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Una rosa rossa
Alle dodici e trenta in punto il geometra Giorgio Trevi entrò, come faceva da quindici anni a questa parte, nella sala da pranzo della trattoria «Oasi del camionista». Si diresse al suo tavolo abituale, in fondo alla sala, nell'angolo accanto alla finestra e al termosifone. Sulla bianca tovaglia di carta il coperto era già predisposto, compresa la mezza bottiglia di minerale liscia e il cestino con una pagnoncella e una busta di grissini all'acqua. La trattoria era semivuota, sia per la giornata di sabato, sia per il fatto che ormai da sei anni i camionisti non passavano più da lì. Terminata la strada di circonvallazione, il comune aveva posto il divieto di transito ai mezzi pesanti su quel tratto di provinciale che attraversava il paese. Anzi, quel tratto di strada era diventato di competenza dell'Amministrazione Comunale, che l'aveva intitolata al poeta e patriota Massimo Guadagnini, gloria locale di cui oramai pochissimi ricordavano le opere e le gesta. Ma penso che questi fatti non interessino alcuno, per cui riprendiamo ad occuparci del geometra Giorgio Trevi. Aveva scelto quel posto in fondo alla sala perché desiderava pranzare in tutta tranquillità, il più lontano possibile dalle tavolate di autisti, rappresentanti di commercio, operai di cantieri edili che disputavano a voce alta sui soliti argomenti di loro interesse, che il geometra non condivideva. A volte, in caso di sovraffollamento, era obbligato a ospitare qualcuno di costoro al suo tavolo. Allora cercava disperatamente qualcosa da leggere, foss'anche un vecchissimo depliant pubblicitario, per scoraggiare chi gli sedeva accanto da qualsivoglia tentativo di conversazione. Possiamo con sicurezza asserire che il geometra non amava per nulla socializzare. Soltanto una volta, appena iniziata la sua frequentazione dell'Oasi del Camionista, si era avventurato in una conoscenza più approfondita nei confronti di un giovane autista siciliano, di nome faceva Salvo Tannà, che percorreva su e giù la penisola con il suo autoarticolato, trasportando frutta. Arance in su dalla Sicilia, mele in giù dal Trentino. Aveva un modo tutto suo di raccontare ciò che gli capitava sotto gli occhi durante i suoi andirivieni per l'Italia. Il geometra Trevi non era mai uscito oltre i confini della regione, ma amava viaggiare con la fantasia e il giovane camionista, con il suo eloquio un po' esotico, lo appagava. Il loro era diventato un incontro settimanale che il geometra attendeva con un certo piacere, anche se dissimulato. Poi Salvo mancò di venire a sedersi al suo tavolo per alcune settimane di fila. Vinta la sua naturale ritrosia, chiese notizie a un gruppo di camionisti che stavano disputando accanitamente su un qualche argomento calcistico. Smisero malvolentieri di accapigliarsi su di un rigore dato o non dato (non si capiva bene) e qualcuno gli disse che Salvo, probabilmente a causa di un colpo di sonno, era volato giù col suo camion da un viadotto della Salerno-Reggio Calabria. Se ne tornò al tavolo, a testa bassa. Spinse da una parte il piatto di arrosto di vitello con contorno di cavolfiori che Mario, il cameriere, gli aveva portato, pagò il conto e uscì dalla trattoria. Aveva in testa un' immagine, che gli rimase a lungo impressa. Immaginava il povero Salvo morto, circondato da cumuli di arance, di quelle sanguigne, rosse, e il succo colava tutt'attorno formando piccole pozze. Non gli passò minimamente per il cervello che forse, al momento dell'incidente, sul camion ci fossero le mele. Da allora non mangiò più arance e decise in cuor suo di non lasciarsi più coinvolgere. Il geometra Giorgio Trevi era un uomo solo e così desiderava rimanere.
Dopo la morte della moglie, si era licenziato dalla piccola impresa edile presso cui lavorava da quando si era diplomato e aveva aperto uno studio professionale in città. Non proprio in centro città, ma verso la periferia, dove gli affitti sono meno cari. Si barcamenava con qualche accatastamento, piccole concessioni edilizie: verande, tettoie, soppalchi e poco altro. Ogni tanto il Governo decretava un condono e allora gli affari del nostro geometra subivano una piccola impennata, ma poi si ritornava al solito tran-tran. Era un professionista affidabile, scrupoloso e la sua clientela, anche se non numerosa, era comunque soddisfatta.
