Seduti sul divano rosso mattone del suo salotto, che tante sere ci aveva cullato, mi disse che era finita, che se ne sarebbe andato, che mi avrebbe lasciato vivere tranquillamente i miei vent'anni, che con lui erano solo problemi.
Mi voltai e gli lanciai addosso il vecchio cuscino ricamato in beige. Di nuovo aveva tirato fuori la storia dei vent'anni. E le sue parole " voglio lasciarti vivere" mi sembrarono proprio una scusa bella e buona per disfarsi di me, di quello che ero stata e di quello che ero per lui. Un giocattolo che era diventato troppo pesante. Una via di fuga che si stava pian piano rimpicciolendo.
Lui era incatenato. Avevo provato in tutti i modi a slegarlo da quel vincolo che non lo faceva mai essere totalmente mio. Gli avevo dato il fiore dei miei anni, gli avevo regalato la mia prima volta, gli avevo dato quel che lui aveva deciso di non avere, gli avevo dato l'ultimo scampolo della sua giovinezza.
E lui adesso aveva il coraggio di sgretolare il "nostro sogno", come lo chiamava, e addirittura di scappare via da me. Vigliacco. Lo era stato da sempre. Gli lanciai il cuscino e corsi verso la porta, in un attimo la aprii e la sbattei dietro le mie spalle, senza che nessuna mano mi trattenesse, senza che nessuna voce mi chiedesse di non farlo. Vigliacco. Cos'erano stati per lui quegli otto mesi? Un sogno come diceva a me? O un gioco? Non mi chiamò e non mi cercò per alcuni giorni. Io rimasi chiusa in camera a ripensare a quelle parole a quelle promesse di libertà. Stupida fu la parola che più volte mi ripetei. Stupida bambina che ti fidi di un uomo. E ancora una volta così facendo lo amavo. Perchè non davo la colpa a lui. La davo la me stessa. Di non aver capito prima, di non aver saputo resistere di fronte a lui, di essermi persa prima fra i suoi occhi e poi fra le sue braccia, di essermi fidata. Stupida. La colpa era solo mia.
Poi, inaspettato, mi arrivò un suo messaggio. Voleva vedermi. Ancora una volta, per l'ultima volta. Dentro mi scoppiò di nuovo la rabbia. Si era concesso come con nessun altra, mi aveva allontanato, da lì a poco sarebbe andato via e voleva vedermi per l'ultima volta. Vigliacco. Stupida. Dissi di si. Ci vedemmo. Lui, dannatamente bello. Anche quel giorno come tutti i giorni, il maglioncino a righe blu e grigie gli donava particolarmente. Sapevo che non avrei potuto più far niente. Da un giorno all'altro, per sua decisione lo stavo perdendo e non gli avrei concesso nemmeno di scusarsi. Ero andata lì solo per urlargli contro tutta la mia rabbia verso di lui, che mi aveva illusa per poi fuggire via. Vigliacco. Lui ancora una volta però mi stupì. Era calmo, pacato, mi disse solo quattro parole. "Posso solo dirti grazie". E io non riuscì più a muovermi. Rapita dalle sue parole. Di nuovo persa in quei suoi occhi color del cielo. Delicatamente mi sollevò il mento verso di lui e appoggiò per l'ultima volta le sue labbra sulle mie. Io immobile. Ero delusa, avevo capito. Non voleva più volare con me. Quel suo bacio chiudeva per sempre il lucchetto delle sue catene. Una lacrima mi scese giù, sulle guance, fino al collo. Gli dissi solo che mi aveva fatto sognare davvero, ma che ero io a non volerlo vedere più. E me ne andai, sicura ormai di averlo perso per sempre. Quella fu l'ultima volta che ci parlai. Che ci baciammo. Che fummo noi. E infatti anche lui se ne andò alcune settimane più tardi. Nemmeno lo salutai. Si concluse così la mia storia d'amore con Don Damiano. Vigliacco, anche se ancora oggi, nessuno è stato più come lui.