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Domenica Pomeriggio
Guardai fuori dalla finestra. Era una giornata di fine marzo con un bel sole splendente e la neve sulle cime delle montagne si stava sciogliendo. Ero rimasta a casa da sola, sola con i miei pensieri. I miei genitori erano partiti per un fine settimana a Parigi e io ne avevo approfittato per passare il sabato con i miei amici, ma quella domenica non potevo sfuggire ai compiti che dovevo svolgere per il giorno dopo. Avevo già fatto la versione di latino, finito gli esercizi di matematica e studiato le pagine di storia, però mi rimaneva ancora un compito. Dovevo scrivere un tema su qualcuno che mi avesse fatto capire qualcosa di importante. Non mi venne in mente niente. Abbassai lo sguardo sulla pagina vuota. Quell'immenso foglio bianco mi metteva paura. La mente vagava ovunque, pensai alla primavera appena iniziata, a dove sarei andata quell'estate, alle pagelle del secondo quadrimestre... e a quel punto, l'orrendo pensiero del tema tornò a galla. Buio totale.
L'ora successiva la passai a sfogliare il mio diario di quando ero bambina alla ricerca di qualcosa che mi potesse essere utile per il tema, ma finivo sempre per commuovermi di fronte ai pensieri avuti durante l'infanzia. Terminato di leggere il diario, accesi la TV. Stava per iniziare il mio programma preferito.
Mezz'ora dopo, spensi l'elettrodomestico, mi accasciai sul divano e cominciai a esaminarmi le unghie, cercando di non pensare. Ma la pagine vuota del mio quaderno d'italiano mi guardava minacciosamente dal tavolo. Mi venne la nausea, soprattutto al pensieri che il giorno dopo sarebbe ricominciata la scuola e con essa anche lo stress dovuto allo studio, le interrogazioni, i compiti in classe... avevo bisogno di una boccata d'aria. Magari poi il tema mi sarebbe venuto meglio.
Appena arrivata ai giardini vicino a casa, mi sedetti su una panchina all'ombra di una quercia. Cominciai a sentirmi meglio. L'aria fresca mi scompigliava i capelli e mi liberò la mente. Chiusi gli occhi per godermi di più quel momento, per costringermi a non pensare. Mi concentrai sui rumori che mi circondavano; il rombo delle macchine sulla strada, le voci delle mamme che discutevano di pappe e pannolini e sulle urla dei bambini che giocavano contenti.
"Basta!" gridò a un certo punto una femminile voce snob. Quella voce mi riportò alla realtà, facendomi cadere dalla nuvole con un terribile tonfo. "Ti ho detto di no, non ho niente da mangiare per te. Adesso vai e non farti più vedere!" La donna che aveva appena pronunciato quelle parole puntava l'indice fresco di manicure contro un bambino che non doveva avere più di una decina d'anni. Lui, avvilito, abbassò lo sguardo triste e spento a terra e si allontanò dalla donna.
Era mal vestito e piuttosto sporco. Indossava una larga camicia di flanella di almeno due taglie più grande. In pantaloni erano infangati e avevano diversi buchi un po' ovunque. Alla vista di quella scena, ebbi un tuffo al cuore. Mi sentii terribilmente egoista a preoccuparmi solo del mio stupido tema, quando invece, c'erano bambini che elemosinavano disperatamente qualcosa da mettere sotto i denti. Sapevo benissimo che esistevano cose del genere al mondo, ma non avevo mai assistito in prima persona ad un simile evento. Mi alzai istintivamente e, avvicinandomi al bambino, gli dissi: "Scusa, non volevo origliare ma ti ho sentito parlare con quella signora e..."
"Allora?" chiese lui senza imbarazzo "ormai ci sono abituato" fece per andarsene, ma lo bloccai di nuovo e gli chiesi: "Senti, io ho fame. Non è che avresti voglia di fare merenda con me? Sono da sola e un po' di compagnia mi farebbe piacere"
"Dici sul serio?" gli occhi limpidi e malinconici del bambino fissavano i miei, speranzosi. Gli sorrisi e feci cenno di sì con la testa. Lui non si fece pregare.
Tornata a casa, mi sedetti di nuovo per concentrarmi sul tema. Ma mi sentivo diversa. Avevo aiutato un bambino in difficoltà. Cominciai a rendermi conto di quanto fosse importante aiutare gli altri, seppur in piccolo. Certo, ne ero sempre stata consapevole, ma in quel pomeriggio di domenica lo avevo capito più che mai. La cosa più bella era stata vedere il volto di quel bambino illuminarsi, alla vista di un bel panino ripieno e, nel vederlo mangiare, anch'io mi ero sentita felice come non mi succedeva da tempo. Impugnai la penna e cominciai a inserire parole su parole tra le righe di quel foglio bianco, non più così spaventoso. La penna scorreva libera e fluida mentre i pensieri di quel pomeriggio mi si accavallavano sulla mente. Scrissi tutto quello che sapevo su quel bambino, ma mi concentrai particolarmente sull'espressione dei suoi occhi, dalla quale si poteva capire tutto ciò che pensava. Avevo letto nel suo sguardo impaurito tristezza, ma anche gioia, quando gli avevo offerto la merenda. Lui sì che mi aveva insegnato qualcosa.
Otto fu il voto di quel tema. Non osavo sperarci, anche se ero consapevole di aver fatto un buon lavoro.
Non vidi mai più quel bambino, malgrado tornai a cercarlo diverse volte, ma non lo dimenticai mai.
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