In questo sabato primaverile di mezzo sole, alle dodici e quarantacinque, Giorgio Trevi sta sbucciando con estrema attenzione e precisione una pera Kaiser dal bel colore ruggine. Cerca di non far colare il succo sulle mani: odia avere le mani appiccicose e nel contempo non vuole neppure essere costretto ad andare in bagno a lavarsele. Si sa che i servizi igienici delle trattorie lasciano sempre a desiderare in fatto di pulizia. Almeno così la pensa il geometra. Non si è accorto che un venditore ambulante è entrato nel locale e, tavolo dopo tavolo, si è fermato davanti al suo.
"Vuoi bella rosa, signore? Guarda come sono rosse e fresche!"
Entravano spesso nel locale ambulanti di ogni razza ed età, da qualche tempo più numerosi del solito. Vendevano ogni genere di mercanzia: accendini, calze, fazzoletti, ombrelli, monili, cinture e altro ancora. Solitamente il geometra adottava la tattica del "non ti vedo e non ti sento", ossia rimaneva imperturbabile a fissare il vuoto, cosicché il postulante se ne andava, dopo qualche debole insistenza. Iniziava a mettere in atto la sua tecnica quando quegli si trovava a qualche tavolo di distanza, in modo che al suo arrivo era già entrato nell'atteggiamento giusto. Oggi invece non si è accorto di niente e perciò si trova impreparato. Alza la testa dal quarto di pera che è rimasto nel piatto e si trova a scrutare il volto di un giovane scuro di pelle, nero di capelli e di occhi, che gli sta porgendo una rosa rossa a stelo lungo, con parte del gambo avvolto in carta stagnola.
"Compra bella rosa, tu porti a tua signora!"
I pensieri del geometra in quel momento sono lontanissimi mille miglia dal pensare di acquistare una rosa e per di più donarla a una donna morta da quindici anni. Ma c'è qualcosa che scatta nella sua mente: quel venditore di rose, probabilmente indiano o cingalese, ha un che di somiglianza con Salvo Tannà. Non avrebbe saputo definirlo con esattezza: tuttavia guardandolo rivede Salvo, come lo aveva immaginato nel suo ultimo pensiero su di lui, laggiù in mezzo alle arance spiaccicate. Era tanto tempo che non gli ritornava in memoria. Si fruga nelle tasche della giacca e vi trova una moneta da un euro. Prende la rosa con una certa rudezza, quasi controvoglia, e porge la moneta. "Ancora un altro euro, signore! Così troppo poco." Il venditore gli sta tendendo la mano aperta, grassoccia, con il palmo più chiaro del dorso. Il geometra ne prova quasi ribrezzo. "Un euro basta e avanza... se non ti piace riprenditi la rosa e vattene!" Giorgio Trevi si è già pentito di quell'acquisto fatto in maniera così compulsiva, ma il giovane non insiste, si mette la moneta in tasca e si allontana verso l'uscita. Fatti due passi, però, si volta verso il geometra, gli sorride e gli dice: "Ti auguro tanto amore!"
Fuori dal locale si avvicina alla bicicletta, che ha lasciato accostata ad un albero. È una vecchia bicicletta da donna, di colore verde, con il cestino di vimini fissato dietro per contenere i pacchi. Era di sua moglie. Alcuni anni fa Giorgio Trevi aveva deciso di fare un po' di moto e nel contempo un po' di economia, spostandosi in città con la bicicletta. Riesumata in cantina e ripulita per bene, oramai era il suo consueto mezzo di locomozione, estate ed inverno, con qualsiasi tempo. Nel chinarsi per sbloccare il lucchetto, avverte un intenso profumo che gli dà quasi un senso di vertigine. O forse si tratta di quel piccolo giramento di testa che da qualche tempo accusa. In effetti un forte profumo di tigli in fiore pervade tutto il viale «Massimo Guadagnini». Strano, pensa il geometra, non lo avevo sentito quando sono arrivato. Forse è perché il sole ora scalda di più o forse è perché ci sono dei momenti in cui le nostre sensazioni non arrivano al cervello, come se ci fosse qualche valvola chiusa che ne impedisce il passaggio. Probabilmente il cosiddetto uomo civile ha disimparato come far fluire liberamente ciò che gli perviene dai sensi. A Giorgio quel profumo così intenso e dolciastro comincia a dar fastidio. Deposita con cura la rosa nel portapacchi, facendo spuntare il lungo gambo all'indietro, inforca la bicicletta e pedala verso casa.
