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Montgolfier
Borgo Castello, 26 maggio 1981
L’ho trovata! L’ho trovata! L’ho trovata! Sono sicuro, è lei, è LEI, e oggi mi vergognerò un po’ meno nel lasciare su questo mio personale diario le tracce dei miei pensieri.
Anzi, non mi vergognerò affatto, se impugnando la penna mi siedo per riempire febbrilmente le pagine di questo quaderno. Non mi vergogno perché sono al settimo cielo! CARO DIARIO!
Al settimo cielo ci sono andato veramente, ed è lì, sospeso a mezz’aria, che ho trovato la persona che da tempo stavo cercando. Senza saperlo, intendiamoci, non sapevo di cercare lei, come non sapevo di stare cercando qualcosa, qualsiasi cosa.
Quando Paolo mi ha proposto questa piccola avventura, una giornata in mongolfiera per un sorvolo delle colline toscane, non immaginavo minimamente che di cose ne avrei trovate addirittura due. Avrei trovato la passione, lo sviscerato senso dell’aria, un benessere addirittura terapeutico nel trovarmi a centinaia di metri dalle cose di cui normalmente dispongo.
E avrei trovato lei, ovviamente.
Quasi ho paura a scrivere il suo nome su queste pagine, come se qualcuno me le dovesse rubare stanotte e con le pagine l’immagine di lei. Non lo scriverò, anzi; ho deciso di tenerlo per me.
La chiamerò…Aria, ecco sì, la chiamerò Aria, con una bella maiuscola perché si capisca che sto parlando di una persona viva e stupenda!
Ed io nemmeno sapevo, giuro, che universo potesse celarsi dietro ad un pomeriggio in mongolfiera.
Certo, sapevo quello che ti insegnano a scuola, quando la maestra ti mostra una stampa settecentesca che raffigura un pallone ricamato con cui si librano i celebri fratelli Montgolfier.
La mongolfiera moderna non l’avevo mai veramente considerata, confinandola ad una immagine un po’ patinata, pubblicitaria.
Ci siamo trovati ieri mattina, di buon ora, in modo da evitare le turbolenze generate dall’aria che si scalda, come mi ha spiegato Paolo. L’ho aiutato a scaricare tutto il materiale (e quanto materiale!) dal retro del fuoristrada, fermandomi di tanto intanto a guardarmi intorno; già di per sé il posto scelto per il decollo era stupendo nella sua semplicità, con i prati ampi, verdi, ansiosi di colorirsi del sole di fine maggio. Un casolare, troppo lontano per poterci disturbare il decollo, mi faceva pensare a quando quel pezzo di terra veniva coltivato, o alle bestie libere di brucare e di dare il latte per quel formaggio che adoro.
Mettere una mongolfiera in condizioni di volo, ho scoperto, è un processo lungo che va eseguito e seguito con attenzione, una sorta di rito che non prepara all’imminente volo solo l’oggetto, ma anche l’anima di chi presto ci salirà.
Prima di tutto si prepara la cesta in vimini, un grossa capiente cesta in cui prendono posto i passeggeri; immediatamente ho pensato che io non mi sarei mai fatto appendere a metri e metri dal suolo in un cestino della frutta, ma poi mi sono vergognato di questo pensiero infantile.
La cesta è sovrastata da un castello su cui si montano le bombole del gas che, bruciando, riscalda l’aria all’interno del pallone, una volta gonfio. Ecco appunto, una volta gonfio…perché prima c’è da gonfiarlo! Con pazienza abbiamo dispiegato la robusta tela del pallone ed abbiamo iniziato a gonfiarla con un adeguato ventilatore. Questa parte della preparazione mi ha ricordato molto quando da bambino aprivo il rubinetto per riempire la vasca da bagno, ed aspettavo che il livello dell’acqua si alzasse con un misto di impazienza e voglia di immergermi per scaldarmi le ossa.
A metà gonfiaggio è successo.
Un uragano annunciato da un trillo di campanello di bicicletta è arrivato, sottoforma di angelo, un particolare angelo dai capelli corvini ed un sorriso…come lo descrivo? Il Suo sorriso ovviamente. Facciamo così, caro il mio diario, non descriverò il sorriso per paura che venga rubato come il nome. Lo terrò per me.
Paolo non mi aveva avvertito che ci sarebbe stata anche una sua amica, ed io sono rimasto interdetto a guardarlo mentre si avvicinava e salutava la dea discesa dal cielo con un’Atala azzurra che lei prontamente ha abbandonato fra l’erba.
Raccondolo ora, così, scrivendolo sulle pagine di questo mio diario ed utilizzando queste parole, sembra di descrivere la scena di un film, la classica scena di un innamoramento a prima vista.
