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Tuffi
Quella dei tuffi è stata un'ossessione che mi ha seguito per anni come una terrorista col fucile puntato alla mia testa. Che mi piacesse o meno dovevo fare quello che voleva lei.
Sono nato e cresciuto in una città di mare in Liguria. La mia infanzia, dal punto di vista dei tuffi, è trascorsa serena e spensierata. Mi tuffavo dagli scogli a pelo d'acqua o dalla spiaggia nei punti in cui il mare era subito profondo. Mi divertivo così e a un bambino non si chiedeva di fare nulla di più.
Raggiunta l'adolescenza ho dovuto confrontarmi con i tuffi alti, era una tappa di crescita obbligatoria. Da pochi anni avevo imparato a nuotare con una certa dignità, me ne andavo infatti a guardare la costa ligure da una boa posta a più di cento metri dalla spiaggia. I tuffi però erano un altro paio di maniche: bisognava buttarsi da altezze anche vertiginose, si dovevano fare strane evoluzioni in aria prima di finire in acqua e, faccenda più delicata, chi si tuffava aveva gli occhi di tutti addosso. Niente e nessuno mi obbligava a tuffarmi, ma da ragazzino non lo sapevo. Dovevo lanciarmi in acqua e basta.
Di posti adatti non c'è n'erano molti in zona, ed erano tutti vietati. Vigeva però un regime di tolleranza: occorreva stare attenti a non farsi cacciare via. Ormai era da tempo che andavo a guardare quelli più grandi di me tuffarsi, erano tutti ragazzi tra i tredici e i diciotto anni. Avevo notato che erano divisi in due gruppi: fighi e sfigati. Quelli fighi si tuffavano in tutti i modi: di testa, con capriole, con avvitamenti, componendo figure in aria, all'indietro, sulle mani e inventando figure divertenti per far ridere gli amici. Quelli sfigati lo facevano solo di piedi e avevano un espressione di chi stava pagando una "tassa sociale". Adolescenza bastarda!
Era giunto il momento di scoprire a quale dei due gruppi appartenevo. Mi sono tuffato. Ero uno sfigato! Nel precipitare in acqua avevo provato un emozione inattesa di paura. Non parlo del brivido di paura che prende quando si fa qualcosa di nuovo o potenzialmente pericoloso; quello era uno stato di paura viscerale, ma in quel momento a questa "sottigliezza" non avevo dato particolare importanza.
In quella prima volta ho acquistato subito consapevolezza che non sarei mai diventato un tuffatore ammirato e glorificato dalla popolazione in delirio. La cosa mi è dispiaciuta un po', ma non ne ho fatto una malattia: non nutrivo alcuna ambizione olimpionica.
Ma questo stato di beato disinteresse verso i tuffi purtroppo è finito un giorno della mia tarda adolescenza perché mi sono posto una domanda: Come mai avevo paura di tuffarmi? Ho iniziato a "pensare", attività in cui non ho mai brillato.
<<Ciò che mi inibisce è la sensazione del vuoto che c'è tra il salto e l'entrata in mare, sensazione che aumenta all'aumentare dall'altezza. Tutto questo avviene per colpa delle mie insicurezze interiori. In altre parole la mia paura di tuffarmi è una forma esterna della mia scarsa autostima; quindi se imparassi a tuffarmi con scioltezza supererei tutti i miei problemi esistenziali>>.
Finalmente avevo trovato un modo per trasformarmi da un ragazzo timido e sfigato in uno spavaldo e audace. Sì, mi sentivo pronto a fare il salto di qualità. Da quel momento la mia inibizione verso le altezze è diventata qualcosa di cui vergognarmi.
Il via alla sfida l'ho lanciata in una località nell'entroterra ligure, lì c'era una cascatella che dava su un laghetto. Il salto dalla cascatella era di circa due metri. Ero con Sergio, uno dei più bravi tuffatori della mia generazione, lui infatti si è buttato senza particolari problemi: io non ci sono riuscito. Non so che accidente mi aveva preso: sentivo che dovevo tuffarmi a tutti i costi, ma più mi costringevo a lanciarmi e più mi bloccavo sul punto di farlo. Il risultato è stato che come un cretino sono rimasto sul ciglio della cascatella per l'intero trascorso dell'eternità. Tutto intorno al laghetto c'erano i bagnanti: persone singole, gruppi di amici, coppiette e famiglie con bambini. Quasi tutti si tuffavano da quella cascatella con spensieratezza. Addirittura i bambini lo facevano con dei salvagenti a forma di papera. Ho sentito la vergogna salirmi dentro, ma non mi sono mosso da lì: ero diventato una statua umana.
Sergio, da buon amico, ha tentato di aiutarmi in tutti i modi. Inizialmente ha cercato di istruirmi su cose tecniche per facilitarmi il compito, ma il mio non era un problema di mancanza di strategia operativa. È passato quindi a farmi coraggio, ha provato a ridurre la tensione dicendomi che era solo un tuffo, che non dovevo pensarci più di tanto e che dovevo stare tranquillo. La cosa non ha funzionato, allora ha provato con le maniere forti facendomi notare che c'erano dei marmocchietti che si buttavano anche di testa e che ero ridicolo lì impalato: o mi tuffavo o me ne andavo. Ma alla fine ha alzato la bandiera bianca, mi ha detto che gli davo fastidio così bloccato ed è andato via abbandonandomi al mio destino. Ripensandoci ora, credo che ciò che è successo quel giorno è stato che mi sono messo su una specie di gogna pubblica, esponendomi al ridicolo come se volessi punirmi di qualcosa. Al termine della giornata ho desistito e non mi sono tuffato: primo tentativo fallito e morale raso al suolo.
