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Il libro muto
- Come va la lettura del libro?
Si irrigidì di colpo, nonostante la domanda non gli giungesse nuova. Era da un po' che lei, subito dopo lo scambio del saluto mattutino, prima di recarsi al lavoro, gli poneva insistentemente quella domanda. Scattò come un campanello d'allarme nella sua testa che lo riportò al momento in cui tutto era cominciato.
-Non va mica bene.
-Perché?
- Sono rimasto bloccato...
- Troppi impegni?
- No, non si tratta di questo.
Nelle sue fantasticherie, non era così che immaginava i loro fugaci incontri.
- Allora è il tempo che non trovi...
-Il tempo si trova, se uno vuole.
-Allora, non vuoi.
Lui aveva detto di averlo iniziato, ma aveva mentito. Per qualche oscuro presentimento non si era ancora deciso ad aprire il libro che lei gli aveva dato circa due settimane prima.
- Ma no... è solo che...
- Oh, scusami devo lasciarti, ho fatto tardi, ma riprenderemo il discorso una volta o l'altra.
- D'accordo, ciao.
Si era trasferita da poco in città e aveva trovato un appartamento libero nel suo stesso condominio. L'aveva incontrata per caso una mattina, uscendo per andare al lavoro, e si erano scambiati uno sguardo rapido ma intenso. Era una donna attraente e di bell'aspetto. I lunghi capelli neri e ricci che le contornavano i bei lineamenti del viso, esaltavano l'espressione dei suoi grandi occhi ammalianti. Gli incontri quasi quotidiani e le cortesie di buon vicinato ben presto si trasformarono in uno scambio più confidenziale, ma non si rinsaldò più di tanto.
Per caso, una sera le loro strade si incrociarono e poiché erano entrambi soli, senza alcun impegno e con poca voglia di rientrare a casa, trascorsero del tempo insieme e parlarono tanto. Veramente fu quasi sempre lei a parlare. Gli parlò del padre, di quanto fosse speciale e perfetto il loro rapporto e di come gli mancasse ancora nonostante fosse deceduto da qualche anno. Con la madre le cose non andavano altrettanto bene, anche se qualche intesa riuscivano a trovarla, di tanto in tanto.
Usava il suo passato come propellente per affrontare il presente, aperta alle possibilità future. Di una cosa era abbastanza sicura: voleva vivere la sua vita per conto suo, contando sulle sue forze e libera di fare le sue scelte, fossero anche sbagliate, ma comunque sue. Attingeva ricordi ed eventi della sua vita come se fossero vivi e presenti in quell'istante. Nulla di quanto aveva vissuto sembrava esserle sfuggito o accaduto per caso. Parlò del suo lavoro, di quanto lo apprezzasse per le opportunità che le offriva e per le soddisfazioni personali che ne ricavava. Il lato più interessante del suo lavoro era che la portava spesso in giro per il mondo e lei adorava viaggiare. Gli raccontò del suo rapporto con gli uomini, non molto esaltante, finora. Poche storie, in realtà, e finite ancor prima di iniziare, forse perché troppo esigente o semplicemente perché non voleva impegnarsi in qualcosa di serio e duraturo, almeno non ancora.
Lui farfugliò qualcosa a proposito della sua vita ma non fu altrettanto prodigo di particolari e di reminiscenze passate come lei avrebbe potuto aspettarsi, sebbene non avesse difficoltà a ricordare eventi della sua vita con altrettanta lucidità e vividezza di immagini.
Entrarono in un pub e si sedettero ad un tavolo piuttosto appartato e intimo, consumando una birra e conversando tra il chiacchiericcio e l'indifferenza delle altre persone nel locale, come loro intente a spendere le proprie esistenze. Avvolti dalla penombra del locale, protetti da sguardi anonimi e indiscreti, i loro discorsi rimbalzavano da parte a parte, come una pallina in un campo da tennis, in attesa di segnare il punto di chiusura, che tuttavia non arrivava mai. Per tutta la notte seguitò quello scambio fitto e intenso di parole, pensieri, sguardi e silenzi carichi di significati ancor più profondi.
I primi raggi del sole si apprestavano a squarciare le tenebre di quella notte magica e interminabile annunciando la nascita di un nuovo giorno. Fu in quella occasione che gli suggerì la lettura di un libro che lei aveva letto tanti anni addietro e che aveva imparato ad amare. Voleva renderlo partecipe di un'esperienza che per lei aveva significato molto, il cui contenuto in qualche modo suggeriva o meglio auspicava che la vita fosse vissuta consapevolmente e pienamente e non semplicemente attraversata e subìta, convinti che gli eventi seguano il loro corso comunque, anche senza un nostro volontario intervento. Lui aveva accettato il consiglio, promettendole di leggerlo. E invece il libro era rimasto sopra il comodino. Ogni sera, al rientro dal lavoro, prima di addormentarsi gli dava un'occhiata, indugiando per un attimo sull'immagine della copertina che mostrava a colori vivaci un ritratto di donna riflessa allo specchio, nell'atto di sfiorarsi i lunghi capelli ricci. Ciò gli riportava alla mente l'immagine di lei. Lo prendeva e delicatamente lo accarezzava, togliendo quel sottile velo di polvere che inevitabilmente col passare dei giorni vi si depositava. Il desiderio di aprirlo e di sfogliarlo, di tuffarsi nella lettura immergendosi corpo e anima tra le righe delle fitte pagine, lo tentava immensamente, tuttavia non si decideva a mettere in pratica l'intenzione. Aspettava l'occasione giusta, così nell'attesa per il resto della giornata il libro rimaneva solo, muto ed inascoltato.
