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Non è andata così (I libri delle vite)
"Dannazione, che botta!". Questo David pensò, guardando, nello specchietto retrovisore, un incidente avvenuto tra due auto. Procedeva molto più lentamente del solito, per poter osservare con maggior cura l'accaduto e cercando di capirne le dinamiche. "Speriamo che nessuno si sia fatto male" si disse tra sé e sé. "Questa provinciale 36, fa paura". Era vero: era il terzo incidente che accadeva su quella strada negli ultimi dieci giorni. Le due auto erano completamente distrutte. Negli abitacoli non c'era più nessuno, ma un'ambulanza era ancora parcheggiata là vicino. C'era pure una volante della polizia. Ad un tratto, notò che la sua andatura stava creando disagio alle auto che seguivano lentamente la sua e decise, quindi, di distogliere finalmente lo sguardo da quel triste "spettacolo" e di accelerare, pur se moderatamente, poiché quello che si era presentato sotto ai suoi occhi, gli ricordava quanto bisognava essere sempre prudenti. Cercò di scacciare gli indesiderati pensieri sul dolore e sulla morte, che gli erano inevitabilmente venuti, pensando invece a cose belle. E cosa c'era di meglio da pensare che, di lì a poco, avrebbe trascorso il compleanno di suo figlio con una bella cenetta che, sua moglie, amava preparare con tanta cura ed amore; poi un bel film avrebbe chiuso in bellezza la serata, siccome a casa sua amavano tutti il cinema." Il momento più bello" pensò, "sarà quando Alex aprirà la scatola contenente il suo regalo" , trovandovi il piccolo robot che tanto desiderava, e di cui i suoi amichetti a scuola parlavano tanto. "Immagino il suo viso quando lo vedrà" si diceva fiero di sé, accarezzando la scatola che teneva appoggiata sul sedile passeggero accanto a lui. Fu proprio in quel momento che lo sentì. Forte e pungente. A tratti insopportabile. Un mal di testa così non gli era mai venuto, anche perché non aveva sofferto mai di mal di testa. "Diamine, che dolore".
Arrivato dinanzi casa sua, parcheggiò l'auto e si diresse verso la porta d'entrata, con il regalo sotto al braccio. Prese le chiavi e le inserì nella serratura. Aprì la porta. Trovò la casa vuota. "Chissà dove saranno" si chiese. Il dolore alla testa era persistente, così, si diresse in cucina, dove c'era l'armadietto con i farmaci, e decise di prendere qualcosa. Fu allora che vide il suo inalatore per l'asma ormai vuoto. Lo agitò: non c'era quasi più nulla. "Ora mi tocca uscire di nuovo", pensò. Pertanto, riprese le chiavi dell'auto e riaprì la porta: ma poi, si fermò. Prese il telefono di casa e compose un numero che doveva conoscere bene, in quanto lo digitò in un lampo. Rispose una voce femminile.
"Pronto?"
"Pronto, Elena"
"Ciao David, dimmi"
"Dove sei?"
"Sono in centro con Alex, perché?"
"Beh, sono tornato adesso a casa e mi sono accorto che l'inalatore dell'asma è quasi finito. Mi chiedevo: potresti passare in farmacia al posto mio, visto che ti trovi già da quelle parti?"
"Certo! ti serve altro?"
"No, amore, nient'altro. Tra quanto pensate di tornare?"
"Penso che saremo lì tra un'oretta. Devo finire le ultime commissioni"
"Bene tesoro.. a proposito, volevo dirti che ho comprato quel robot giocattolo che ad Alex piace tanto. Tu fai silenzio però, mi raccomando."
"Non preoccuparti. A proposito, volevo dirti anche io una cosa importante"
"Cosa?"
"Ti amo"
"Anche io ti amo. A dopo"
Riattaccò e prese una compressa per l'emicrania. Ripensò a ciò che sua moglie gli aveva appena detto. Sorrise. Si sentì un uomo fortunato.
David si stese sul divano. C'era ancora un'ora da aspettare e così, accese il televisore per ammazzare il tempo. Non c'era nulla di interessante, a parte il servizio sull'incidente avvenuto sulla provinciale 36. Seguì la notizia: poi, chiuse gli occhi e decise di assopirsi un po'.
Quando si svegliò, guardò l'orologio e si accorse che era trascorsa un'ora e mezza. Notò che il dolore alla testa c'era sempre e che il farmaco preso, non aveva dato alcun effetto positivo. Si alzò e prese il telefono, ancora intontito. Compose di nuovo il numero di sua moglie, con la stessa velocità di prima. Sentì una voce femminile, stavolta non della moglie, che diceva:
"Siamo spiacenti di informarla che l'utente desiderato non è al momento raggiungibile". Riagganciò. Si rimise sul divano e aspettò che da un momento all'altro, la porta di casa si aprisse.
