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La promoter
C'era una volta il prete che accoglieva le confessioni dei fedeli, poi è stata la volta dello psicologo che per decenni si è sorbito il racconto di ogni sorta di malanno psichico dei suoi pazienti. Oggi, complice la mancanza di tempo e di denaro, tutto il peso dello sgravo coscienziale della società moderna è tutto affidato alle esili spalle di una nuova figura: la promoter.
La promoter, altrimenti conosciuta come hostess, esercita la sua confortante professione in qualsiasi luogo ci sia qualcosa da vendere, anzi no, da promuovere, lei non ha prodotti tangibili tra le proprie unghie smaltate, ma solo volantini e tante promesse. La sua unica arma è il sorriso, essenziale che sia un bel sorriso sempre appiccicato al viso giovane o ringiovanito dal trucco. Un sorriso sempre uguale e accattivante, come se dopo otto ore passate in piedi sopra un tappetino rosso di un metro per due ci fosse ancora qualcosa di sensato per cui mostrarsi entusiasti.
Ebbene quest'anno, dopo aver conseguito due lauree umanistiche, sudatissime e inutili, mi sono trasformata nella figura mitologica appena citata. Ho imparato a truccarmi e ad ammiccare così spesso e con generosità che a volte temo mi colga una paresi dopo le lunghe ore trascorse con la stessa espressione euforica e mummificata stampata in volto.
Lavoro in un piccolo centro commerciale di una minuscola cittadina persa fra le nebbie della pianura padana. Il mio pubblico mi adora, dalla sera alla mattina i vecchietti ultraottantenni non fanno che ripetermi che, se solo avessero qualche anno in meno... Non mi danno fastidio, sono più anziani dei miei nonni, e mi si stringe il cuore a pensare che il mio stand sia l'unica novità interessante della loro giornata. Entrano nel supermercato, fanno la spesa e mi sorridono con tanto di riverenza e alzata di cappello. Io li saluto e propongo loro un volantino con l'immagine di un cellulare touch screen, solo allora comprendono il gap generazionale invalicabile che ci separa, mi guardano un po' imbarazzati e mi spiegano con parole confuse che "non sono tecnologici". Si scusano e solo i più pimpanti mi spiegano con un misto di dialetto e francese, che li fa assomigliare al personaggio buffo del prequel di Guerre Stellari, che ai loro tempi non si studiava l'inglese.
Fatta eccezione per gli adorabili nonnini le categorie umane che si rivolgono alla promoter sono essenzialmente tre distinte per fasce d'età, il sesso del campione è unicamente quello maschile (per ovvie ragioni d'acchiappo).
Prima categoria i single di seconda mano, padri divorziati dal capello brizzolato seguiti a ruota da uno o più figli preadolescenti. Quando li vedo li punto da lontano. Sorrido, faccio scintillare gli occhi e li saluto con calore. Loro gonfiano il petto, non importa se sono più bassi di me o se invece hanno un aspetto decente, li vedo lusingati e istintivamente rincuorati, forti del motto tutto maschile "la promoter sorride a me, a me soltanto!". Il pargolo paffuto mi guarda storto, alza gli occhi al soffitto ben illuminato del centro commerciale e probabilmente pensa "ci risiamo, papà fa il cascamorto...". Questa tipologia di maschio italico si ferma sempre, sicuro al 100% che dieci minuti di chiacchiere sul prodotto con lui si fanno. A me passa un po' più velocemente il tempo e loro sfoggiano ogni sorta di domanda plausibile e non sull'oggetto tecnologico che vedranno solo in volantino. Io rispondo paziente, ma il ragazzino di dodici anni scalpita "papà è vecchio! Io per Natale voglio l'I - phon 4. Questo al massimo lo regaliamo al nonno". Adorabile creatura il ragazzino, ovvio che lo assecondo e gli dico che per il nonno un cellulare con Android come sistema di navigazione è il regalo ideale. Il brizzolato vacilla, il suo dolce bambino ne sa più di lui in merito alle novità tecnologiche e, cosa che lo fa abbassare istintivamente le spalle, l'ha spifferato alla promoter! Ora io so che il suo papà ha grandi conflitti interiori: ostenta una modernità e una giovinezza che non gli appartengono e non sa nemmeno tenere a bada un ragazzino. Io in tutta fretta gli rifilo la gamma completa dei volantini che ho a disposizione e con voce suadente lo rimando a studiare la proposta commerciale a casa con calma.