Il geometra ha oltrepassato da poco la soglia dei cinquanta: è un uomo ben portante, come si suol dire, di altezza sopra la media, asciutto, con una bella testa dal naso forse un poco pronunciato ma gradevole, capelli corti brizzolati, occhi chiari. Pedala senza fretta né fatica: dalla trattoria alla sua abitazione la strada è tutta pianeggiante. Abita in un piccolo condominio di otto appartamenti: uno degli ultimi edificati al tempo del boom edilizio. Lo aveva costruito l'impresa in cui lavorava, perciò aveva ricevuto delle facilitazioni per l'acquisto. Sua moglie Annamaria se l'era goduta poco quella casa. Un brutto male l'aveva portata via in pochi mesi. La cantina per riporre la bicicletta è sul retro dell'immobile. Terminato il rimessaggio ritorna sul davanti, dove si trova il portone d'ingresso. Deve cercare le chiavi, si passa la rosa da una mano all'altra, nervosamente. Dove si saranno cacciate quelle stramaledette chiavi? "Aspetti, geometra, le apro io!" Si volta: con passo svelto la signora Santin del terzo piano sta avanzando verso di lui, giù per il vialetto. Ha già estratto il mazzo di chiavi dalla borsetta, lo agita con il braccio teso e gli sorride. Nell'androne la donna si ferma, guarda il fiore, guarda Giorgio: "Che bella rosa... è per me, forse?" "Beh... no... sì... se la gradisce." Questa proprio non se l'aspettava, lo stranito geometra Trevi. Porge meccanicamente il fiore alla signora Santin, che lo prende con delicatezza e abbassa la testa per annusarne il profumo. "Che bella rosa... come posso sdebitarmi? Venga su da me che le preparo un buon caffè." "Grazie, non bevo mai caffè... né alcolici" si affretta ad aggiungere. "Che bravo, è proprio un salutista... neppure d'orzo?" "No, grazie, neppure d'orzo." "Allora... sarà per un'altra volta. Anzi, fissiamola subito quest'altra volta. Venga domani a pranzo da me, e non mi dica che ha già altri impegni!" È difficile tenerle testa, il geometra si rassegna: "Domattina avevo intenzione di andare a pesca. Le porterò due belle trote. Cuociono in poco tempo. Le piacciono le trote?" "Ne vado matta!" L'ascensore si ferma al terzo piano: "A domani, allora!" cinguetta la signora Santin uscendo. "A domani" bofonchia il geometra Trevi premendo il bottone del quarto.
Questa signora Santin, Elena Santin per la precisione, come sta scritto sulla targhetta del citofono, era venuta ad abitare nel condominio da alcuni mesi. Il geometra Trevi l'aveva incontrata poche volte, senza farci troppo caso. Probabilmente i loro orari non coincidevano. Fino ad oggi si erano scambiati i soliti buongiorno e buonasera, con l'aggiunta di brevi commenti sul tempo durante le corse in ascensore. La signora Minelli del primo piano lo aveva informato, senza esserne richiesta, circa l'attività della signora Santin: "È maestra elementare, insegna alle scuole «Dante Alighieri», sa, quelle in piazza della Repubblica. Si è trasferita in città da sette mesi. Prima insegnava a Poggio Sottano, dove è nata. Viveva con il padre, che era invalido. Morto il padre se ne è venuta via dal paese." Il geometra cercava invano di svicolare da quella conversazione che non l'interessava minimamente. "Devo andare, signora, mi aspettano." "Vada, vada, se deve proprio andare, buongiorno... Ah! Dimenticavo, non è sposata, che io sappia!"
E se lo affermava la signora Minelli ci si poteva mettere la mano sul fuoco.
