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La rosa blu... messaggi dal cielo
CAPITOLO UNO
Doriana percorreva da circa tre ore l'autostrada che, contrariamente al solito, in quel fine settimana era scorrevole. Non superava i limiti di velocità perché era scrupolosa ed attenta ma soprattutto perché era la prima volta che si avventurava da sola in macchina intraprendendo un viaggio così lungo.
Non amava guidare: stare in mezzo al traffico, in coda, ferma ai semafori, la irritava. La maleducazione della gente, i parcheggi inesistenti, lo stress, la tensione, la paura di subire o provocare incidenti. Preferiva di gran lunga andare a piedi, se il tragitto era breve, o fare una salutare pedalata sulla sua bicicletta. Se doveva recarsi un po' più lontano, si serviva dei mezzi pubblici oppure scroccava un passaggio ad amici e conoscenti. Ma la decisione improvvisa di prendere a noleggio un'auto e partire, le era venuta la notte precedente, quando svegliandosi da uno strano e bellissimo sogno, aveva percepito un'urgenza. Doveva raggiungere un luogo, una persona. Qualcuno da tanto l'aspettava e stavolta era giunto il momento di raggiungerlo, di incontrarlo. Aveva già fatto passare troppo tempo.
La strada si snodava noiosa e sempre uguale. La ragazza cominciava ad avvertire una certa stanchezza. Decise che alla prossima area di servizio si sarebbe fermata. Ancora una decina di chilometri e ci sarebbe stato un'autogrill. Avrebbe mangiato qualcosa, usufruito della toilette, fatto rifornimento e nello stesso tempo si sarebbe un po' riposata e sgranchita le gambe.
Seduta sullo scomodo sgabello vicino al bancone del bar, davanti ad un caffè ormai freddo ed un panino lasciato a metà, Doriana ripensava a ciò che aveva sognato la notte appena trascorsa.
Il ragazzo che da anni non vedeva, che quasi non ricordava più, di cui non rammentava neanche il colore degli occhi, i lineamenti del viso, la voce, le era apparso in sogno. Non evanescente ma reale, quasi palpabile, i suoi capelli chiari, gli occhi neri come abissi profondi, il tono della voce roca e sensuale. Però, sulle sue ciglia, brillavano delle lacrime incastonate come cristalli fra le palpebre
socchiuse. Quando parlò, la voce dolce quasi implorante, emise soltanto due parole: "Ti aspetto!"
Doriana preferiva non prendere alla lettera questa frase, poteva voler significare, infatti, che lui desiderava che lei lo raggiungesse, non dove adesso si trovava, ma nei luoghi in cui il loro amore era nato, cresciuto e finito.
CAPITOLO DUE
Era un'estate di fine anni Novanta. Il Duemila era alle porte e con esso tutta una serie di aspettative, di sogni, di illusioni e progetti. Doriana aveva appena finito la sua supplenza presso una scuola d'infanzia e si apprestava a godersi il meritato riposo. Aveva prenotato una settimana nella città eterna, prima di trascorrere il resto delle vacanze al mare. Roma l'aveva sempre affascinata, ma, per strane coincidenze, non aveva mai avuto l'occasione per visitarla. Era stata a Londra, Parigi, persino New York, ma a Roma no; solo per il fatto di averla così vicina ( tanto è dietro l'angolo e sei sempre in tempo ad andarci), che quel tempo non lo trovava mai.
I suoi genitori l'aiutavano economicamente, data la sua situazione di precarietà; del resto era la sola figlia che avevano ed essendo anziani stravedevano per lei e l'accontentavano in molte delle sue richieste.
Il treno che aveva preso da Firenze, sua città natale e nella quale trascorreva la sua vita, finalmente arrivò a destinazione. Lo speaker, con la voce metallica, annunciò il nome della città e della stazione: Roma Termini.
Appena scesa dal vagone, Doriana raggiunse l'uscita ed andò alla ricerca di un tassì che la portasse all'hotel, dove avrebbe alloggiato per sette giorni.
La ragazza, aveva un viso molto dolce con lineamenti delicati, gli occhi color cioccolata, caldi e vellutati, le conferivano uno sguardo tenero che le dava un'aria sperduta, come un cucciolo in cerca d'affetto; ma la ragazza tutt'altro che fragile ed indifesa, sapeva farsi valere e affrontare di petto le situazioni difficili della vita. I lunghi capelli castani le incorniciavano deliziosamente il volto con onde morbide. Era un po'magra, come le diceva sempre la madre, e non molto alta. Il suo abbigliamento casual era alla moda, ma comodo e pratico. Non amava agghindarsi come una bambola; adorava i particolari: un orecchino, una borsa, una cintura, un fiore fra i capelli. Per il resto jeans e felpe o t-shirt invadevano l'armadio e i cassetti della sua camera da letto. Le immancabili scarpe da ginnastica e stivali di ogni foggia e colore stavano in bella mostra negli scaffali della sua libreria al posto dei volumi, dato che non amava molto leggere e soprattutto studiare. Infatti, quel "piccolo" diploma da maestra le era servito a trovare qualche lavoretto, ma non sperava certo di andare più in là di qualche sporadica supplenza.
