racconti » Racconti brevi » Dawson city
Dawson city
IL tempo si è fermato, a Dawson city : un'atmosfera quasi irreale avvolge la piccola cittadina del Canada occidentale.
Nel selvaggio Yukon, a circa 250 chilometri a sud del Circolo Polare Artico, teatro della Gold Rush alla fine dell' ottocento. È costruita sul permafrost e sfida ancora oggi le temperature estreme e la forza della natura.
Le case, in legno, ancorate al ghiaccio, sono dipinte di colori vivaci. L'una accanto all' altra sembrano tenute insieme da lunghe passerelle coperte;
I saloon, gli alberghi, i negozi, caratterizzati da grandi frontali, con scritte in bella vista in perfetto stile western.
Alcuni edifici abbandonati, inclinati per effetto dei movimenti del ghiaccio, restano testimoni del periodo della febbre dell' oro ma Dawson è viva e i suoi abitanti ci tengono a mantenere le caratteristiche di un tempo.
E così apparve a me e alla mia compagna di allora : un posto con atmosfera da frontiera ma dove la vita scorre normalmente; almeno d' estate, quando la neve lascia spazio al verde e ai fiori. I turisti attirati dai resti delle miniere d' oro e dalle notevoli bellezze della zona circostante cominciano ad affollare bar e negozi di ogni tipo. Anche i numerosi alberghi si riempiono : ricordo che trovammo posto a stento in una stanza denominata "suite" , dove c' era appena spazio per il letto e
il bagno era assolutamente in linea con le dimensioni della camera.
Naturalmente cominciammo a gironzolare qua e la' scoprendo per esempio che il vecchio edificio delle Poste, ormai in disuso era perfettamente conservato nei suoi interni con tanto di mobilio e di accessori. Era agosto e faceva molto caldo,
di tanto in tanto entravamo in un locale per bere qualcosa ma anche per la frenesia di scoprire.
Si, eravamo come due bambini : con gli occhi curiosi e avidi di novità' !
E fu proprio varcando la soglia di uno di questi bar che quella sera ci accorgemmo che eravamo entrati nell' unico posto che, rimanendo aperto anche durante il lungo e rigido inverno artico, accoglieva la "fauna" locale. L' abitudine a ritrovarsi li' nel periodo invernale faceva si che la gente del posto si concentrasse in quel bar anche in estate! Era ampio : entrando a sinistra un grande bancone per la mescita, uno specchio alla parete.
Nella sala tavoli tondi e poltroncine anch' esse in legno con la spalliera bassa e a semicerchio. Piu' in la', da una parte, riposava un vecchio piano "scordato" ; su alcuni tasti il segno caldo di mozziconi dimenticati.
In fondo, su un palchetto, una band si stava preparando. Il pavimento di grosse assi un po' sconnesse scricchiolava lamentandosi per i tacchi degli stivali. Alle pareti stampe antiche raffiguranti animali cacciati, personaggi celebri e la Dawson di inizio secolo. La luce bassa e il forte odore di alcool misto al fumo completavano l'effetto !
Che personaggi! Cacciatori, taglialegna, qualcuno continuava a cercare l'oro.
I volti segnati da una vita rude. Abituati alla forza di una natura splendida ma spesso selvaggia e ostile, dove la temperatura può' scendere fin sotto i 50 C° !
Sentivamo tanti occhi addosso e quasi timorosi ci rendevamo ad un tratto conto di essere noi la novità' ! Come pesci fuor d' acqua, non provavamo una bella sensazione, ma ecco che uno di loro, dopo averci fatto un sorriso che metteva in mostra più' gengive che denti, presentandosi ci invito' al tavolo per una birra. Eccitati per il "contatto" cominciammo a parlare, prima della nostra vita " europea" , poi pero', inevitabilmente la conversazione si sposto' sul fascino dello Yukon.
"Ok sentite questa" disse Ron tra un sorso di whisky e una birra, "Circa venti giorni fa avevo deciso di andare a fare una scorta di legna per l'inverno.
Mi svegliai più' presto del solito quel giorno, ero impaziente di iniziare il mio lavoro e volevo farlo nelle ore più' fresche. Presi il mio vecchio pick-up e attraversato lo Yukon river con il traghetto cominciai ad addentrarmi nel bosco.