Entrato in casa, Giorgio si toglie le scarpe e indossa le sue vecchie ma comode pantofole di panno. D'accordo che siamo in primavera, ma le case sono ancora fredde. Si cambia, mettendosi comodo. Ha tutto il pomeriggio davanti a sé, ma non ha voglia di uscire nuovamente. Ha da terminare un romanzo, che ha acquistato da una bancarella di libri usati che staziona abitualmente vicino al suo studio. Pensa con sollievo che non deve neppure recarsi al Minimarket per la spesa della domenica. È il giorno di riposo della trattoria. Almeno un vantaggio ce l'ha questo invito davvero inaspettato. Dal tavolino del piccolo salotto dove si è accomodato per leggere il suo libro, Annamaria lo guarda. La foto, nella cornice d'argento sbalzato, la rappresenta sorridente, seduta in mezzo a un prato di fiori gialli. Si erano appena conosciuti ed era primavera, come adesso. Chissà cosa avrebbe pensato di questo appuntamento? Che sciocchezza! Se Annamaria fosse viva non ci sarebbe stata occasione di appuntamenti di sorta! Giorgio era stato fedele alla moglie, sia nei pochi anni di matrimonio, sia nei lunghi anni di vedovanza. Si erano amati di un amore tranquillo: né eccessi né impennate, come d'altronde era nei loro caratteri. Niente figli, anche se qualche volta ne avevano parlato, senza però prendere una decisione definitiva. Annamaria era impiegata in uno studio notarile, per cui un figlio avrebbe creato non pochi problemi. Giorgio decide di porre fine a queste riflessioni, che teme lo portino troppo lontano: afferra il romanzo, toglie il segnalibro e si concentra nella lettura.
La mattina successiva si alza per tempo e si prepara per andare a pesca. È un eccellente pescatore: fin da piccolo aveva seguito lo zio Aldo su è giù per i numerosi ruscelli che scendono dalle colline. Da lui aveva imparato tutti i trucchi del mestiere. Ripone l'attrezzatura nel portabagagli dell'auto e si avvia verso la campagna. La giornata si prospetta serena, anche se il sole non si è ancora levato. Nell'uscire dalla città, costeggia un tratto di terreno incolto, posto a ridosso di una piccola altura alberata. Rallenta, come fa sempre quando passa da lì. Quel terreno è suo, ereditato dal padre, che lo coltivava. A livello di hobby, s'intende. Suo padre di lavoro faceva il ferroviere, ma nei momenti liberi e poi, durante il pensionamento, si dilettava ad accudire quel suo pezzo di terra. Si era costruito una baracca per gli attrezzi, poi un pollaio e una conigliera. Il suo orto era ammirato da tutti i cultori di quest'arte come esempio di ordine e operosità. Tirava con la lenza da muratore i solchi per le verdure e la disposizione e conformazione dei tutori per i pomodori sfioravano la perfezione. Peccato che il figlio non avesse ereditato con il terreno anche la medesima passione: dopo pochi anni la morte del padre l'orto era divenuto una distesa di erbacce e la baracca di legno ormai marcito stava per crollare. Giorgio aveva resistito alla tentazione di vendere, nonostante le diverse richieste che gli venivano rivolte. Ricordava le massime che suo padre ogni tanto enunciava con solennità: «comprare sempre, vendere mai»; e ancora: «i terreni non se li mangiano i topi». Ritorna a fissare lo sguardo sulla strada, per altro deserta in quest'ora mattutina. Un giorno o l'altro dovrei dare una buona tagliata a tutta quell'erba: sembra una giungla, pensa. Lo pensa spesso, ma non ha mai trovato la voglia per farlo. È che l'erba poi ricresce... e non si finisce più.
Oggi i pesci non hanno voglia di abboccare. Ne pesca solo un paio sotto misura, che ributta nel ruscello. Si fa tardi e il cestino è ancora vuoto. Ripone gli attrezzi e riparte. A circa dieci chilometri di distanza c'è un allevamento di trote. Il proprietario è stato suo cliente per una faccenda di condono edilizio. Non è per nulla contento di dover ricorrere a questo espediente, ma non può certo fare brutta figura proprio oggi! L'allevatore gli viene incontro sorridente: "Geometra! Qual buon vento!" "Mica tanto buono, oggi proprio non mangiano!" "Forse è la luna a non essere buona... per chi ci crede, naturalmente. In che cosa posso servirla?" "Due belle salmonate, sui quattro etti."