Il tassista la portò all'indirizzo che gli aveva dato e, dopo aver pagato, una somma che le parve esorbitante, si diresse all'albergo che aveva prenotato. Alla reception l'attendeva un ragazzo di circa trent'anni, con la sua divisa da portiere, gli occhi stanchi e annoiati, l'aria triste, i capelli, un po' spettinati di un caldo color del miele.
I loro occhi si incontrarono e furono più eloquenti di mille parole. L'attrazione fisica, l'alchimia che si istaura fra due persone appena conosciute ha qualcosa di magico e di irrazionale, ma accade, e fra i due ragazzi era scattata all'improvviso qualcosa che li portò ad interessarsi subito l'uno dell'altra.
CAPITOLO TRE
Furono giornate intense, dopo quel loro primo incontro i due giovani si vedevano spesso. Doriana con la scusa che non conosceva Roma e aveva bisogno di una guida, aveva chiesto a Luigi, (questo il nome del ragazzo), di farle da "cicerone", quando sarebbe stato libero dagli impegni di lavoro, e lui aveva accolto di buon grado la proposta, non chiedendo in cambio nulla ma accontentandosi di esserle utile e di godere della compagnia di una bella ragazza.
Il loro rapporto si era poi evoluto e da una semplice attrazione era diventato qualcosa di più profondo.
La prima volta che fecero l'amore, in camera di lei, fu un'esperienza dolce e violenta insieme. Entrambi avevano bisogno l'una dell'altro per annullarsi e ritrovarsi, avevano personalità difficili e
contrastanti e trovavano nel sesso e nel piacere che ne derivava motivazioni per rendere la loro esistenza più sopportabile. Ma non era soltanto attrazione fisica. Nei loro silenzi, con i quali comunicavano più che con le parole, nel loro cercarsi, negli sguardi, c'era qualcosa che assomigliava molto ad un sentimento vero; troppo presto per dire amicizia, troppo impegnativo chiamarlo amore, ma su quelle basi si poteva pensare di costruire qualcosa di concreto.
La settimana di vacanza era oramai giunta al termine. Doriana doveva ripartire. Aveva prenotato due settimane ai Carabi con la sua migliore amica. L'attendevano giornate ricche di sole, mare, spiagge dove sdraiarsi fino a farsi bruciare la pelle e notti piene di mondanità, di incontri, di divertimento, ma l'interesse per questa vacanza tanto agognata era svanito. Adesso la sua meta ideale era Roma perché essa significava Luigi, egli era diventato il suo sole che le bruciava la pelle, il suo mare che rendeva fresche e agitate le sue giornate, la sua mondanità, il suo divertimento, il suo migliore incontro. Doriana prese la decisione di rimanere nella città eterna, eternamente.
CAPITOLO QUATTRO
Era quasi l'alba. Tornavano da una stremante serata in discoteca. Luigi l'aveva portata in sella ad una moto potentissima dicendole che gli era stata prestata da un amico.
Erano un po' brilli, le orecchie fischiavano per la musica, che nel locale era sparata ad un volume esagerato. Si erano scatenati ballando senza sosta. Doriana aveva maturato la decisione di rimanere a Roma con Luigi. I genitori non l'avevano presa di buon grado, ma del resto la ragazza era maggiorenne, non aveva un lavoro e al suo paese non lasciava nulla di importante, tranne che qualche amica e i genitori stessi. Poteva trovare di meglio in una grande città e poi aveva accanto un uomo di cui si fidava, che credeva di conoscere, malgrado il poco tempo in cui si erano frequentati, perché lei sosteneva che, per conoscere la vera essenza di una persona, basta guardare nei suoi occhi, per poter leggere nel suo cuore. Così credeva Doriana, e in modo altrettanto fiducioso aveva descritto il ragazzo ai suoi, tranquillizzandoli che, in ogni caso, sapeva badare a se stessa.
Lungo la strada che portava alla casa dove Luigi abitava e dove adesso anche Doriana si era stabilita, tenue luci rischiaravano in lontananza un piccolo cimitero: sembravano decorazioni natalizie, ma non avevano la stessa magia. Erano passati spesso da lì rincasando, a volte con la 600 sgangherata del ragazzo o accompagnati da qualche coppia di amici occasionali. La giovane donna provava sempre un senso di rispetto ma anche d'angoscia quando le capitava di dover percorrere quel tratto di strada. Quei lumini, di notte, le facevano impressione; al contrario del giorno, quando invece quel piccolo luogo sacro le infondeva un senso di pace.