Passarono altri trenta minuti. Nulla. Poi, d'improvviso, il telefono di casa sua, squillò.
"Pronto"
"Pronto, è il signor David De Large?"
"Si sono io, chi parla?"
"Qui è la stazione di polizia. Signor De Large, siamo spiacenti di informarla che sua moglie e suo figlio sono rimasti coinvolti in una rapina"
D'improvviso David perse la voce e cominciò a sudare freddo.
"Che significa? In che senso 'sono rimasti coinvolti in una rapina'? Come stanno?" disse con quel filo di fiato che gli rimaneva.
"Signor De Large, ascolti: siamo davvero dispiaciuti di informarla che sua moglie e suo figlio, sono morti"
Non era possibile. Non poteva essere. Stava sognando sicuramente. Una cosa del genere, succede solo nei film, non nella realtà. Poi, improvvisamente, si rese conto che quello non era né un sogno, né un maledetto film. Il dolore dentro divenne sempre più forte, man mano che la consapevolezza di quanto quel poliziotto aveva detto al telefono, aumentava.
"Venga in centrale, l'aspettiamo"
Gli istanti successivi, furono i più drammatici della sua vita. "Non può essere" si diceva tra sé e sé, scoppiando in un pianto a dirotto. Si senti mancare le forze, ormai era in balia di un tormento fortissimo che veniva da dentro. Si sdraiò sul divano e premette forte la faccia sul cuscino mentre piangeva. Sotto sotto, avrebbe voluto soffocare.
Ancora intontito ed incredulo, salì in macchina e si diresse verso la centrale di polizia, sperando che, arrivato là, avrebbe trovato sua moglie e suo figlio vivi e che, qualcuno, gli avrebbe svelato che era tutto un dannato scherzo di pessimo gusto.
Con le lacrime agli occhi, faceva fatica a guidare: le luci dei fari delle altre auto, gli davano assai fastidio.
Arrivò alla stazione di polizia. Un poliziotto gli strinse la mano e gli spiegò tutto, con tutta la gentilezza ed il tatto possibili.
David seppe che sua moglie era entrata in una farmacia del centro assieme ad Alex e che, proprio quella farmacia, era stata presa di mira da due rapinatori. Si stava ancora indagando sulle dinamiche dell'accaduto, mentre venivano ascoltati i vari testimoni che avevano preso parte a quel tragico evento.
"Posso vederli?"
"Non ancora. Le faremo sapere noi quando potrà. Nel frattempo, si faccia forza"
Uscì dalla centrale e decise di fare due passi. Sentiva freddo, anche se fuori non faceva freddo. Continuava a non capire, a non volere accettare. Non era possibile. "La mia Elena e il mio Alex... non li rivedrò più"
Passò la notte su una panchina. Non dormì.
Quando fu mattina, decise di alzarsi e si diresse verso la metro. Non doveva prendere nessun treno: andava là perché non sapeva dove andare. A casa, non voleva tornare. Non ce la faceva. "Se ci fossi andato io in quella maledetta farmacia.. come avrei voluto che al loro posto avessero sparato me.. non dovevo telefonarla e chiederle di andarci: è tutta colpa mia di quanto è successo". Preso dalla disperazione, si guardò intorno, sperando che ci fosse nei paraggi un rapinatore, dal quale, si sarebbe fatto volentieri sparare. La possibilità di morire, riusciva in parte ad esorcizzare il suo dolore.
Arrivato giù alla metro, dopo aver sceso due rampe di scale, si sedette su una panchina, nel tunnel in cui i viaggiatori aspettano l'arrivo dei treni. Aveva ancora quel terribile mal di testa ed inoltre, era molto stanco, sfinito per tutto ciò che era successo. Ancora a stento riusciva a trattenere il pianto. Cercò di mostrare un viso quanto meno triste possibile, per non dare spettacolo giù nella stazione. Ci riusciva. La gente lo guardava per un attimo, poi distoglieva lo sguardo dal suo viso, non trovandoci nulla di interessante da continuare a fissare: nulla che non fosse nella normalità di tutte le persone, di tutti i giorni, l'uno uguale all'altro. Dentro di lui, quel giorno era però totalmente diverso da tutti gli altri. Lui stesso era diverso, al punto tale che il mondo attorno gli sembrò diverso. I cartelloni pubblicitari, il rumore della metro, le voci nell'altoparlante, l'affannarsi dei viaggiatori che salivano e scendevano, lo schiamazzare di due o tre ragazzi, ai quali la vita non stava riservando nessun "trattamento speciale", non erano come le altre volte. O forse, erano sempre nello stesso modo, ma in quel momento, li vedeva da un punto d'osservazione differente. L'osservatore, era cambiato.