Fatta la doccia, mentre si passa il phon sui capelli, lo pervade un dubbio: "Cosa mi metto?" In accappatoio va nella camera da letto e spalanca le ante dell'armadio. Dalla parte sinistra ci sono ancora gli abiti della moglie, insaccati in buste di plastica e con la brava pasticca antitarme all'interno. Non ha mai trovato il coraggio di darli via. A destra ci sono i suoi: pochi per la verità. In studio tiene addosso un camice grigio. Una volta una cliente un po' sfacciata gli aveva detto che sembrava un magazziniere, ma lui non si era minimamente offeso né mutato il colore del camice. Trovava che il grigio gli si addicesse meglio di tutti gli altri colori. Occasioni per sfoggiare un vestiario almeno un po' decente non ce ne erano state mai, finora. Per non dire della complicazione rappresentata dalla mezza stagione. Non si sa mai come vestirsi: per timore di essere troppo leggeri o viceversa troppo pesanti. Alla fine decide di non formalizzare troppo l'incontro: camicia azzurra senza cravatta, pantaloni di velluto a coste marroni, giacca cosiddetta sportiva, cioè color cammello con le pezze scamosciate ai gomiti. Si guarda nell'anta con lo specchio a figura intera. Cerca di sorridere alla sua immagine, ma gli viene un ghigno un po' forzato. "Non sono poi tanto male, per la mia età!" si scopre a pensare. "Dai, piantala... e poi che cosa rappresenta questa Elena Santin, in definitiva? Un vicina di casa, e anche sfacciata, per di più. Ho fatto male a darle quella rosa... anzi, non dovevo neppure acquistarla da quel rompicoglioni di indiano." Una goccia di dopobarba, una spazzolata ai capelli, una lucidata alle scarpe... ah! non dimentichiamo le trote... e adesso scendiamole queste due rampe! Coraggio, che fra un paio d'ore me ne ritorno su a finirmi il romanzo!"
Ritorna su che sono le dieci di sera passate da un pezzo. Apre la porta dell'appartamento alquanto trafelato. Ha salito le due rampe di corsa, per paura di essere visto da qualche condomino di passaggio. Rischio molto remoto: quello è un condominio tranquillo, non ha incontrato anima viva. Il fatto è che non indossa la camicia. Il colletto si era macchiato di rossetto. Elena si è proposta: "Ci penso io a smacchiarla, lasciamela qui." Indossato il pigiama, mette su un vecchio maglione e si sistema comodo sul divano. Deve riordinare le idee: non è stata una domenica qualsiasi! Avrebbe voglia di bersi un goccetto di cognac e fumarsi una sigaretta. Ha smesso di fare sia l'una cosa che l'altra durante il periodo della malattia della moglie. Una specie di fioretto, come suol dirsi. Non è servito a guarire Annamaria, ma Giorgio ne ha tratto indubbio giovamento. È facile comunque resistere alla tentazione: infatti è sprovvisto sia di liquori che di tabacchi. Ripensa alla giornata e ad Elena. Si era sistemata bene per l'occasione: non aveva più quell'aspetto di maestrina solerte e asettica. Non portava gli occhiali e si era anche sciolta i capelli. Senza esserne richiesta gli ha dichiarato i suoi 43 anni. Si è stupito: gliene dava di meno. Forse avrebbe dovuto dirle che la faceva più giovane, ma non l'ho ha fatto, anche se era evidente che lei si aspettava che lo facesse. Si è interessata molto al suo hobby; lo ha incoraggiato a raccontarle le sue catture più clamorose. Elena è appassionata di cinema e di teatro. Arrivata in città si è subito iscritta ad una compagnia filodrammatica. In cucina ci sa fare: le trote erano cotte a puntino. Anche il risotto con i funghi era eccellente. Terminato il pranzo si sono accomodati in salotto su un piccolo divano. Lei aveva noleggiato un film in DVD: una commedia americana, brillante, ma anche sentimentale. Ha tirato le tende e ha premuto il telecomando. Verso la fine del film è successo il fatto della camicia. Non avrebbe dovuto mangiare la seconda fetta di crostata di mele e soprattutto bere quel calice di spumante. Dopo le cose sono andate per conto loro. Ma Giorgio non vuole ripensarci: è sempre stato particolarmente pudico in fatto di sesso: gli ha sempre dato fastidio sentirne parlare e tanto meno ama rimuginare pensieri pruriginosi. Non vuole ripercorrere ciò che è accaduto nel pomeriggio, solo un interrogativo gli frulla per la testa: com'è che una donna che ha trascorso gran parte del suo tempo ad accudire il padre invalido si è dimostrata