All'improvviso, la moto sulla quale viaggiavano ebbe un'impennata. Doriana gridò spaventata; sembrava che il ragazzo avesse perso il controllo del mezzo. Fortunatamente, in quel momento, nessuna macchina stava transitando.
Con un ruggito e poi con un rumore simile ad un lamento, la moto si spense: luci, motore, era come se fosse spirata.
I giovani, spaventati, scesero guardandosi attorno e l'uno con l'altra. Doriana chiese cosa fosse successo; il ragazzo non parlò. I suoi occhi erano enormi e stralunati; il terrore che lasciavano intuire sembrava esagerato all'amica. Era vero che si erano presi un bello spavento, ma era andato tutto bene: forse la moto era rimasta senza benzina o aveva avuto un guasto.
"Ho fatto benzina stamani e controllato che non ci fossero problemi; non dipende da alcun guasto o dalla mancanza di carburante" Sembrava che il giovane le avesse letto nel pensiero e rispondesse alla sua domanda non espressa.
Esortando Doriana a rimettersi in sella per ripartire, cercò di avviare il motore, ma la moto non voleva saperne; provò e riprovò. Alla fine decisero di spingere il mezzo lungo la strada, accostandosi il più possibile al ciglio per evitare che eventuali veicoli, potessero investirli a causa della scarsa visibilità. Appena si furono allontanati dalla zona dov'era il camposanto, la moto riprese vita: si accesero i fanali, il motore ruggì. Luigi allora salì in sella al bolide resuscitato e, invitando sollecitamente la ragazza a fare altrettanto, si diede quasi alla fuga insieme alla sua compagna, accelerando la corsa come se in quel tratto di strada forze malefiche potessero impedire loro di fare ritorno a casa.
CAPITOLO CINQUE
La moto era appartenuta ad un amico di Luigi che era deceduto l'anno precedente. I due erano a bordo del mezzo, quando Marco, questo il nome del ragazzo, aveva avuto un malore improvviso ed era andato a sbattere contro un albero, al ritorno da una nottata in un locale dove avevano bevuto e fatto anche uso di sostanze stupefacenti. Luigi stesso aveva invitato l'amico a sniffare della cocaina, anche perché lui da un po' di tempo arrotondava il suo scarso stipendio con quest'illecita e riprovevole attività. Marco non vi era abituato; ogni tanto qualche spinello ma niente di più. La causa dell'incidente era stata anche questa: guida in stato d'ebbrezza e sotto uso di droga. Luigi era rimasto illeso, ma l'amico aveva riportato gravi danni cerebrali, soprattutto per la mancanza del casco. Luigi non se l'era mai perdonato, si sentiva in colpa, era stato lui a fargli prendere la cocaina, a farlo bere, a volere a tutti i costi cambiare locale e fargli percorrere in quelle condizioni un tratto di strada pericoloso.
Non riusciva a perdonarselo. La moto era rimasta danneggiata in modo non grave; i genitori di Marco non avevano voluto neanche vederla e così l'aveva tenuta lui.
Quella sera con Doriana aveva deciso per la prima volta di usarla; l'aveva fatta sistemare, era sicuro che fosse a posto.
Marco era stato sepolto nel piccolo cimitero di periferia, quello che si trovava lungo la strada che portava all'abitazione di Luigi...
Forse era stata una coincidenza, o lui si era fatto condizionare dal rimorso e dai ricordi, ma la moto in quel tratto di strada non aveva risposto ai comandi, si era spenta all'improvviso.
Quella notte avrebbe riprovato, sarebbe passato di là, voleva vedere se l'episodio si fosse ripetuto.
La mattina successiva, il giornale locale riportava la seguente notizia: " Giovane si schianta all'alba con la sua moto contro il cancello di un piccolo cimitero nella zona della periferia della città: "
CAPITOLO SEI
Doriana scese dalla sua vettura dopo averla parcheggiata davanti al cancello del camposanto. Quel luogo era rimasto così, come se lo ricordava; solo qualche lapide in più a testimoniare che la morte non va mai in ferie, lavora sempre, senza sosta.. Nel sogno Luigi le aveva chiesto di portargli qualcosa: una rosa blu. La rosa era sempre stato il loro fiore preferito, il ragazzo, nei pochi mesi trascorsi insieme, spesso la omaggiava di questo dono; il blu era il colore del cielo, il colore che egli amava. La ragazza si era ripromessa di andare a trovare anche Marco: il cimitero era piccolo, non sarebbe stato difficile trovarlo, si era informata sul suo nome completo. Avrebbe portato anche a lui un omaggio floreale. Ma la rosa blu non è facile da trovare, non era riuscita nel suo intento e allora aveva optato per una gemella di colore rosso, come l'amore: quell'amore che era rimasto incompiuto.