Avevo appena cominciato a tagliare alcuni tronchi quando dal fitto della vegetazione vidi apparire due piccole sagome scure : due orsetti venivano nella mia direzione. Ero cosciente che quindi da li' a poco avrei visto anche la madre e che lei mi avrebbe considerato un serio pericolo per i suoi cuccioli, il pick-up era troppo lontano per tentare di squagliarmela... e un' orsa che difende la prole non lascia scampo!" Con una mano Ron si tolse il cappello e l' altra la passo' tra i capelli, poi riprese : " La vidi arrivare veloce, era nervosa, le mie gambe cominciarono a tremare. In uno sprazzo di lucidità' mi ricordai di una grossa accetta che avevo portato per spaccare i tronchi più' grandi : con la coda dell' occhio e senza staccare lo sguardo dall' animale che ormai era a pochi metri vidi il manico rivolto verso di me. L' orsa, con la bava alla bocca era a circa un metro e nell' attimo in cui si era fermata e si stava alzando sulle zampe posteriori per attaccare, afferrai l'accetta e gliela conficcai in mezzo agli occhi!" Dopo un momento di silenzio, aggiunse : " Non avevo mai ucciso un orso in vita mia, ma fu un attimo, o lei o io "
Colpiti dal racconto, cercammo pero' di mantenere un atteggiamento neutro. Lo Yukon è una terra dura dove i rapporti dell' uomo con quello che lo circonda sono spesso difficili! Ron intanto continuava a mandare giù' birra accennando con tonalità' improbabili le covers blues della band.
Ancora qualche chiacchiera, l' ultima birra e poi : "grazie di tutto Ron, ci ha fatto piacere conoscerti, ci si vede. "
"Certo, ci vediamo, buon viaggio ragazzi."
Avevamo quasi metabolizzato la storia di Ron ed eravamo stanchi. Era l'una, uscimmo dal locale e... c'era luce! Il sole basso rischiarava come in un eterno tramonto. L'atmosfera surreale di una notte senza stelle... e senza buio!
Godemmo di quella sensazione finche' il sonno non ebbe il sopravvento: la nostra "suite" ci attendeva.
L' indomani mattina dopo una abbondante colazione al Klondike Kate's, un ristorante situato nella zona storica della città' e conosciuto anche perché' vi erano state girate alcune scene di films d' avventura, decidemmo di visitare anche le zone periferiche.
Camminavamo tenendoci per mano, lo facevamo spesso e Dawson sembrava rendesse tutto più' magico. Una stradina in salita ci porto' fino ad alcune case più'
isolate. Da lassù' si vedeva in lontananza lo Yukon river che durante l' inverno, totalmente ghiacciato, permette il passaggio delle auto da una sponda all' altra. Ci girammo verso le case e fu allora che lo vedemmo : se ne stava li' seduto sotto il portico della sua casa con lo sguardo perso in chissà' quale orizzonte.
Una tuta jeans e camicia a scacchi, un berretto logoro e un bastone al fianco.
Avra' avuto novant' anni, la barba bianca e gli occhi liquidi ; ci colpì quella figura e ci avvicinammo. Ci vide e sorridendo chiese : "Da dove venite?" "Dalla Sicilia " dissi e la mia ragazza aggiunse : " Pensavamo di trovare un po' di fresco almeno qui " " Beh allora avete sbagliato stagione " rispose ridendo. Era simpatico.
Ci invito' ad entrare e con orgoglio ci mostro' le sue patate : le coltivava nel giardino, in uno spazio minuscolo vicino alla casa. Quelle patate rappresentavano la vita e l' attaccamento alla sua terra. Tutto intorno era disseminato di cianfrusaglie, oggetti apparentemente inutili. Poi lui ci racconto': era stato un elettricista e doveva essere in gamba perché' a Dawson molte opere elettriche le aveva realizzate lui. Da qualche anno la moglie, che aveva amato molto, era morta. Lei si occupava del giardino e lui aveva lasciato le sue cose la' , dove si trovavano...
Rimanemmo ancora a parlare, era chiaro che gli aveva fatto piacere la nostra seppur breve conoscenza...
Lo salutammo affettuosamente, come si fa con un vecchio amico, lui ricambio'. Poi si sedette e mentre ci allontanavamo lancio' un' altra occhiata e un cenno con la mano. E riprese a guardare l' orizzonte...
Ripensai spesso a quel "vecchio" : il suo sguardo forte e tenero in pochi minuti ci aveva comunicato tante emozioni e forse anche noi ne avevamo date a lui...
La nostra permanenza a Dawson stava per finire, giusto il tempo per qualche acquisto, un altro sguardo in giro, un caffè' e l'ultima foto!
A casa, dopo qualche tempo scrissi una "ballata " per quattro violoncelli... la intitolai Dawson city.
123
un altro testo di questo autore un'altro testo casuale
0 recensioni:
- Per poter lasciare un commento devi essere un utente registrato.
Effettua il login o registrati

Opera pubblicata sotto una licenza Creative Commons 3.0