Qualche giorno dopo al lavoro gli comunicarono che la ditta, per problemi di natura finanziaria era costretta ad operare dei tagli al personale. Seguiva una lista dei possibili candidati da lasciare fuori, che teneva conto degli anni di servizio, delle necessità familiari e altri fattori volti a giustificare tale scelta. Durante la pausa caffé la collega gli chiese:
- Ci sei anche tu?
Lui si limitò a risponderle con un laconico sì.
- Lo immaginavo - riprese la collega -i precari sono i primi a farne le spese in queste occasioni.
- Come se non avessi già abbastanza guai.
- Che vuoi dire?
-Ieri sera la casa, questa mattina il lavoro.
Infatti la sera precedente il proprietario di casa gli aveva comunicato che doveva lasciare l'appartamento entro due mesi, scusandosi del poco preavviso, ma costretto da cause di forza maggiore.
- Certo è un bel guaio... Ma conoscendoti, non ho dubbi che ce la farai.
Ciò detto ognuno tornò alle proprie occupazioni. Una nube nera lo aveva avvolto. In un colpo aveva perso il sorriso e l'allegria. Solo per un attimo prese in considerazione l'idea di ritornare nel suo paese d'origine, dove almeno non avrebbe dovuto pagare l'affitto, in quanto una casa l'aveva, e dove un lavoro qualsiasi prima o poi lo rimediava. Ma si rese presto conto che si trattava di una decisione dettata dalla frustrazione del momento.
Alla fine della giornata, salutò i colleghi di lavoro e con aria triste si avviò verso casa.
Al rientro una voce lo distolse da quei pensieri:
- Ciao, tutto bene?
- Più o meno - rispose, conciso più che mai e silenzioso.
- Qualcosa non va?
- No.
Lei non mollava la presa. Si era accorta dall'espressione del viso e dalle risposte monosillabiche ed evasive che qualcosa non andava, la tristezza e il tono della sua voce erano evidenti.
-Non hai una bella cera. Sembri sconvolto!
-Ma chi, io?
-Sì, proprio tu! È piuttosto evidente, per quanto tu cerchi di nasconderlo.
-Non è niente, passerà.
Avrebbe voluto confidarle i suoi guai con la casa e con il lavoro oltre ai suoi sentimenti, tuttavia non riusciva ad esprimere ciò che sentiva. Anche se non passava notte senza che lei non fosse presente nei suoi pensieri e nei suoi sogni.. La paura di agire e di essere rifiutato allo stesso tempo lo imprigionavano sempre più nella sua bella, elegante ed impenetrabile torre d'avorio.
A volte è più facile rinunciare ai bisogni che esporsi al dolore e alle frustrazioni della vita.
Presero l'ascensore e li accompagnò il silenzio, poi ognuno scese al proprio piano. Forse lei si aspettava qualcosa, che la invitasse magari da lui, ma non era il momento migliore per intraprendere una discussione qualsiasi, quella sera, nello stato in cui si trovava. Non era così che intendeva iniziare un nuovo capitolo.
Entrò in casa e si apprestò a consumare il suo pasto frugale, triste e in solitudine.
Per un po' le loro vite non si incrociarono, lui preso com'era dai nuovi bisogni che ora occupavano la sua mente in maniera preponderante, lei in giro per il mondo per una ennesima trasferta di lavoro.
Si dedicò per il periodo successivo alla ricerca di un nuovo lavoro.
Ricominciò la trafila dei soliti colloqui preceduti da curricula inviati alle diverse aziende e la sua perseveranza alla fine lo premiò. Trovò anche un appartamento, sebbene in un altro quartiere. Tutto sommato le cose stavano prendendo in breve tempo la piega giusta: aveva ritrovato la sicurezza e la stabilità perdute.
Fu mentre sistemava gli ultimi scatoloni che si ritrovò tra le mani il libro: lo guardò come se lo facesse per la prima volta, come non aveva mai fatto prima di allora. Decise di ascoltare per una volta il cuore lasciando da parte la paura, l'orgoglio e la ragione; la vita andava vissuta e non solo pensata per abbracciare quel desiderio lasciato per tanto tempo ad aspettare. Non volendo porre altri indugi, adesso era pronto a "sfogliarlo" quel libro, allo stesso modo in cui si sceglie di "sfogliare la vita" giorno dopo giorno. Nell'attimo stesso in cui prese questa decisione il pensiero corse a lei. Ora sapeva cosa voleva e cosa fare.
