racconti » Racconti brevi » Il calciatore migliore è quello orfano
Il calciatore migliore è quello orfano
Era una luminosa giornata primaverile, fresca e arieggiata. Il sole batteva invitante sul campo di pallone e, a venti minuti dal fischio d'inizio, il pubblico affluiva già numeroso, facendo intuire che si sarebbero superati i duecento spettatori.
Le squadre effettuavano il riscaldamento. Era il primo turno delle finali regionali giovanissimi fascia B: ragazzini di tredici, quattordici anni, il fior fiore ligure della leva calcistica classe 1997. Si sfidavano la savonese Torretta 1965 FC, in casacca bianca con fascia gialla e grigia e la sanremese U. S. Fraternità Ligure 1922, in casacca a strie verdi e viola. La Torretta giocava in casa, a Savona, nel suo moderno campo in erba sintetica ricavato dagli ex Orti Folconi, di fronte alla stazione ferroviaria, la cui struttura, progettata dal prestigioso architetto Pier Luigi Nervi, s'intravedeva verso ovest, oltre i parcheggi. Sugli altri lati sorgevano uno sparuto giardino pubblico e vari palazzoni, tra i quali spiccavano le cosiddette Ammiraglie, cioè quattro più quattro moderni parallelepipedi svettanti. Le prime di costoro erano caratterizzate da cupe e lisce superfici in vetro nero, prive di sfoghi esterni e chiuse da disarmoniche ali bianche, le seconde erano invece almeno un poco più attraenti, con le loro facciate ricoperte di vetri a specchio e sormontate da balconi.
Sulle gradinate in cemento erano esposti vari striscioni e la gente cominciava a tifare per i propri beniamini, intonando inni e suonando trombette, mentre alcuni adolescenti facevano perfino scoppiettare mortaretti tra i brontolii irati di chi sostava nei paraggi. Gli spettatori erano per lo più padri, madri, zii, nonni, fratelli e compagni di club o di scuola dei ragazzi. Assiepavano la tribuna per quella che doveva essere una giornata di amicizia e di festa, in puro spirito sportivo. Beh, forse l'avrete già capito: non sarebbe andata così.
Per intanto i ragazzi rientrarono negli spogliatoi in attesa dell'arbitro, ancora chiuso nel suo bugigattolo. L'allenatore della Torretta, Roberto Gallo, basso e tarchiato, un veterano del club, ne approfittò per rivolgere gli ultimi suggerimenti ai giocatori. Costoro sedettero sulle panchette, disponendosi intorno a lui, ritto in piedi al centro della stanza in attesa di arringarli.
"Mi raccomando ragazzi" - cominciò infine - "giocate concentrati ma tranquilli che non sono questi mostri. Ormai lo sapete cosa voglio da voi, quindi è inutile ripetere i soliti discorsi, rendete come sapete. La Fraternità pratica un tradizionale quattro, quattro, due..."
Siccome qualcuno bisbigliava in un angolo, dopo un poco Gallo s'interruppe e, nel subitaneo silenzio seguitone, per qualche momento le giovani ugole si distinsero nitide. Poi i chiacchieroni si resero conto che il mister aveva smesso di parlare e si zittirono a loro volta.
"Ehi, mi state ad ascoltare, sì o no? Fate attenzione, per favore, che in campo siete voi a doverci scendere, mica io. Allora, riprendiamo. Ascolta, Piombo, la Fraternità Ligure ha soprattutto un centrocampo molto solido, è quello il suo punto di forza. Bisogna che ti sacrifichi e lavori in copertura più del solito. Soprattutto mi devi annullare il loro numero 4, il motorino della squadra. Quindi non esagerare con le iniziative personali, d'accordo Alessio?"
Gallo si fermò in attesa della risposta, che giunse prontamente.
"Va bene mister." Rispose con un bel sorriso il piccolo Alessio Piombo, centrocampista di ruolo ma per attitudine spesso quasi una vera e propria punta aggiunta.
"Va bene cosa? Va bene non partirò a testa bassa in attacco dimenticandomi dei miei compiti di copertura? Io lo so come sei fatto. In partita scordi tutto, ti spingi sotto rete e non passi la palla a nessuno finché non te la portano via. Mi voglio fidare di te, Alessio, ok? Guardate che questo, e lo dico a tutti, ragazzi, è un gioco di squadra e si vince e si perde insieme, non dimenticatelo."
"No mister, non lo dimentichiamo." Risposero quattro o cinque in coro, Piombo compreso.
"Speriamo. Andrea, sulla destra invece mi raccomando a te, ok? Non dobbiamo farci schiacciare in difesa. Oggi che Alessio sta in copertura, ti toccherà spingere sulla fascia più del solito, per rifornire Tino in area, ma senza dimenticare di tornare, quando gli altri attaccano. Ti dovrai sfiatare, ma sono certo che ce la farai, hai gambe, polmoni e testa, tu."
"Grazie mister." Disse Andrea, di cognome Briano, arrossendo. Era un dolce e tranquillo ragazzino bruno, già alto per la sua età, ma ancora con la faccia da bambino.
