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Il mondo è uno
Ho pensato di proporre stralci della relazione svolta da
Raniero La Valle in occasione della presentazione del suo libro
"Prima che l'amore finisca" qui a Pescara. Per comodità dei
lettori ho raggruppato i brani per temi, cercando di
stabilire fra loro
una continuità logica.
1) I giovani e la loro percezione del mondo
Quello che ho voluto fare, arrivato ad un certo traguardo della
mia vita, è stato di vedere cosa, della mia esperienza,
potesse servire
agli altri, che cosa si potesse trasmettere, tramandare,
soprattutto
ai giovani. Penso che i giovani possano essere interessati alla
ricostruzione di un filo di pensiero cresciuto
attraverso i bagliori e i tormenti di un'epoca (si tratta
praticamente
di mezzo secolo, della metà del Novecento) che li aiuti a
capire da dove
veniamo, da dove essi stessi vengono; il
problema dei
giovani, oggi, io credo, è quello di non avere memoria
perché
nessuno gli racconta nulla; così neanche sanno che il mondo potrebbe essere diverso.
Ieri c'è stato un avvenimento, un assassinio di un
paraplegico su
una carrozzella, non da parte di un gruppo di banditi ma da
parte
di un governo che viene celebrato come un governo civile e
democratico; si tratta dell'uccisione dello sceicco Yassin da parte del governo israeliano.
E quando non solo questa operazione viene registrata dai media senza fiatare, ma da quel
governo viene espressa soddisfazione per la sua buona
riuscita, questa è una
cosa per quelli della mia generazione
assolutamente
inaudita e inaccettabile. Per di più per attuare questo
omicidio
è stato necessario uccidere altre persone.
La guerra dell'Iraq cominciò, anzi fu anticipata di un giorno, in seguito a una
segnalazione
secondo la quale Saddam Hussein sarebbe stato a cena in un
ristorante; così fu distrutto il ristorante con tutta la gente che
c'era dentro. Per la gente che ha vissuto il dopoguerra, la
costruzione del diritto internazionale, la speranza di un mondo
fondato sul pluralismo, sul riconoscimento reciproco, sul
rispetto
dei diritti umani, sulla dignità della persona umana, sui limiti
dello Stato e del potere, queste cose sono veramente
inconcepibili,
ma per i giovani sono assolutamente normali perché nessuno
gli ha
mai detto che queste cose travolgono, rovesciano tutto un corso
storico, tutta una crescita che è stata fatta con fatica per
arrivare a concezioni e posizioni diverse.
2) La Carta dell'ONU
Questo libro ricostruisce la vicenda del Novecento. Dopo il
baratro della seconda guerra mondiale sembrò che l'umanità
avesse
toccato il fondo; essa aveva fatto la guerra più atroce che
la storia
avesse mai conosciuto. Una guerra che aveva provocato decine
di milioni
di morti, venti milioni solamente nell'Unione Sovietica
(a liberare l'Europa non è stata solo l'armata americana; c'è
stato
un contributo enorme da parte sovietica con un pesantissimo tributo
di sofferenze e di morti).
E poi c'era stata la Shoà, c'era stato lo sterminio, i sei
milioni di Ebrei,
i 500. 000 zingari e antifascisti di tutta Europa periti nei campi, e infine la
bomba
atomica, quest'arma di distruzione di massa non più
necessaria ai
fini della guerra, perché la guerra era ormai finita, finita in
Europa e finita anche per il Giappone che era sul punto di
capitolare;
ma c'era il "difetto" che quella bomba era stata scoperta
troppo tardi
quando per la guerra non serviva più. E allora si pose il
problema
che gli stessi scienziati americani, a cominciare da
Oppenheimer,
posero al Presidente Truman: ormai quella bomba non si
poteva fare
esplodere. E così cominciò la discussione se si potesse usare
lo stesso perché tutti vedessero di che cosa si trattava.
C'era una
tesi che diceva: usiamola facendo un esperimento, mostriamola
al mondo. E invece la tesi che prevalse nel gruppo dirigente
americano fu quella contraria, fu che l'unica utilizzazione veramente dimostrativa sarebbe
stata
di farla scoppiare sulle città, e siccome le città
giapponesi erano le ultime ancora in guerra, si scelse prima
Hiroshima e poi Nagasaki: ormai la bomba non serviva
più alla
guerra che era finita ma doveva servire a fondare il dopoguerra che cominciava.
