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La rapina
L'anziano Ugo, quel giorno era in ritardo. Come ogni venerdì, aveva un appuntamento dal suo medico per dei problemi di salute che, una certa età, spesso porta con sé e regala. Non erano, però , soltanto le troppe primavere vissute a causargli una serie di fastidi, più o meno gravi: era stato anche il suo vissuto, che da qualche anno, lo aveva messo con le spalle al muro. Erano troppe le cicatrici e le ferite ancora aperte che portava sul suo corpo. La vita era sempre stata dura con lui, ma, di recente, il dolore era diventato un pasto quotidiano.
Aveva anche smesso di andare a Messa. All'inizio, quando iniziarono i problemi, la fede divenne il suo unico rifugio e, così, cominciò a partecipare alle celebrazioni non soltanto la domenica e festivi, ma tutti i giorni, sperando che prima o poi, arrivasse un aiuto dall'alto. Aiuto che, però, non giunse mai. Così, il nostro uomo, deluso giorno dopo giorno sempre di più, lentamente smise di andare in chiesa. E non solo. Buttò anche via il piccolo crocefisso a cui era molto legato, e che teneva stretto tra le mani nei momenti più difficili delle sua vita. Non sia mai, poi, che qualcuno gli parlasse di Dio: andava su tutte le furie. "Dove è Dio quando lo invoco?" rispondeva. "Che senso ha avuto la sua morte in croce?" si domandava, "a cosa è servita la sua morte, se il mondo continua a girare all'incontrario?". La domanda che però avrebbe voluto rivolgere direttamente all'Onnipotente, non senza una certa dose di superbia, era: " Perché invece di farti appendere ad un legno, non ti sei eretto dall'alto del tuo potere, annientando con la tua divina forza il male? Avresti visto," pensava "come tutti allora ti avrebbero dato ascolto!".
Quel giorno era davvero in ritardo. Scese le scale del suo palazzo in fretta, o meglio, quanto più veloce poteva col suo fisico. Fuori faceva freddo, ed il cielo era cupo.
Arrivato nell'androne, notò dietro ad un pilastro un'ombra che lo aspettava. Era una sagoma che non prometteva nulla di buono. Era un uomo, per meglio dire, un giovane, magro ed alto, che con andatura rapida e minacciosa, usci definitivamente dal buio e si diresse verso Ugo. I due si guardarono negli occhi, anche se l'anziano signore li abbassò presto, un po' per paura, un po' per la vergogna di non sapere come gestire quell'incresciosa situazione. Una tra le tante incresciose situazioni della vita.
"Dammi i soldi!" esclamò il giovane con tono rabbioso e sicuro.
Ugo si guardò velocemente intorno. Non c'era nessuno. Intimidito rispose: "non ho nulla".
"Non farmi perdere le staffe".
"TI ripeto: non ho nulla". Queste ultime parole, gli uscirono a stento. L'adrenalina a volte fa brutti scherzi. La sua non era soltanto paura però. Era un mix di delusione, paura, dubbi, voglia di reagire e di dimostrare che, anche se vecchio, poteva ancora farsi rispettare da un uomo arrogante e prepotente, con molti meno anni dei suoi. Si, poteva ancora fargliela vedere! Ma non lo fece. Restò fermo là, sperando che quello spiacevole incontro, finisse presto.
"Non hai sentito? Dammi quello che hai!" Il giovane cacciò fuori una pistola dalla tasca, con le mani tremolanti. Anche lui aveva paura, ma non era la paura l'unica cosa a dargli quel tremore. Il suo viso era bianco, gli occhi rossi e lucidi, lo sguardo sgranato e morto. Quel giovane uomo, si faceva.
Con un gesto rapido e violento, avvicinò l'arma alla bocca di Ugo. Il suo pomo d'Adamo, sotto uno strato di barba nera di due o tre giorni, scendeva e saliva: sembrava che cercasse di ingoiare qualcosa di troppo grande e spigoloso da mandare giù.
Ugo cercò di darsi una smossa, di trovare dentro di sé il coraggio. "Fatti forza", pensò, "tra poco finirà tutto, vedrai". Cosa però voleva dire quel "tutto"? O meglio: "quanto tempo" stava a significare? Erano anni che le cose andavano male nella sua famiglia e non finivano mai. Il clima accogliente e tranquillo del suo nucleo domestico, era ormai un lontano ricordo. L'armonia aveva ceduto il passo a litigi, urla e pianti. Quella rapina, era una prova in più a cui la vita lo stava sottoponendo.
"Fatti forza, vecchio!" ripeteva Ugo tra sé "tra poco tutto finirà". Una lacrima sgorgò dai suoi occhi, quando i due sguardi si incrociarono di nuovo.
"Ti ammazzo, se non mi dai ciò che hai in tasca".
"Ammazzami pure, se hai il coraggio, ma io, non ti do niente. I soldi ti servono per quello schifo che usi, vero?".
D'un tratto, il viso del giovane cambiò. Quella che prima era una faccia minacciosa, divenne il ritratto dell'insicurezza. Anche il viso di Ugo si trasformò, perché aveva capito che la situazione si stava capovolgendo. Ma in quel momento, in lontananza, si intravide una sagoma che gridò: "Butta l'arma!"
"Butta l'arma o sparo!" intimò la giovane guardia con una calibro nove in mano. Il rapinatore fu preso ancora di più dallo spavento e puntò, per istinto, la pistola davanti a quell'uomo.
"Alza le mani!"
"Non spari, è mio figlio!" rispose Ugo ad alta voce.
Bang!
Ugo di colpo, perse quel poco di forze che ancora gli restavano alla sua età, per fare da scudo col suo corpo: si ritrovò a terra, con l'addome insanguinato. Il giovane rapinatore, si accasciò, affianco a lui, scoppiando in un pianto dirompente.
"Scusa papà per tutto ciò che v'ho fatto, sia a te che alla mamma."
La guardia abbassò la pistola, e si rese conto solo allora, della tragedia che era iniziata. Ugo piano piano si spegneva, le forze venivano sempre più meno. Guardò suo figlio negli occhi. Capì. In una mano, Ugo, stringeva forte il suo crocifisso.
Marco si svegliò una mattina nella sua stanza bianca e spoglia. Fuori era una bellissima giornata. C'era un bel tepore ed il cielo, era limpido.
Si mise seduto sul letto. Prese tra le mani il vecchio crocifisso che aveva al collo. Gli diede forza e corse al piano inferiore. L'infermiera, con la siringa di metadone, lo attendeva.
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