Un secondo tentativo l'ho fatto in una piscina pubblica. Era una piscina all'aperto e aveva una vasca per i tuffi con due pedane: una da due metri e l'altra da cinque metri. Ero lì con Sergio; ci siamo tuffati dalla pedana più bassa diverse volte, io non ho avuto particolari difficoltà a farlo. A un certo punto hanno aperto la pedana alta, che fino a quel momento era rimasta chiusa. Un sacco di gente si è affollata per buttarsi da lassù, la coda di persone partiva dalla pedana scendeva lungo la scaletta e proseguiva anche a terra. A dirigere il traffico c'erano due bagnini, uno a terra e uno sulla pedana. Anche io e Sergio ci siamo messi in coda.
Quando è toccato a me ho guardato giù verso l'acqua: ho sentito ogni goccia del mio sangue fermarsi e poi teletrasportarsi lontano dal mio corpo. Non potevo tornare indietro perché la scaletta era intasata dalla gente in coda. Così mi sono buttato nel vuoto. Non ho preso nessuna rincorsa, ho saltato leggermente avanti e sono filato dritto in piscina. Sono rimasto sott'acqua per un po' di tempo; quando ne sono uscito Sergio mi ha detto che tutti avevano riso di me: mi ero tuffato in modo ridicolo. Il tuffo più alto della mia vita, che più di altri sfidava la mia paura, aveva suscitato l'ilarità delle persone. Tutta quella gente era insensibile e crudele. Nessuno mi capiva. Bastardi!
Comunque si era aperta una stagione di vita fatta di giornate estive dedicate ai tuffi. Mi organizzavo e partivo specificatamente per raggiungere quei pochi posti in cui era possibile tuffarsi. Dopo diversi anni di questa vita mi sono reso conto che dal lancio della sfida non avevo fatto un solo passo avanti a eccezione di quello di tuffarmi senza attese imbarazzanti, risultato che avevo ottenuto quasi subito. Niente capriole o tuffi di testa. Niente avvitamenti o figure acrobatiche. Ero ancora lì, sempre a cercare di superare i miei ostacoli interni prima di lasciarmi cadere nel vuoto. Sì, avevo imparato a controllare la paura, ma in base ai mie propositi iniziali avrei dovuto andare ben oltre. La paura di tuffarmi era ancora intatta. Quella presa di coscienza mi ha spinto nuovamente a "pensare". In quella seconda occasione però i pensieri che ho fatto presentavano tracce sparse di maturità.
<<Va bene, il tuffo avrebbe dovuto essere un mezzo per aumentare l'autostima, ma dopo anni l'unica cosa che ho scoperto è che se imparo a tuffarmi imparo solo a tuffarmi: il resto della mia vita rimane lì dov'è. A essere sincero non me ne frega più nulla di innalzarmi a essere superiore, come quelli che si tuffavano contorcendosi in evoluzioni da campionato del mondo. Ciò che voglio adesso è riuscire a superare il senso di vuoto, punto e basta. Almeno questo lo devo ottenere>>.
Dovevo prendere il toro per le corna e l'occasione non ha tardato a venire. In compagnia di amici sono andato in una località nell'entroterra ligure dove c'erano alcuni laghetti. Mi sono allontanato dal laghetto principale e sono andato in uno piccolissimo da dove ci si poteva tuffare da un'altezza di circa tre metri. Ci sono andato da solo: di gogne sociali ne avevo avuto abbastanza. Il piano era semplice: lanciarmi a ciclo continuo fino a quando il timore dell'altezza non fosse svanito. Mi sono piazzato sul punto di tuffo e ho guardato giù, dentro di me la paura ha iniziato a prendermi a calci lo stomaco e a usare il cuore come fosse un punching ball. Il mondo ha continuato a girare paziente per un bel po' di tempo prima che trovassi lo spunto per buttarmi in acqua. Quando l'ho fatto, rapidamente sono risalito su e mi sono rituffato immediatamente. Sono andato avanti così non so per quante volte, ma la paura anziché calare aumentava sempre di più. Quando la sua intensità è diventata troppa mi sono bloccato.
Ero esausto e mi sono seduto; ho cercato di identificare le emozioni che stavano prendendo corpo dentro di me. Fondamentalmente erano due: assenza di delusione di me stesso e soddisfazione d'essere arrivato alla conclusione di una vicenda. Accidenti, era meglio di quel che mi aspettassi: nonostante avessi mancato l'obiettivo mi sentivo comunque fiero di me. Era più importante aver messo un punto di fine alla sfida dei tuffi che vincerla. Mi sono detto chiaramente <<Tu non sei fatto per i tuffi>> e nella mia testa ho udito una voce che mi ha risposto <<Ok, pazienza, chi se ne frega>>. Con i tuffi avevo finalmente chiuso.
Una sera, diversi anni dopo aver smesso di torturarmi facendo precipitare il mio corpo nel vuoto, ho partecipato a una seduta spiritica. Intendiamoci, io non credevo a cose come i fantasmi, gli UFO o i vampiri; ma ero con degli amici che avevamo voglia di giocare col "mistero". Nessuno tra questi sapeva del mio trascorso di tuffatore. Ciascuno ha messo un dito su una monetina posta su un grosso foglio sul quale avevamo scritto le lettere dell'alfabeto. Dopo alcuni minuti di inerzia la monetina si è messa a muoversi da "sola". Non avevo idea di come riuscisse a spostarsi su quel foglio, ma le risposte che dava alle nostre domande mostravano una forte personalità: tra le mie certezze si è fatto largo il dubbio che ha passeggiando con disinvoltura su un tappeto rosso.
A un certo punto ho chiesto se tra i partecipanti qualcuno fosse stato incarnato in un animale in una vita precedente. Così la monetina ha scritto che io prima dell'attuale vita ero un delfino, morto a seguito di un..."tuffo".
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