Con dolore scoprì che lei non era lì. Che importava! Avrebbe aspettato e nell'attesa avrebbe guardato al mondo con più ottimismo.
Intanto il vento soffiava forte sul viso, il sole basso all'orizzonte dava l'ultimo saluto e una nuova strada all'imbrunire lunga ed isolata gli si affacciava amica come non mai.
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- Non posso aggiungere altro al tuo esauriente e preciso commento. Un'interpretazione coi fiocchi. Sei un'attenta e puntuale lettrice e questo non può che rendermi felice... Hai davvero letto tra le righe facendo un'ottima analisi testuale. Caspita, sono onorato di tanta considerazione. Un commento da custodire gelosamente e leggere nei momenti di abbattimento o calo creativo. Grazie infinite, cara Bianca.
- Le occasioni non colte sono occasioni sottratte all'esperienza. Il protagonista pensa troppo e rischia di concludere ben poco. La troppa prudenza a volte può rifilare sonore lezioni. Per fortuna anche per i cauti sprovveduti c'è un santo protettore e il rischio alla fine pare scongiurato. Non importa se i due si rincontreranno (le probabilità sono le stesse sia in caso di successo che di insuccesso) quanto il fatto che lui abbia fatto una scelta, che abbia osato, abbandonando la relativa postazione di sicurezza in cui crede di essere arroccato, basato sul sillogismo che ciò che non viene esperito non può "toccarti" e che alla fine ti preclude l'unica possibilità di vivere per davvero... Lui è destinato a restare muto come quel libro finchè non decide di scriverlo quel libro, di riempire quelle pagine bianche e intonse della sua vita col sogno a lungo accarezzato e finalmente realizzato. Ben scritto.
- Grazie Massimo per l'apprezzamento. Mi piace la scrittura lunga e curata, ma sono troppo pigro. Occorre tempo, impegno e passione per la buona scrittura ma io non penso di volerlo fare per professione, solo per diletto (anche se non può essere una giustificazione e non spiega l'impulso a scrivere ). Hai ragione per quanto riguarda gli altri scritti: so che sono così così ed è anche inesatto chiamarli racconti brevi... chiamiamoli appunti, pensieri sparsi, riflessioni, ricordi o fotografie piuttosto sfocate, ma l'intento è proprio quello. Forse ci proverò a fare qualcosa di più "corposo, mai mettere limiti all'ispirazione. Per il momento va bene così. Per rispondere alla tua domanda:
il libro è destinato a restare... muto e senza nome, proprio come suggerito dal titolo. In fondo è solo un simbolo, un "mediatore" tra l'immutabilità delle cose e la voglia di cambiamento. Nemmeno il protagonista lo legge alla fine, ma funge da innesco per la decisione e per la scelta verso cui sarà orientato. A rileggerti.
p. s. Sì, l'avatar rappresenta l'angelo della morte!
- P. S.: meglio pochi (ma non pochissimi, però commenti ma buoni. A proposito, Ferdinando, ma il tuo avatar rappresenta la morte?
- Finalmente ho trovato il racconto tuo giusto da commentare, perchè io come puoi immaginare, preferisco scritti non troppo brevi e quindi gli altri tuoi li ho trovati così così. E non credo che i racconti di oltre una pagina siano pressocchè ignorati, sono solo meno letti e commentati perchè richiedono che ci si conquisti la fiducia del lettore.
Questo racconto mi è piaciuto, è scritto molto bene e riesce a far risaltare alla perfezione la psiche del protagonista, con la sua umanità e le sue debolezze. Il finale sugli eventuali rapporti futuri tra i due ormai ex vicini resta aperto ed è giusto così, certe cose devono essere lasciate all'immaginazione del lettore. Solo mi sarebbe piaciuto sapere che libro lei gli aveva prestato. Io credo che ogni tanto dovresti osare lunghezze maggiori, a giudicare da questo e dalla lunghezza di molti tuoi commenti sicuramente ci sei portato e avresti buoni esiti. Ancora complimenti.
- Grazie Giorgio, io ho gradito tutti i tuoi racconti finora letti, che ho trovato molto ironici oltre che ben scritti. Mi fa piacere che tu abbia speso un po' di tempo per questa lunga lettura. In genere quando il racconto supera la pagina viene pressocchè ignorato.
Continuerò a leggerti... tra l'altro sei nuovo del sito, proprio come me.
- Fernando, il tuo commento positivo su "E se gli oggetti avessero un'anima" ha stimolato la mia curiosità e forse la mia megalomania di sapere da quale pulpito provenisse la predica.
Ho letto per la prima volta un tuo racconto e l'ho fatto tutto di un fiato. Devo dire che la lettura scorrevolissima mi ha tenuto su le corde fino alla fine incuriosendomi fino al finale.
Ho scelto questo tuo racconto dal titolo sagace e proseguirò ben volentieri a leggere tutte le tue opere in quanto il tuo stile è gradevolissimo. Complimenti sinceri.
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