È da questa tragedia enorme, da questo fondo a cui
l'umanità era
arrivata, che comincia il riscatto, la rinascita, la decisione di
voltare pagina, di cominciare una storia nuova. Quando le Nazioni
Unite (si chiamavano così perché erano quelle che si erano unite nella guerra
antifascista) si riuniscono a San Francisco per fondare,
appunto,
l'Organizzazione delle Nazioni Unite, compiono un atto storico che rappresenta un momento
di straordinaria conversione. Non si tratta soltanto di dire:
adesso non c'è più la Germania nazista, non c'è più il
Giappone, riprendiamo la strada che era stata interrotta; no,
si trattava di dire che tutto il mondo, attraverso tutto il corso
storico vissuto fino allora, con le sue dottrine politiche, con
il suo diritto di guerra ("ius ad bellum"), era approdato a un punto in cui era
dimostrato che continuando su quella strada c'era la
distruzione totale;
e quindi bisognava "cambiare mente", bisognava convertirsi,
bisognava
cambiare strada, voltare pagina. E qui avvengono cose
straordinarie,
inconcepibili fino allora. Pensate cosa vuol dire che la guerra
è messa fuori dal diritto. La guerra c'era sempre stata nella
storia dell'umanità. Il legame fra la guerra e la politica, fra
la guerra e gli Stati, era stato indissolubile e la guerra era
stata il supremo regolatore della vita internazionale. Quindi
pensate quale rivoluzione era il dire: no, la guerra non solo
non è il supremo regolatore, non solo non è l'espressione della
sovranità degli Stati, la guerra è un flagello.
L'articolo 2, paragrafo 4 della Carta dell'ONU non solo vieta
la guerra ma proibisce qualunque ricorso alla forza
e perfino la minaccia dell'uso della forza nelle relazioni
internazionali; c'è l'unica eccezione (art. 51) che è costituita dal diritto "naturale" alla
legittima difesa nel caso di una aggressione e di una invasione: ma
anche questo diritto riconosciuto dalla Carta dell'ONU
è condizionato al fatto che lo Stato aggredito appresti le prime
difese ma poi si faccia difendere dalla
intera comunità internazionale, attraverso l'iniziativa del Consiglio di Sicurezza, che ne ha il preciso dovere.
Quando i Costituenti italiani
cercano una parola per esprimere questa realtà nuova di esclusione della guerra, scelgono
una parola che è straordinaria e che è la parola RIPUDIO.
Il che vuol dire che l'Italia rompe il vincolo indissolubile fra
la guerra e la storia umana. Non a caso il termine viene preso
dal vecchio diritto matrimoniale: il ripudio. Cioè, questa
guerra che è stata finora la nostra compagna viene, con
infamia,
estromessa. E da questo nasce tutta una costruzione
che non è solamente una rinuncia ai mezzi della guerra, ma è una alternativa, perché la guerra era
funzionale
a un certo ordine del mondo; senza guerra si deve fare un altro mondo. Per rendere credibile questa
rinuncia
bisognava che l'ordine del mondo cambiasse e la prima cosa che
si fa, nel 1945, è di dichiarare chiusa l'età degli Imperi.
Da quel momento gli imperi cominciano a scomparire. Finisce
l'impero inglese, quello francese, quello belga, quello tedesco.
Certo, non dall'oggi al domani. Ma il processo è avviato.
3) Il Concilio Vaticano II
Il Concilio è stato per la Chiesa quello che il 1945 è
stato
per il mondo. È stato un momento di conversione
straordinaria. Come
l'umanità, dopo la seconda guerra mondiale, ha deciso di
cambiare,
così il Concilio è stato un momento in cui la Chiesa moderna
ha preso
coscienza della chiusura in cui si era imprigionata. La
Chiesa ha fatto
un'operazione di conversione e un tentativo di riforma che nel
Concilio è andato molto avanti ma che poi si è bloccato. E
quindi
non è lì il frutto del Concilio. Oggi la Chiesa non è rinnovata
nelle sue strutture, nel rapporto fra clero e popolo, fra
sacerdozio
e laicato, fra primato petrino e collegialità episcopale;
tutto questo
non è cambiato nonostante il Concilio abbia messo degli
straordinari
elementi di novità, di dinamica nella vita della Chiesa. Ma
c'è una
cosa su cui il Concilio sicuramente ha aperto una stagione
nuova per
la Chiesa, ed è il suo rapporto col mondo. Questo è veramente
cambiato.