"Che schifo di vita," pensò, "mentre ti rende felice, ti butta a terra in questo modo. L'unica cosa che riesco a credere, è che qualcuno lassù si diverte a farci soffrire. Qualcuno che ci usa e ci illude, solo per poterci spezzare meglio al momento più opportuno."
"Non è così", disse una ragazza seduta accanto a lui, vestita di jeans e con le cuffiette dell'iPod nelle orecchie.
"Come scusa?"
"Non è come pensi tu"
David rimase per un attimo sconcertato. Forse la ragazza si riferiva a chissà cosa: non era possibile, infatti, che gli avesse letto nel pensiero.
"Che cosa non è come penso io?", le chiese.
"Nessuno si diverte a farvi soffrire, anzi"
Sul serio non era possibile. Come aveva fatto a capire cosa egli stesse pensando? Forse il suo viso, quel giorno, lasciava trasparire i suoi pensieri o, forse, non si era limitato a far scorrere quelle frasi nella sua mente ma, senza accorgersene, le aveva dette ad alta voce.
"Chi sei? Ci conosciamo?"
"Certo, io sono il destino"
A quel punto, David non sapeva se ridere, ricominciare a piangere o cambiare semplicemente posto.
"Il destino?"
"Si. Io so tutto ciò che ti è successo. So che i tuoi non ci sono più da quando eri ancora un ragazzo. So che ieri sera anche tua moglie e tuo figlio sono morti, e che era il decimo compleanno di Alex. So che gli avevi fatto un regalo che non sei riuscito più a dargli"
David rimase pietrificato. Come faceva quella donna a sapere tutte quelle cose? Era molto stanco, sia fisicamente che mentalmente ed inoltre, era disperato: per tutti quei motivi, non fu diffidente e, per certi versi, voleva persino credere alle parole di quella ragazza. Voleva un miracolo, non importa fatto da chi, ma rivoleva sua moglie e suo figlio indietro.
"Sei il destino? Allora, se me lo dimostri, ti credo"
La ragazza prese dallo zaino che aveva con sé, un libro ed una penna. In silenzio si mi mise a scrivere, senza distrarsi mai e, dopo un po', alzò il capo e disse:
"Lo vedi quel ragazzo all'angolo, che aspetta la metro? Quel ragazzo che si da le arie con una sigaretta spenta in bocca, lo vedi?"
" Si che lo vedo"
"Bene, tra venti secondi arriverà il treno e lui distrattamente urterà una ragazza vestita di rosso: le cadranno dei fogli di carta a terra e lui, mortificato ed attratto da lei, l'aiuterà a raccoglierli; i due poi saliranno le scale assieme e si conosceranno; tra qualche giorno si fidanzeranno e tra un anno si sposeranno"
"Si, vabbè!"
"È così, guarda!"
La metro che stava arrivando, provocò un forte spostamento d'aria, il quale mosse vestiti e capelli a tutti i viaggiatori che attendevano l'apertura dei vagoni, dietro la linea di sicurezza gialla. Il macchinista aprì le porte: uscì tante gente. Tra la folla non poteva non essere notato un abito rosso, che, per il colore, destava subito l'attenzione. Era indossato da una ragazza con una pila di fogli i mano. Uscita dal suo vagone, si muoveva incerta tra gli altri passeggeri. Evidentemente non sapeva dove dirigersi: così, si girò di scattò nella direzione opposta a quella verso cui stava camminando e fu, in quel preciso istante, che urtò un ragazzo con una sigaretta spenta in bocca. I fogli caddero. Lui si scusò. I due si chinarono a raccoglierli. Nel frattempo la metro era ripartita. Alzato l'ultimo foglio rimasto, lentamente e col sorriso sulle labbra, si diressero verso le scale.
"È tutto preparato", esclamò David, "quei due sono tuoi amici e hanno recitato una parte".
"Non è così. Vuoi un'altra dimostrazione?"
"Ok"
"L'ultima volta che hai parlato con tua moglie, ella, ti ha detto qualcosa di importante"
"Cosa?"
"Che ti amava"
David a quel punto, credette alla sua interlocutrice. Pieno di stupore, di dolore e di nuove strane speranze, voleva rivolgerle tante domande. Ma fu anticipato dalla giovane donna che disse:
"Tutto ciò che vi accade, accade perché io l'ho scritto in dei libri, come questo qui"
"Anche la mia storia?"
