un bacio, con la bocca spalancata, le labbra umide, la saliva profumata. Forse mi da un veleno perché mi sento piacevolmente paralizzato. Poi si stacca, sempre tenendomi saldo per la nuca, spinge la sua fronte sulla mia e mi sussurra.
-Ho idea che con te si andrà per le lunghe.
-Credo anch'io. - Sussurro a mia volta con la voce tremolante, e la vedo scomparire nel flusso di clienti"
La gente intorno a loro, tutte famiglie con bambini, sono atterriti, scandalizzati da quel bacio lascivo. Tommy si alza, disciplinatamente pulisce il tavolo, riporta il bicchiere sul bancone e butta le carte nell'apposito trash. Ci sono molti bambini che lo guardano, bisogna dare l'esempio.
Poi si dilegua. Al piano terra dovrebbe trovare il servizio di piatti. In bocca ha ancora il sapore del dolcetto misto al sapore della Garcia. Ripercorre gli avvenimenti più recenti. La serata a casa della sua bellissima cliente divorziata è stata certamente fortissima, ma il pomeriggio di ieri non ha eguali. L'appuntamento per lezione di inglese era alle 14, 30. Logan arriva puntuale. Entra in casa si siede sul divano che sta appena di lato all'entrata del bilocale che Tommy ha preso in affitto. Ci sprofonda dentro, non è un divano di gran marca. Nonostante siamo quasi a Natale, ha una gonna corta, con le gambe scoperte, senza calze, e un paio di scarpe tipo da ballerina. Sprofondata nel divano è uno schianto, con quelle cosce bianche e grassottelle.
Si guardano un attimo imbarazzati.
- Voglio subito mettere in chiaro - dice la donna - che quello che è successo sere fa, in quell'armadio, non ha niente a che vedere con il nostro impegno professionale, per il quale sono qui oggi e che non si ripeterà più, almeno durante le ore di lezione.-
"Non sembra molto convincente! - mi viene subito da pensare. - Sprofondo nel divano a fianco a lei, l'abbraccio, la bacio e le metto una mano in mezzo alle cosce... e via così. Lei si stacca un attimo: -All right, all right, but please, speak english and, attention, my lesson will not be ceeper cause the sex...- Logan è una che le piace, una che si lascia andare, una vera porca, ma troppo frenetica. Prima si fa scopare nella classica posizione lei sotto e io sopra, poi si mette un cuscino sotto il sedere, tira completamente a se le cosce e lo vuole dietro, poi mi chiede se ho qualcosa da infilarle nella vagina, per fortuna c'è una torcia elettrica sul comodino, ci metto su un preservativo e gliela infilo, contemporaneamente vuole essere toccata, tutto in inglese, assolutamente, una lezione d'inglese perfetta, molto pratica, cioè ad argomento dedicato. Invece dell'ambiente tipo the kichen, the Zoo, the town, the farm, con tutti i vocaboli da imparare, la lezione di ieri si svolgeva "in the bedroom, making sex"... con i vocaboli correlati. È un sistema di insegnamento grazie al quale le lezioni non risultano mai noiose. Non sono però riuscito a capire tutto, in particolare verso la fine, durante il suo prolungato orgasmo. Erano frasi in slang o vocalizi godimentosi? Oppure delle frasi sconce e irripetibili? Non so, non si capiva, certo non erano urla o mugolii o sospironi, ma abbozzi di parole, frasi sconnesse, non ci si capiva niente e comunque ero occupatissimo a trombarla, ad infilarle la torcia elettrica e a strofinarle il clitoride... non si può fare sesso così diventa troppo stressante. Andandosene via, Logan mi promette che continueremo una volta a settimana, regolarmente. Il programma non mi dispiace, ma bisognerà cambiare registro. Sono le 18, 39. Mentre mi guardo in faccia allo specchio del bagno, spaventandomi per come sono sconvolto, suona il citofono. È Francy, con le bimbe che mi fanno una sorpresa. Oh porca vacca. La casa è tutta per aria, comunque per fortuna è piccolissima e sono al quinto piano, faccio in tempo a sistemare alla meglio, bussano alla porta e invadono il mio territorio, come il solito, senza nessun ritegno e senza nessun rispetto della privacy. Erano parecchi giorni che non mi succedeva questa cosa e un po' mi mancava. Non faccio in tempo ad abbracciarle, a guardare in faccia Francy e a sistemare da qualche parte il ficus benjamin che mi ha portato in regalo, che squilla di nuovo il citofono... - uhmmm questi piatti grigi dovrebbero andare bene, però sono tanti, non ce la farò mai a portarli fino alle casse, cavolo devo tornare indietro a prendere un carrello... -
Insomma dicevo, improvvisamente suona il citofono
- Deve essere la zia Serena. - Mi fa mia moglie - È venuta a prendere le bimbe. Le porta con i cuginetti ad una festa di compleanno.
Un attimo dopo siamo soli. La guardo. È mia moglie, è bella, mi piace, sono sempre innamorato di lei, devo sentirmi in colpa? Niente affatto, è lei che mi ha cacciato.
- Come ti trovi qui?
- Bene, si, è giusto un bilocale, ma va bene.
- È dura star soli?
- Durissima!