La Chiesa è arrivata al Concilio avendo un pessimo rapporto
con il
mondo. Riteneva il mondo perduto. Pio XII parlava della
necessità
di cambiare il mondo da "selvatico in umano". Il mondo che Pio
XII vedeva
era il mondo della giungla, cioè un mondo dove ci sono le
bestie feroci,
non gli uomini. Il Concilio sottrae la Chiesa al rapporto
conflittuale
con il mondo. Di fronte non abbiamo il male. Di fronte c'è
il mondo,
male e bene, ragione e torto, sofferenza e dolori. Insomma
finalmente
c'è un rapporto di accoglienza, di fiducia. Papa Giovanni
dice: usiamo
la medicina della misericordia. Cerchiamo di
accoglierlo,
questo mondo, cerchiamo di parlargli, cerchiamo di non formulare
condanne,
cerchiamo di capirlo. Tutta la politica e poi la pastorale di
Papa
Giovanni, soprattutto con la Pacem in terris, è questa. La grande novità
della
Pacem in terris è la lettura dei segni dei tempi. Da tutto
ciò
che il mondo mostrava in quel momento bisognava cercare di
tirar fuori
le cose più positive. E Papa Giovanni dice, quasi
meravigliandosene:
i lavoratori stanno rivendicando i loro diritti, le donne
stanno
affermando la loro dignità, i popoli nuovi si stanno
liberando,
le Nazioni Unite hanno realizzato una Comunità di popoli, i diritti
fondamentali
sono scritti nelle Carte costituzionali... Tutti questi, dice Papa
Giovanni, sono
segni dei tempi. Ormai la guerra è considerata fuori dalla
ragione.
E ancora, dice Papa Giovanni: Quello che voi fate con la
vostra fatica,
con le vostre mani, quando cercate di rendere universale il
diritto,
quando riconoscete la pari dignità degli uomini e delle donne sulla terra,
nessun
dominatore, nessun dominato, quando voi fate queste cose,
voi, anche
senza saperlo, state realizzando il piano di Dio.
La Chiesa, dunque, si riconcilia col mondo. Se non lo avesse
fatto
oggi si troverebbe in una situazione tremenda, esposta alle suggestioni
di poteri apocalittici che vogliono trascinare il mondo nella guerra perpetua.
4) Il ritorno della guerra
Infatti la guerra è tornata a dominare la scena. E qui bisognerebbe
capire come questo è avvenuto. Padre Balducci
non riusciva
a capire con la sua sana razionalità come mai potesse
accadere che nel
1991 si ricominciasse una guerra in piena regola, con i
carri armati,
con i missili, con le portaerei. Lui non riusciva a capire
ciò che gli appariva fuori della ragione. Ma una razionalità c'era ed era che si era deciso
di fare
di nuovo un impero e questa volta di carattere universale; infatti
era finito il rapporto fra i blocchi, fra Unione Sovietica e
Stati Uniti. Ormai c'era un unico erede del potere mondiale e
questo unico
erede, cioè gli Stati Uniti e i loro alleati, doveva prendere
in consegna il mondo
e costituire un nuovo impero. Ma per fare un impero ci
vuole la
guerra; la guerra del 1991 si fa per riprendersi in mano questo
strumento che era stato dismesso, per riappropriarsi
della guerra, per
rilegittimare la guerra. Ricorderete che nel 1991 la
grande
battaglia, prima ancora di quella combattuta sul campo, fu la
battaglia dell'opinione pubblica. Tutti i mezzi di informazione
si mobilitarono per convincerci che la guerra era bella,
giusta,
salutare, umanitaria, necessaria per il ristabilimento del diritto, ecc, ecc.
Si trattava
di riabilitare uno strumento che era caduto in discredito; tutti infatti,
erano contro la guerra, perfino quelli che mettevano
i missili durante la guerra fredda, dicevano di metterli per
la pace.
I missili, gli ordigni nucleari non sono stati costruiti per usarli,
almeno così si è sempre detto. Sono stati costruiti perché, con
la loro sola esistenza, dissuadessero l'avversario dalla guerra.