E forse è stato proprio così, forse è stata proprio la scena di un film, fattostà che non riuscivo a sbloccarmi e diventarne l’attore principale. Oltretutto Aria indossava una gonnellina a balze bianca ed una semplicissima maglietta azzurra, adatta al clima caldo del giugno che si avvicina, il che ha conferito all’apparizione un tocco ancora più etereo.
Dopo i primi saluti tra Paolo e Aria è venuto il momento della mia presentazione, momento in cui inevitabilmente ho pensato “impossibile che Paolo non mi abbia mai parlato di Lei”.
Lo so, lo so, sto diventando insopportabilmente mieloso, ma stavolta l’ho trovata e non me ne voglio vergognare.
La mongolfiera molto più moderna, colorata, ma anche molto meno ricamata di quella dei fratelli Montgolfier era ormai pronta a spiccare il volo, legata a terra da due corde ed appesantita dai sacchetti ripieni di sabbia che fungono da zavorra.
Paolo ci ha fatti accomodare entrambi nella cesta e poi è entrato a sua volta, dopo aver slegato le cime che ci tenevano legati alle cose di tutti i giorni, alla dimensione terrena da cui sono stato strappato dalla mongolfiera e da Lei.
Eccoci lì, tutti e tre nella cesta, tutti e tre come tre mele in una cesta di vimini, e di nuovo la stupida immagine è ritornata ad affacciarsi nella mia mente, forse per mascherare una sottile paura che mi stava percorrendo la schiena.
Eppure Lei sembrava così tranquilla…probabilmente ha già volato con Paolo ed il solo pensarlo mi ingelosisce un po’. Mi vergogno anche di questo, come delle mele nel cesto di vimini.
Stupito osservo la strumentazione che Paolo mi stava spiegando, incredulo che bastassero tre strumenti a condurci in una dimensione parallela come quella del volo in mongolfiera. In effetti è sufficiente un altimetro che dica a che altezza siamo dal suolo, un variometro, che dica a che velocità saliamo e scendiamo, ed una bussola, per orientarci.
Beh, orientarci…Paolo mi spiega che saremmo stati più o meno in balia dei venti, non essendoci la possibilità di governare la mongolfiera, se non salendo e scendendo alla ricerca delle migliori correnti.
La cosa ovviamente non mi ha tranquillizzato, ma ho deciso di fidarmi di Paolo e della sua esperienza, anche perché non era certo il momento di farsi vedere deboli agli occhi di Aria!
E che fatica, mio diario, che fatica mi è costata trattenermi dal dirle qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse trasmetterle le sensazioni che stavo provando.
Che fatica non dimostrarmi subito pesante, appiccicoso, desideroso anche solo di una sua attenzione nei miei confronti.
Paolo ha tirato una cordicella, una piccolissima cordicella che apre le valvole del gas che bruciando riscalda l’aria, l’aerostato si è alleggerito rispetto al fluido sottostante, e tutto, io, Paolo, Aria, la cesta, le paure, la gioia…tutto ha iniziato a sollevarsi dal suolo.
Immediatamente la cesta di cui dubitavo fino a pochi istanti prima mi ha trasmesso una sensazione di stabilità, di fiducia, per cui ho cominciato a rilassarmi e a godermi l’ascesa verso cieli più limpidi.
Un’altra volta in un film, questa volta con la linea dell’orizzonte modellata dalle verdi colline toscane che si abbassava pian piano scoprendo ai miei occhi nuovi scorci di questa terra che amo tanto.
L’ho scoperto così il volo in mongolfiera, grazie a Paolo e al suo pallone colorato, ed ora, mentre scrivo, fantastico già su futuri viaggi in balìa del vento.
In quei momenti però non riuscivo ad essere completamente distratto dai prati che si allontanavano e dalle lancette degli strumenti che compievano il loro dovere.
Mi sono fissato invece a guardare le mani di lei, ad osservare le nocche sbiancarsi mentre stringevano il bordo della cesta di vimini, ad osservare i suoi occhi mentre con gioia e apprensione si imprimevano ogni particolare del paesaggio sottostante.
Leggerezza, tutto esprimeva leggerezza. Difficile credere che i nostri corpi avessero perso lassù, difficile persino credere che le parole dette o ascoltate continuassero ad esistere una volta tornati a terra.
Perché ovviamente mi ha parlato, ed io ho parlato a lei, con quella immediata confidenza che si ha con una persona con cui si sta facendo qualcosa di speciale, di particolare.
Le ho chiesto poco di lei, inizialmente. Tutti gli sforzi, le sillabe ed i sorrisi di entrambi erano rivolti all’emozione del volo, e di questo Paolo era compiaciutissimo.
L’entusiasmo si alternava a poesia, come i vigneti si alternavano a prati e a colline più brulle che scoprivano i sassi.
Ogni angolo, per quanto in alto fossimo, era esplorabile ad occhio nudo, ogni automobile sembrava minuscola, insignificante.