Dieci minuti dopo, terminati i preparativi, i giovani virgulti andarono a stringere la mano agli avversari in segno di fratellanza e alle 10, 30 in punto la partita ebbe inizio.
In tribuna i tifosi locali si concentravano per lo più sul lato destro, verso l'uscita e, in parte minore, al centro. Il più esiguo gruppo di genitori ospiti sedeva nel settore sinistro. In ordine sparso erano presenti pure parecchi spettatori neutrali, tra cui alcuni giovani tesserati di società limitrofe e, esattamente all'altezza della metà campo, un capellone, che da sempre scriveva le cronache delle partite per un noto settimanale specializzato ligure, e un esperto e valido osservatore del Genoa.
Mescolato al pubblico maschile di casa, lo spilungone Giancarlo Briano, papà di Andrea e guardia forestale di professione, seguiva la competizione con passione, come del resto gli accadeva ogni fine settimana da sei anni, cioè fin da quando il suo bambino aveva iniziato a giocare a calcio. La moglie faceva invece comunella con le altre mamme, una dozzina di metri più in là, stando in apprensione più per la salute del suo Andrea che per un risultato di cui in fondo nulla le importava.
Il primo tempo fu equilibrato, con tre o quattro azioni incisive per parte e, verso metà frazione, una grande parata del portiere ospite su tiro del centravanti locale Tino. I genitori incitavano i propri figli, applaudivano le giocate riuscite, s'arrabbiavano per ogni presunto errore e insultavano l'arbitro quando questi non fischiava a favore della loro squadra.
"Forza Andrea, stai largo... ma che aspettate a servirlo... sì ok, così vai, vai... noo, ma cosa combini! Eh, oggi non ci siamo proprio." Si lasciò andare perfino il solitamente quieto signor Briano, seguendo un'azione del figlio terminata con un cross abbondantemente sbagliato.
Subito dopo si sforzò, contrito, di placarsi. A suo parere il calcio doveva essere prima di tutto passione e divertimento. Coltivare mal riposte ambizioni avrebbe solo portato a future frustrazioni sue e soprattutto del ragazzo. Dopo tutto appena un tesserato ogni diecimila arrivava a giocare in serie A, B o C1. Quindi in genere si sforzava di lasciare in pace il cucciolo di famiglia, che amava solo giocare a calcio e stare insieme agli amici della sua squadra. Ogni tanto tuttavia si lasciava prendere dalla partita e si scaldava. Niente di male, in fin dei conti, a patto di non esagerare.
Peccato però che non tutti la pensassero alla stessa maniera:
"E muoviti Alessio! Ma che cazzo fai lì fermo, vai avanti no?" - Gridò, infatti, a squarciagola, il massiccio e tanto, tanto raffinato signor Piombo, irritato dal comportamento del figliolo, da lui giudicato troppo arrendevole. - "Cosa cazzo hai Alessio, sveglia o oggi salti il pranzo, merda."
E non parlava a vanvera. Se non fosse rimasto convinto della partita, sarebbe stato capacissimo di lasciare il povero Alessio a digiuno. Quell'uomo era sempre troppo esigente col sangue del suo sangue, da cui pretendeva rendimenti da campione, del tutto dimentico della sua giovane età e vagheggiando per lui un radioso futuro. Se il fanciullo, un solido e brevilineo torello dotato effettivamente di piedi buoni, tendeva a seguire poco i dettami del mister e cercava con troppa frequenza le iniziative personali, portandosi di continuo alla conclusione, la responsabilità era in gran parte paterna. Poi, certo, con le proprie estemporanee iniziative il giocatore in erba talvolta aveva risolto qualche partita difficile, ma benché il padre rifiutasse di capirlo, i suoi eccessi di egoismo alla lunga non lo avrebbero portato da nessuna parte.
Allo scadere, i giocatori giunti dall'estremo ponente ligure condussero una ficcante azione sulla sinistra: apertura del numero 4, triangolazione volante tra il 10 e l'11, cross al centro, botta di controbalzo del 7 e il portiere locale si distese deviando in angolo. Non ci fu tempo di effettuare il corner, perché il duplice fischio arbitrale annunciò il riposo. Ciò accadde però tra le urla di rabbia del pubblico ospite che, giudicando scorretta le decisione, si esibì in un'intera sequela di creative contumelie rivolte al direttore di gara. In effetti non si vedeva una gran differenza tra le tifoserie di serie A e questi esacerbati familiari di ragazzini ancora iscritti alle scuole medie inferiori.
All'inizio del secondo tempo la Fraternità Ligure passò in vantaggio, con un perfetto colpo di testa dell'agile 11 su calcio di punizione battuto dal 10, tra il tripudio dei padri e delle madri al seguito. Invece i genitori della squadra locale inveirono furibondi: per costoro gli antagonisti non erano innocenti coetanei dei figli, ma anonimi numeri di maglia, così come anonimo era l'adolescente in giacchetta nera e perciò consideravano impunemente insultabili gli uni e l'altro. E a loro dire, siccome il marcatore si era appoggiato su un avversario, la rete sarebbe stata da annullare e la decisione contraria era truffaldina. Naturalmente le proteste si estesero ai calciatori, ormai innervositi, costringendo l'arbitro a placare gli animi estraendo il cartellino giallo. Poi finalmente la partita poté riprendere.
