Pensavo di riuscire a correre di più, ogni giorno. Invece non è possibile, troppi impegni!
Sarà per via del lavoro, degli orari troppo sballati, delle relazioni sociali da curare con attenzione... così, il tempo vola in fretta. Considerando che siamo anche nella stagione invernale, le giornate sono decisamente più brevi rispetto alle notti, lunghissime.
Le ore di luce, così malamente ripartite e ingiustamente sottratte alle ore di buio non giovano affatto, in questa stagione, alla mia attività sportiva. Non mi spaventa la pioggia, il freddo o il vento, ma come si fa a competere col buio. È un po' rischioso non saper dove mettere i piedi...
Non sono riuscito questa settimana a fare l'allenamento previsto dalla tabella di marcia. Eh sì, perché uno dei miei hobby preferiti è la corsa, passione che coltivo da alcuni anni con costanza e diletto. Così, ho potuto correre solo sabato e domenica.
Oggi è stato bellissimo correre sotto la pioggia. Mi ha ricordato quando da bambino, sfuggendo al controllo di mia madre, uscivo di casa insieme ai miei fratelli e con gli inseparabili amici, uniti da un identico progetto, correvamo per le vie semideserte del paese sotto l'acqua battente, per provare la sensazione della pioggia sulla testa e sentirci liberi da qualunque costrizione. Per provare il piacere del proibito. Per sfidare la natura e scacciare la noia.
Io e i miei fratelli, insieme ai compagni di vita e di avventura, camminavamo sotto le tegole contando le gocce d'acqua che ci colpivano in testa e facendo a gara a chi riusciva a riceverne il maggior numero schivando, non per paura ma per norma concordata, i getti scroscianti delle grondaie.
Eravamo zuppi dalla testa ai piedi, ma spensierati, liberi e felici. Come per tutti i giochi, infatti, c'erano delle regole da rispettare e ad esse ci attenevamo strettamente, come un patto inviolabile. Ci preparavamo alla vita da adulti.
Ricordo quando dalla cima di una strada lanciavamo in discesa dei piccoli bastoncini di legno, ognuno con un segno che lo differenziava dagli altri. Li appoggiavamo lungo il fianco del marciapiede nei rivoli d'acqua formatisi con e dopo la pioggia, li lasciavamo andare dopo un segnale convenuto e scommettevamo su quale sarebbe arrivato per primo giù in basso, fino al tombino. Là, si perdevano i rivoli e i bastoncini, ma era anche il traguardo, dove chi vinceva si aggiudicava il diritto di leadership del gruppo, almeno fino alla prossima sfida.
Piccole vittorie per innocenti passatempi. Quelle gare di tanti anni fa mi aiutano oggi ad affrontare la vita con più ottimismo e leggerezza. A non prenderla troppo sul serio e, a volte, a operare scelte con un pizzico di sana incoscienza.
Tornato a casa dal parco, zuppo come da bambino dalla testa ai piedi e con le stesse sensazioni di gioia e di felicità, mia moglie mi sollecita ad entrare e a farmi una bella doccia calda, prima che mi prenda un bel raffreddore.
È stupenda, tuttavia, oggi come allora, la sensazione di correre libero sotto la pioggia e resistere alla tentazione di andarsi a rifugiare in gran fretta da qualche parte. Correre e alzare il viso al cielo per farsi scivolare l'acqua sulla pelle quasi avesse un qualche potere miracoloso. Sollevare le braccia al cielo e "arrendersi" alla sua forza dilavante.
Assaporare il gusto dolce-amaro di quel "nettare celeste" leccandolo dalle labbra e urlare al mondo che non c'è niente di più bello, in momenti come questi dell'abbandonarsi, noi minuscoli puntolini nell'universo, ai mutevoli capricci della natura e sentirsi presi nel suo cosmico abbraccio.