Mi sono sentito bene, troppo bene, troppo bene per scendere, diciamo.
Altrettanto bene mi sento oggi, ricordando e trasferendo su carta le recenti emozioni.
Di nuovo lei si è rivolta a me, chiedendomi cosa faccio, cosa studio. Devo averle risposto con una faccia da ebete, perché con un sorriso Aria si è girata ed è tornata a contemplare il blu tutto intorno a noi.
Leggera come l’aria calda nel pallone gonfio sopra le nostre teste.
Lo sai, diario, come si ancora una mongolfiera a terra? Lo sai come si può tenerla a terra senza legare nemmeno un piccolo filo? Una volta in equilibrio vicino a terra, si cala una spessa corda, fino a farle toccare il suolo. Si lascia una parte di corda per terra, con la mongolfiera in equilibrio. Se la mongolfiera sale, se vuole scappare dal suolo verso il suo elemento, trascina con sé una parte di corda, che non essendo più appoggiata al suolo appesantisce la mongolfiera che torna giù, al punto di equilibrio. Se la mongolfiera scende, pesante balena che cerca il riposo terreno, si appoggia per terra una parte maggiore di corda, facendo sì che la mongolfiera, più leggera, torni a fluttuare a mezz’aria.
Non è forse perfetto tutto ciò?
Io ho volato altre volte, con aerei, e l’impressione che ne ho tratto, seppur fantastica, era di volare verso qualcosa di preciso, con un davanti ed un dietro precisamente definiti.
Ieri invece il blu era ovunque, sopra sotto ed intorno a noi, la mongolfiera sferica circondata dal blu esprimeva semplicemente perfezione.
Ed in tutto questo non riuscivo a togliere lo sguardo da quello di Lei, non riuscivo ad evitare i capelli corvini che di quando in quando mi sbattevano addosso strapazzati dal vento.
Paolo continuava a concentrarsi sul saliscendi dell’aerostato e sull’andamento delle correnti, mentre io e Aria più rilassati rispetto al decollo ridevamo di noi e di quello che stavamo vivendo.
Lei urlava al vento e così facevo io entusiasta e per nulla vergognoso di fronte al mio esperto amico aviatore.
Questo era il sentimento che mi ispirava lei in quei momenti…liberazione!
Stavo amando l’amore, stavo amando il momento di cui eravamo protagonisti.
Aria si è messa a cantare una canzone che conoscevo, ed io non ho potuto fare a meno di canticchiarla con lei, dando sfogo all’incredibile voglia di sorridere che lei mi stava trasmettendo.
Abbandonarsi ai momenti: quante volte non sono stato capace, quante volte le ragnatele che pretendevo di sgarbugliare si posavano su ogni aspetto della mia vita. Troppe volte la semplicità di un pensiero mi è stata impedita da un muro di pietre e di paura.
Ora lei, splendida nella sua semplicità, più che trasmettermi qualcosa mi incoraggiava ad esprimermi, a soffiare forte sulle ragnatele.
La canzone che cantava diceva molto sulla sua personalità, concreta, pulita e forte nel ricercare i suoi sogni nella vita quotidiana; questo mi ha subito colpito di lei, il fatto di riuscire ad arrivare così direttamente alle cose, alle idee, ai desideri, per quanto irrealizzabili potessero sembrare.
Aria era una persona che aveva fatto del suo sorriso e della sua semplice bellezza un’arma per dare una schiarita al mondo in cui amava tuffarsi.
L’ho desiderata, la desidero. Stringendo le nocche sulla cesta sembravo appendermi all’idea di un futuro con lei.
Dopo due ore così abbiamo iniziato la lenta, soffice discesa verso un campo adatto all’atterraggio.
C’è sempre un po’ di sollievo quando si torna a terra, d’altra parte siamo nati uomini con gambe per camminare e non uccelli, ma ogni metro di discesa portava in me un poco di amaro in bocca per l’esperienza che si avviava alla fine.
E li ho capito.
Ho capito che volare poteva essere la medicina al mio male d’essere, ho desiderato volare per vivere e vivere per volare. Ho capito i mille modi in cui si possono vedere le cose di cui disponiamo ogni giorno, che siano mele in un cesto di vimini o pensieri inafferrabili.
Ho capito che l’avevo trovata e non l’avrei più lasciata andare, che lassù in un metro quadrato avevo trovato qualcosa che mi era sfuggito in anni di cammino.
Vento e Aria, con me. Per sempre. Chi ha il coraggio di rubarmi questo desiderio?
Nella mattina che stava per finire Paolo si è offerto di riaccompagnarmi in paese con il suo fuoristrada, ma io già rifiutavo, montando sull’Atala azzurra e aspettando Lei per completare quella assurda, leggera, verissima scena di un film.
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