Il vero parapiglia si scatenò un quarto d'ora dopo, al verificarsi di un battibecco sul terreno di gioco tra Alessio Piombo e il diretto avversario, con qualche spinta di troppo e, secondo qualcuno, perfino uno sputo. L'arbitro intervenne ammonendo entrambi e suscitando la collera del mister sanremese, che chiedeva, imprecando a tutto spiano, l'espulsione di Piombo. Il direttore di gara fu così costretto ad allontanare l'allenatore e tra i verde viola in tribuna esplose la rabbia. Improperi all'arbitro, urla, strepiti e un "bastardo" rivolto ad Alessio da un'acuta voce femminile. Da sempre le peggiori aizzatrici delle folle erano talune madri, grandi specialiste nel lanciare il sasso e nascondere la mano, lasciando ai mariti il compito di scannarsi in loro vece. E come volevasi dimostrare, l'insulto scatenò le ire del padre oltraggiato, pronto a rispondere per le rime.
"Ehi, come cazzo ti permetti d'insultare mio figlio, troia." Urlò, infatti, paonazzo in volto, il dottor Marco Piombo, nella vita serioso avvocato civilista ma sui campi in cui sgambettava il primogenito teppista da stadio della peggior specie.
Il coniuge della colpevole, anziché invitare la moglie a fare silenzio, se la prese a sua volta con l'avversario e... insomma, fu un giorno di ordinaria follia calcistica. Mezzo minuto dopo i due genitori erano già giunti alle mani, con grida, pugni e calci così rabbiosi da spingere i calciatori a interrompere per qualche momento il gioco. Per fortuna l'arbitro, un giovane ancora minorenne, e Roberto Gallo si diedero da fare con caparbietà e pazienza affinché riprendessero subito la partita e non combinassero a loro volta dei casini.
Intanto altri padri o dirigenti di ambo i fronti si buttavano nella mischia, per lo più nel tentativo di calmare gli animi e separare i contendenti, ma in qualche caso con l'intenzione di gettare benzina sul fuoco.
Giancarlo Briano seguiva la scena, a un tempo costernato e risentito, quando udì un duro commento pronunciato dalla solita voce di soprano:
"Ecco come voi savonesi insegnate l'educazione ai vostri figli, razza di cafoni."
Senti da che pulpito viene la predica, si seccò Giancarlo. L'uomo, che fino a quel momento aveva evitato d'intervenire per non peggiorare la situazione, si sentì talmente infastidito dall'accusa da accennare, forse per la prima volta nella sua vita adulta, a una reazione violenta. Si alzò, infatti, di scatto e avanzò a pugni chiusi. Subito però si bloccò, mortificato. Per un unico, circoscritto istante aveva perso il lume della ragione. Irrazionalmente estraniatosi dal proprio naturale modo di essere, avrebbe voluto introdursi nella rissa e vendicare l'insulto rivolto a tutti indiscriminatamente e dunque pure a lui. In quel singolo, sciagurato istante gli istinti primordiali avevano preso il sopravvento. Si risedette e si portò le mani al volto, affranto.
Tutto questo soltanto per una stupida partita di calcio, pensò, pieno di vergogna. Infine rivolse di nuovo lo sguardo sul rettangolo verde dove, oramai inosservati, i giovani calciatori erano finalmente tornati a concentrarsi sulla partita.
Proprio in quel frattempo Andrea stava scendendo rapido lungo la fascia destra in una delle sue classiche proiezioni. Superò in scioltezza il laterale avversario, giunse sul fondo e crossò preciso verso il secondo palo. Il centravanti Tino irruppe e con un secco tiro al volo indirizzò imparabilmente in rete sotto l'incrocio: 1 a 1.
I ragazzini gridarono felici correndo ad abbracciarsi e un attimo dopo, come per incanto, l'agitazione in tribuna cessò e anche i familiari della Torretta presero a festeggiare, tra il silenzio avvilito del settore avversario. La componente positiva del calcio era tornata a prevalere. Intanto a distanza si udivano le sirene. Arrivavano polizia e carabinieri, messi sull'avviso rispettivamente da un nonno ospite e da un dirigente della società di casa, quando ormai, forse, la loro presenza non era più necessaria. L'ordine, almeno per il momento, era stato ristabilito.
Il papà di Andrea si alzò in piedi col groppo in gola e applaudì con energia i ragazzi. Poi iniziò a dirigersi mesto verso l'uscita. Aveva appena preso la sua decisione: non sarebbe mai più venuto a veder giocare il figlio.
"Ma che fai, vai via ora? Mancano almeno dieci minuti più il recupero, facciamo ancora in tempo a batterli, quegli stronzetti." Gli disse allora il padre del marcatore.
"Il calciatore migliore è quello orfano." Rispose con amarezza Giancarlo, senza fermarsi.
12345
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati
Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0