Si diresse oltre il cancello, dove il suo ragazzo aveva trovato la morte, recitando mentalmente una preghiera; poi s'incamminò lungo il viale disseminato di croci bianche, crisantemi e fiori di ogni varietà.
Come sempre un senso di pace ma anche di attesa la pervase.
Dopo un breve percorso trovò la piccola lapide bianca, spoglia, quasi affossata nella terra, che sembrava risucchiarla. Fiori finti, una falsità, fiori senza vita, come tutto in quel luogo. L'odore delle piante in decomposizione, delle corolle recise e marcite come le spoglie di coloro che si trovavano lì, nella nuda e fredda terra: la loro vita era stata recisa come i gambi dei fiori. Stesso destino; destinati ad imputridire insieme, ma Doriana stringeva fra le dita la sua rosa, certa che non sarebbe appassita, sarebbe rimasta intatta lì, a testimonianza che un amore non muore, si assopisce, ma poi si risveglia più forte che mai. Basta poco: un sogno, dei ricordi...
Il vaso era quasi vuoto; la ragazza tentò di deporre al suo interno il suo omaggio floreale, ma non vi riuscì;sembrava che il contenitore ponesse resistenza. Cercò invano di introdurre il fiore dolcemente, poi con più forza, ma la rosa abbassò la "testa" e i petali si staccarono, spargendosi sul marmo bianco come pioggia scarlatta per poi volare spazzati via da un improvviso, forte, colpo di vento. Anche il gambo alla fine cedette e si spezzò. La giovane donna non riusciva a spiegarsi il perché di quanto era successo; era rimasta immobile ad osservare la sua rosa che le si sfaldava fra le dita.
Con la coda dell'occhio le parve di scorgere un movimento; si girò e vide una ragazza che a passo svelto percorreva un sentiero, diretta probabilmente verso una tomba. Non lo notò subito, ma guardando le sue mani, si accorse che recava una rosa blu. Allora si mosse e cercò di raggiungerla per chiederle dove l'avesse acquistata, ma la giovane nel frattempo era scomparsa.
CAPITOLO SETTE
Doriana allora capì che Luigi aveva rifiutato il suo fiore, le aveva espressamente chiesto una rosa blu ed era quella che avrebbe accettato, la visione della donna era stata un messaggio.
Uscendo da quel luogo sacro e macabro allo stesso tempo, percorse una piccola strada in salita; ricordava che nei pressi c'era un piccolo negozio di fiori. Dopo qualche metro, infatti, vide l'insegna del fiorista ed entrò, in cerca del fiore ceruleo.
La proprietaria, che aveva un'età indefinita, l'accolse con un sorriso affettato e le chiese cosa desiderasse. Doriana le fece la sua richiesta temendo di ricevere una risposta negativa. La fioraia, invece, pur scusandosi di non poterla accontentare, ebbe un'idea: sparendo dietro una tenda di stoffa, riapparve poi tenendo in mano un bocciolo di colore bianco. La ragazza la guardò con le lacrime agli occhi, dicendole che non voleva un fiore d'altro colore che non fosse blu. Allora la donna, sorprendendola, prese una bomboletta spray e dipinse la corolla di un bell'azzurro scuro "Ecco!" disse, "Abbiamo risolto il problema! Adesso ha la sua rosa blu!"
Ringraziandola, la giovane uscì dal negozio quasi correndo e tornò nel luogo del riposo eterno.
Il fiore fu messo nel vaso e sembrò quasi scivolasse all'interno, nel momento in cui fu deposto, la corolla si schiuse ed i petali colorati si aprirono come due labbra che si dischiudono al sorriso.
Doriana non riusciva a trattenere le lacrime; il suo amore di un tempo aveva accettato il dono, l'aveva perdonata per non averlo perdonato d'averla lasciata in quel modo crudele, buttando la sua vita, distruggendone un'altra; l'aveva perdonata di averlo quasi dimenticato; voleva che quella rosa fosse il sigillo di quel perdono.
La ragazza lasciò quel luogo a testa bassa; doveva andare. Ritornò alla sua auto e si accomodò all'interno. Accese la radio per tirarsi su e per distrarsi, quando vide, sul sedile accanto al suo, qualcosa di rosso; girò lo sguardo e notò che c'era una rosa rossa. La stessa che lei aveva portato a Luigi e che le si era sfaldata fra le mani. Il ragazzo gliel'aveva restituita. Pensò allora di portarla a Marco, forse era questo il messaggio da decifrare. Le note di una splendida canzone risuonarono nell'abitacolo: " Cogli la mia rosa d'amore," cantava il suo cantautore preferito: Rino Gaetano. Doriana scese dall'auto e con la rosa rossa si incamminò nuovamente verso il cimitero.
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