Ti prego, non farmi sentire in colpa...
E allora tu non farmele queste domande.
... guarda che è dura anche per me, ma è una decisione importante, non l'ho presa a cuor leggero, credimi e soprattutto non ti ho mandato via da casa perché non ti amo più, tu sei il padre delle mie bambine, sei mio marito e lo sarai sempre.
- Preferivo a questo punto essere solo il tuo amante
- Puoi esserlo quando vuoi, non ti ho cacciato dal mio letto.
- Quindi vuoi che continui a svolgere il mio ruolo di padre e marito, mi ami, ti va di continuare a fare sesso insieme a me, però mi hai cacciato da casa. Come me lo devo spiegare?
- No, per favore basta, ne abbiamo già parlato e riparlato. È una questione personale, voglio la mia autonomia. In tutto. Nelle decisioni importanti come in quelle di tutti i giorni. Stando insieme si fanno le cose insieme e quasi mai riesco a soddisfare completamente i miei propositi. Dopo tanti anni diventa frustrante e io non voglio che il nostro amore debba provocarmi frustrazione. Mi capisci?
- Si, si... però perché devo essere io a lasciare la casa? Non per generalizzare, ma tocca sempre ai mariti di andare via e di ritornare a fare la vita da single. Non è giusto. Uno si è sposato proprio perché si era rotto di essere single. O no? Ti fai una famiglia, metti su casa, fai dei figli, capisci? Non si tratta di un incidente di percorso, almeno per me. Mia moglie, la mia casa, i miei figli, li ho voluti, fanno parte della mia vita, sono delle mie scelte, poi tu decidi che vuoi l'autonomia e io devo ritornare a fare il single. Dovresti essere tu a vivere qui, io invece dovrei stare a casa mia con le mie bambine.
- Questo è as-so-lu-ta-men-te impossibile! - Dice avvicinandosi come un felino e salendomi addosso sul divano. Ahh mia moglie, il suo odore, mi si strofina addosso, si mette a cavallo, si sfila maglione e camicetta, non ha il reggiseno, naturalmente. Ahh le mie sise preferite, gliele schiaccio e strizzo subito, lei si stende su di me, posso affondare le labbra alla base del collo, sui lati, mi piace da impazzire. Risento il sapore della sua pelle. Posso accarezzarle le spalle, le ascelle, giù fino al rilievo dei glutei. Francy scende giù dal divano il tempo necessario per togliersi i jeans e le mutandine, poi risale e posso continuare con i glutei, che meraviglia. Fa tutto lei. Io sotto e lei sopra. Gode quasi subito e si abbandona spiaccicandosi su di me come se fossi un comodo materasso. Io non sono venuto, e sarebbe strano il contrario, neanche mezzora prima stavo in trincea con Logan e nei giorni scorsi, la Garzia non ha mancato di farmi visita almeno tre volte entusiasta di fare l'amore in modo naturale, cosa che sembra non facesse più da anni e ci credo che il marito è scappato in Venezuela! Devo dire che giusto perchè ho Francy su di me così bella e nuda, altrimenti non credo proprio che sarei ancora così eccitato dentro di lei. Vuole assolutamente che vengo anch'io, andiamo sul letto, si mette prona e la sbatto per bene e a lungo, mi chiede se voglio il culo, e io dico si, tanto sono in serie positiva da due settimane, e lì è troppo eccitante, entro, non si può resistere alla libidine, spingo due, tre, quattro volte e alla quinta crollo, esplodo, me ne vengo come se fossi in astinenza da un mese, serenamente. Sono felice. Fare l'amore con Francy è come ritornare in patria dopo anni di esilio, è rivedere i luoghi dove sei cresciuto, ascoltare le persone che parlano la tua lingua madre, ritrovare gli odori e i sapori di casa. Ok vado alle casse veloci."
Tommy passa la carta di credito, imbusta la serie di piatti e si avvia verso gli ascensori che portano nel parcheggio. Qualcosa sta cambiando intorno a lui, sembra tutto sfumato, come se ci fosse una nebbiolina che confonde gli oggetti e le persone e che attutisce i suoni. Le porte di uno dei grandi ascensori si aprono e una scena curiosa compare davanti ai suoi occhi, a prima vista sembra l'ultima cena, quella di Leonardo, anche se in realtà, non c'entra niente. Nell'ascensore ci sono una serie di personaggi tutti come aggrovigliati tra di loro, riesce a distinguere bene un ciccione sdraiato a terra con la camicia sporca di sangue un ragazzo che sorregge un vecchio così pallido che sembra un cadavere, una ragazza in mutande e reggiseno un'altra con addosso solo una camicia che non riesce neanche a coprile metà del culo, e non ha le mutande, un'altra donna magra in jeans e maglietta, un colosso alto almeno due metri e grosso come un toro. Questi lo guardano. Dal gruppo si stacca un uomo in mutande, che prima non aveva notato, che lo fissa e gli fa:
Il dottor Triaschi?
Tommy si guarda intorno. La gente sembra non accorgersi di nulla.
Si! - Gli risponde.
Ci hanno detto che devi aiutarci a tornare a casa, hai un furgoncino o cosa?
Ho una monovolume con sette posti.
Perfetto, ci stringiamo.
Fine prima parte
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