così... diciamo... intraprendente e attiva a letto? Scaccia infastidito il pensiero. Non vuole mettersi dei tarli nel cervello. È consapevole di non essere un gran conoscitore delle profondità dell'animo femminile e delle sue pulsioni. Si alza e si avvicina alla libreria. Seminascosta tra i volumi e un po' impolverata, estrae una cartellina rossa chiusa con l'elastico. Sulla copertina campeggia una scritta marcata, in lettere maiuscole: VILLA TREVI. Nel fare spazio sul tavolino scosta il portaritratto di Annamaria. Lo assale una specie di rimorso, che si traduce in una passeggera morsa allo stomaco. Procede comunque ad aprire la cartellina, disponendo i disegni sul piano. Anni fa, nel tempo libero, si era dedicato a progettare una villetta per loro due, da edificare sul terreno del padre. In quel periodo, tuttavia, il terreno era in Zona Agricola: impossibile ottenere la licenza per costruire. E poi suo padre ancora vivente mai e poi mai gli avrebbe permesso di buttare all'aria il suo meraviglioso podere. Ma le città si espandono e con il nuovo Piano Regolatore la sua terra era stata inclusa in Zona Residenziale. Quando ne era venuto a conoscenza, non vi aveva dato soverchio peso. Il progetto della villa era rimasto dov'era, nello scaffale tra i libri. Esamina i vecchi disegni. La carta è ingiallita col tempo, c'è anche poca luce in salotto, la stanchezza ha il sopravvento. Decide di andarsene a letto. Domattina si porterà la cartellina in ufficio per esaminarla con calma. Se trova il tempo farà anche un salto all'Ufficio Tecnico Comunale, così, tanto per informarsi meglio.
Un anno in più, un anno in meno, come a volte si sente dire da qualcuno. Frase che ci mette addosso una certa malinconia. Al geometra Giorgio Trevi sono accadute più cose in questo anno che in tutti i quindici anni passati. Esce ancora di casa tutte le mattine alle sette e mezza, inforca la vecchia bicicletta verde, pedala con ritmo regolare fino alla piazzetta dove si trova il suo studio, sistema nella rastrelliera il suo mezzo di locomozione. Le scuole elementari «Dante Alighieri» sono qui vicino. Accanto alla sua staziona la bici di Elena, rossa, nuova fiammante, col cambio Shimano. Prima o poi dovrà decidersi a prenderne anche lui una così, ovviamente da uomo. La vecchia bici di Annamaria non ne può più. Anche la colazione al bar, insieme, è una novità. Prima prendeva una tazza di latte bianco a casa, inzuppandovi il pane avanzato dal giorno prima. Ora trova molto più corroborante un cappuccino con abbondante schiuma color nocciola e un croissant caldo di forno. Durante la stagione di pesca Elena ha voluto che le insegnasse l'arte: come era emozionata quando ha tirato a riva la sua prima preda! In compenso Giorgio si è iscritto alla compagnia teatrale. Dapprima lo hanno messo ad allestire le scene. Ha esordito il mese scorso. Non è stato per nulla semplice per lui vincere la paura del palcoscenico. Fortunatamente doveva pronunciare poche battute soltanto. I lavori della villa sono iniziati, il tempo è stato d'aiuto e sono già state gettate le fondazioni e la prima soletta. Intorno ci sono grandi cumuli di terra dello scavo: tutte le volte che si reca in cantiere Giorgio pensa a cosa direbbe suo padre di tutto quel bailamme. Ha comunque previsto di lasciare un po' di terreno per l'orto, dietro alla villa. Elena ha voluto alcune correzioni al progetto originario. Dopo qualche rimostranza le ha accettate, riconoscendo le sue buone ragioni. Ha smesso di frequentare l'«Oasi del Camionista». Ora pranzano alle tredici, a causa dell'orario di lei, presso un selfservice adiacente alla scuola. Ha un nome inglese «Twelve o' clock», ma si mangia all'italiana. In principio era un po' a disagio nel doversi aggirare per il locale con il vassoio in mano, ma ora ci si è abituato. Giorni fa è entrato al Twelve quello stesso venditore di rose. Giorgio era seduto con Elena ad un tavolo distante dall'entrata, ma ha alzato un braccio per richiamare la sua attenzione: "Una rosa rossa per la signora." "Due euro" gli ha chiesto il ragazzo. Giorgio ha cercato nel portafogli e gli ha porto una banconota da dieci euro. Lo ha fermato con un gesto mentre frugava nel borsello per dargli il resto. "Va bene così! Le tue rose valgono molto di più del prezzo che chiedi."
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