"Certo, anche la tua"
"Fammi leggere, ti prego"
"No. I libri del destino non possono essere letti, altrimenti, le parole scritte sopra, perdono tutto il loro potere e, il senso di ciò che scrivo, si tramuta in un imperfetto ed umano, libero arbitrio"
"Di quale senso parli? I tuoi libri non hanno alcun senso: le nostre vite non hanno senso. Se non, forse, nella tua cattiveria. Si, nella tua cattiveria"
"Ti sbagli, io non sono cattiva. Anzi, il mio compito è quello di far si che, gli eventi dell'esistenza di ognuno, vadano per il verso più giusto"
"Davvero? Non mi sembra. Io avrei dato e darei subito la mia vita, pur di sapere mia moglie e mio figlio vivi. Invece, eccomi qui: tutto perché io li ho mandati in quella farmacia! Tutto, perché tu hai voluto così!"
"Ma io non ho voluto che loro morissero, ed infatti, non sono morti. Non sono nemmeno mai andati in quella farmacia. Io sono qui perché tu, non sei qui."
"Che vuoi dire?"
"Ricordi la provinciale 36 e l'incidente che hai visto ieri? Beh, tu sei stato coinvolto in quell'incidente. Tu ora non sei sotto questo tunnel della metro, ma sei in una sala operatoria e ti stanno operando alla testa. Ecco perché hai sempre quel mal di testa"
"Se è così, perché a me sembra davvero di essere qui? Cosa sto facendo, sto sognando?"
"Diciamo che stai vivendo una specie di sogno. Ho voluto farti vedere come sarebbe andata la tua vita, se tu non avessi avuto quell'incidente"
"Perché?"
"Perché ti lamentavi moltissimo di quanto la vita fosse stata cattiva, visto quanto ti era successo e, per di più, il giorno del compleanno di tuo figlio. Durante il tuo trasporto in ambulanza, quando hai ripreso i sensi, hai giurato con tutte le tue forze di odiarmi. Anche per questo motivo, ho deciso di mostrarti la verità"
"E un altro motivo?"
"L'altro motivo è che non la racconterai"
"Dunque, questi eventi delle ultime ore non sono successi, ma sarebbero accaduti davvero se io non avessi avuto quell'incidente? I miei cari, quindi, ne avrebbero pagato le conseguenze? Beh.. grazie allora. Grazie per l'incidente "
"Te l'ho detto: io non sono cattiva. Tutto ciò che scrivo ed accade, è il meglio per voi"
"Però adesso ti chiedo: come faccio a tornare alla 'vera' realtà?"
"Chiudi gli occhi e dici a te stesso: 'non è andata così'"
David chiuse gli occhi e pensò "non è andata così".
Non è andata così. . Sentiva parlare attorno a lui. "Lo perdiamo, su, facciamo in fretta". Ricordò che poco prima aveva visto tre o quattro uomini sopra il suo viso, con un camice verde addosso. Ciò che era successo, in quell'istante, gli sembrò sempre più nitido.. nella sua mente, la scena gli divenne chiara, come se qualcuno avesse dato il via ad una pellicola...
... un rumore "strisciante" come una frenata. Un botto assordante e poi il silenzio. Aveva aperto gli occhi, anche se a fatica. Ricordò di aver visto tutto rosa-rosso in quei momenti, probabilmente per la copiosa quantità di sangue che, dalla fronte, era arrivata fin dentro gli occhi. Le sue narici erano state pervase dalla puzza di fumo che la sua auto continuamente emanava. Piano piano, le sue orecchie si erano abituate di nuovo ai suoni, dopo che erano state "trafitte" da quel rumore tremendo. "Correte, fate presto!", gli sovvenne che aveva sentito urlare fuori dal finestrino. Era stato tutto così veloce...
"lo stiamo perdendo!"
... "Ah si," aveva pensato, "è stata colpa di quella ragazza vestita di jeans, con la musica nelle orecchie a bordo di uno scooter sbucato all'improvviso: e dell'auto che, per evitarla, non è stata capace di dare precedenza ad un'altra auto, poiché percorreva la provinciale 36 troppo velocemente". I dolori erano dappertutto: forse c'era più di un osso rotto. Ricordò che tutto intorno improvvisamente aveva iniziato a ruotargli, e aveva sentito forte l'esigenza di vomitare. Qualcuno poi aveva aperto lo sportello e delicatamente aveva cercato di estrarlo fuori dall'abitacolo. "Muovetelo piano! ". Era stato per tutto il tempo inerme e si era fatto fare tutto ciò che, le voci dei soccorritori fuori, avevano detto che bisognava fare. "Che schifo di vita crudele", si era detto tra sé, sentendosi come il piccolo robot nella scatola, sballottolato chissà dove. I rumori e le grida attorno, d'un tratto, erano tornati a farsi di nuovo deboli, ovattati, come se qualcuno lo avesse messo di colpo con la testa sott'acqua...
E poi, fu tutto buio.
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