Allora, nel 1991, quando la guerra torna ad
essere considerata necessaria,
bisogna fare questa grande operazione ideologica di persuasione,
di rilegittimazione della guerra. Questa cosa bisogna che i
giovani
la sappiano. Bisogna sapere che, allo stato attuale del
diritto,
la guerra è, in ogni caso, illegittima. Quello che ci dicono
i gazzettieri di oggi secondo cui se l'ONU l'autorizza la guerra essa è
legittima,
è una pura sciocchezza. L'ONU non può autorizzare la guerra
che è
illegittima nel sistema giuridico di cui l'ONU stessa è espressione.
L'ONU può e deve prendere dei provvedimenti, votare delle
decisioni per conservare la sicurezza e la pace internazionali
proprio perché, essendo stato sottratto agli Stati lo strumento della
guerra.
ci vuole qualcuno che, in qualche modo,
garantisca la
pace e la sicurezza; e queste ormai sono intese come indivisibili.
L'idea che ognuno provveda alla sua sicurezza, per esempio
Israele
che garantisce la sua sicurezza col muro, è assolutamente
contraria
alla nuova dottrina della politica internazionale. La sicurezza
è indivisibile. O c'è per tutti o non c'è per nessuno. La pace
è indivisibile. O c'è per tutti oppure non c'è per nessuno.
Dunque l'ONU non può dire: "Questa guerra è
legittima".
L'ONU non è lo sportello che mette il bollo di legittimità su
una cosa che il diritto considera assolutamente illegittima.
Esiste una risoluzione delle Nazioni Unite in cui si cerca
di chiarire
in che cosa consiste il reato di aggressione, perché
l'aggressione è un
crimine di diritto internazionale. Questa risoluzione dice che è
un'aggressione non solo l'invasione di un paese straniero ma
anche
qualunque forma di occupazione militare che segua a una
invasione,
che abbiano o no le truppe occupanti partecipato all'atto della
invasione. Quindi, dal punto di vista giuridico, le nostre
forze armate in Iraq stanno integrando un crimine di
aggressione.
Poi ci sarà pure chi, in coscienza, crede di farlo al
servizio della
pace, ma oggettivamente la presenza delle nostre truppe in
Iraq è illegittima.
5) Il mondo è uno
Oggi il rapporto con il mondo, non della Chiesa, ma dei
potenti
che dominano la terra, è conflittuale, di inimicizia, di
condanna, un
rapporto che io chiamo apocalittico. I dominatori del mondo
che stanno
realizzando l'impero universale postulano che non tutto il
mondo si può
salvare, se ne può salvare solo un pezzo, solo il loro. Ma
il resto
del mondo non si può salvare, quello deve essere perduto. C'è
l'asse
del male, ci sono gli Stati canaglia, ci sono i ribelli, ci
sono quelli
che pretendono di partecipare ai beni dei ricchi. Riguardo
al terrorismo
qual è la morale che ci viene inculcata? Che cosa scrivono i
giornali
in questi giorni? Sul Corriere della sera G. Zincone diceva:
Va bene,
abbiamo sbagliato. Però adesso è inutile recriminare. Adesso
dobbiamo
lottare contro il terrorismo. E Sandro Viola su "la
Repubblica" scrive:
si, è vero, sono 40 anni che Israele nega i diritti ai
palestinesi, però
ora lo scontro si è allargato ad altri Paesi, ad altri
simboli, ad altri
obiettivi e quello che accade oggi è la terza grande
sfida, dopo
quella nazista e quella sovietica, lanciata contro le
società libere. E continua dicendo che questa sfida è il terrorismo e l'ultima cosa che il terrorista si
chiede quando
mette una bomba è se il paese dove la farà scoppiare abbia
appoggiato
o no la guerra all'Iraq.
Come a dire, tanto vale quindi che i palestinesi ce li scordiamo e che la guerra all'Iraq la facciamo.
Il 18 marzo sul "Foglio" di Ferrara c'era
una lunga intervista a un politologo franceseil quale diceva che si,
forse
c'è una distinzione fra Al Quaeda e l'Islam, però queste non
sono
cose di cui ci dobbiamo preoccupare. Dobbiamo accettare di
trovarci
davanti a qualcosa che è il male. "E uso questo termine -
diceva -
perché il male è irriducibile al concetto di causalità". E dunque
se il male di fronte al quale ci troviamo è irriducibile al
concetto
di causalità non possiamo indagarne le cause e dobbiamo solamente
agire. Ma questa non è politica. Questa è una teodicea. È
la grande
domanda su Dio. Da dove viene il male? La conclusione di questo
discorso qual è? È questa: "Non cercate le responsabilità
dell'Occidente, la fame nel mondo, il mancato riconoscimento
di un'autonomia, di una possibilità di vita per i Palestinesi.
Tutto questo non conta. Il terrorismo non dipende da questo.
Il terrorismo dipende dal fatto che c'è il male e che questi vogliono la
nostra fine.
Allora la morale che si sta cercando di far passare è: "Noi abbiamo
contro
un nemico che non ha ragione, non ha umanità, è inutile che
ci stiamo a
chiedere che cosa noi abbiamo fatto di male, di che cosa
abbiamo
responsabilità, perché se anche noi non avessimo delle responsabilità
ci odierebbero lo stesso, ci ammazzerebbero lo stesso..."
Oggi ci troviamo di fronte a un mondo che per metà viene
scaricato,
viene considerato eccedentario, esubero. E c'è una cosa
impressionante
ed è la nuova teorizzazione che si fa del fatto che la guerra
non solo ci vuole, non solo deve essere preventiva, ma deve
essere
perpetua, fino al punto che non si può distinguere il tempo
di guerra
dal tempo normale di vita. C'è una delega legislativa che il
governo
Berlusconi ha chiesto in Parlamento per riformare i codici
penali
militari di pace e di guerra (lo scopo specifico è di applicare
il codice penale militare anche alle missioni
all'estero)
in cui la motivazione che viene data è che ormai non è più attuale
la vecchia distinzione dei codici di pace e di guerra perchè
ormai "non è più riconoscibile, dice la relazione, il tempo
di guerra rispetto al tempo mormale di vita". Questo viene detto
ai giovani. Ma voi dovete ribellarvi al fatto che nascete dentro
un tempo di guerra. La guerra può essere una sciagura, una
catastrofe, ma non può essere la condizione permanente e normale
in cui l'uomo deve vivere. Pochi giorni fa è uscito un documento
del Pentagono che stranamente non si occupa di ciò che
normalmente
è oggetto degli interessi del ministero della difesa. Si occupa
di clima e avverte che l'acqua del mare si sta riscaldando e
quindi sale di livello, il che vuol dire che molte terre
saranno sommerse, molte isole scompariranno e siccome
contemporaneamente rallenta la Corrente del Golfo, il clima
temperato che abbiamo in Europa scomparirà. L'Inghilterra
diventerà
come la Siberia... Il Pentagono dice che questo provocherà
grandi carestie e quindi grandi migrazioni. E qual è la
conclusione
del Pentagono? Non dice: " Signori, allora, campanello
d'allarme. Fermi tutti. Rinunciamo a tutte le sciocchezze di cui ci stiamo
occupando adesso, mettiamo intorno ad un tavolo il mondo intero
e vediamo come affrontare questa situazione". No. Il Pentagono
dice: " Allora la guerra tornerà ad essere il parametro della
vita umana sulla terra". Siccome ci sarà questa crisi, il
problema
sarà di vedere chi dovrà pagare. La guerra come giudice di chi debba pagare e chi no.
Che cosa è questo se non avere una visione del
mondo dove chi può, chi ce la fa, si salva e gli altri che si
perdano? Ma questa è appunto una visione apocalittica, cioè
la visione di due mondi; un mondo buono, giusto che si salva
e l'altro a perdere: se può vivere che viva e se no, pazienza!
C'è un rapporto sullo stato del mondo del World Watch Institute che dà una buona
notizia: sono
aumentati i consumatori nel mondo; prima erano un miliardo,
adesso
sono un miliardo e 700 milioni. Che bella cosa! C'è un
progresso.
Ma ci sono 3 miliardi di persone che sono ufficialmente non
consumatori perché hanno meno di due dollari al giorno.
Allora, di fronte a questo, che significa il titolo del libro
"Prima che l'amore finisca"? Significa che se il mondo sta
ancora
in piedi è perché c'è una forza che lo aggrega ed è l'amore.
Però l'amore può finire. Il titolo è anche un grido d'allarme.
Guardate, stiamo attenti, il tempo è breve. Dobbiamo cercare,
prima che l'amore finisca, di ristabilire un'altra razionalità,
un altro modo di pensare il mondo, dobbiamo ristabilire
fondamentalmente l'idea dell'unità profonda della famiglia
umana,
l'unità di tutti i popoli della terra. Che tutti siano assunti,
tutti siano cooptati, tutti siano introdotti dentro un
progetto
di vita e di sviluppo del mondo.
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