Seconda categoria i cinquanta - sessantenni, quelli che indossano il maglioncino con la zip o la cravatta troppo stretta intorno al collo che presenta un sottomento con i primi segni di cedimento. Questi quando li saluto hanno un vero tuffo al cuore, si girano e si guardano alle spalle "dice a me?", poi capiscono e si avvicinano con un'espressione alla Fonzie attempato. "Stavo giusto pensando di cambiare cellulare". Seguono dieci minuti di illustrazioni memorizzate e standardizzate del prodotto, nel frattempo fanno sempre sì sì con la testa e assomigliano a quelle buffe paperelle col becco pesante che le sbilancia e le fa oscillare. Ma non si accontentano del prodotto, dopo poco sono certi di essere entrati in intimità con me, a quel punto la moglie impellicciata che mi ha guardato come se fossi una poco di buono si allontana scocciata; incredibile: a loro non interessa, continuano a parlare. "Ho due figli che hanno più o meno la tua età, due maschi, uno ha studiato l'altro no. Comunque sono due fannulloni."
Bene, mi viene da dire "si metta comodo e mi racconti tutto dall'inizio" ma è chiaro che in mezzo alla folla anonima che fa acquisti per il centro commerciale non ho la possibilità di posizionare una chaise loungue. Comunque, volente o nolente, lui inizia a raccontare tutto: ha una piccola azienda di famiglia, ma nessuno dei suoi due figli maschi vuole continuare l'attività, uno è elettricista e l'altro informatico; quello che ha studiato sta per trasferirsi all'estero, lui è molto preoccupato.
"Non vorrei che dopo aver studiato finisca a lavare i piatti in un ristorante e che faccia la vita dell'immigrato, mi capisci? E poi ha una fidanzata indiana che fa la dottoressa e vuole sposarla, riusciranno a mantenersi in America?"
"Oh, ma allora si trasferisce per amore! Vedrà che suo figlio ce la farà o al massimo tornerà indietro, ma se è un esperienza che tiene a fare deve portare aventi le proprie idee" dico io poco convinta, però preparo la mia perla: "Non ponga limiti alla provvidenza! Non si sa mai...".
Il cinquanta - sessantenne a quel punto si sente sollevato, nonostante porti tra le mani un voluminoso fascicolo di volantini, la mia citazione di vago sentore nostalgico e popolare lo convince che ciò che stanno facendo i suoi figli non è poi così diverso da quello che aveva fatto lui alla loro età. In questo momento catartico ritorna la moglie, carica di borse della spesa, lo recupera letteralmente strattonandolo e io vorrei dirle "Signora, abbiamo parlato solo dei vostri figli, non si preoccupi", ma lei è diffidente come un'orsa e aggressiva e mostra i denti come una leonessa spelacchiata. Mi riserva l'occhiata tipica del "Non ci provare mai più sciacquetta!" e trascina via il marito infilandogli in mano due borse da dieci chili l'una.
L'ultimo, il più inspiegabile, è l'uomo giovane fra i trenta e i trentacinque che non ha una vita. Lavora, va in palestra, dimostra almeno cinque anni in meno degli effettivi, ma non ha nessuno con cui parlare. È impiegato e vive in un loculo d'ufficio dall'alba al tramonto, è pallido e sciupato dall'ossessione per lo sport, quando esce corre al supermercato per comprare un pasto già pronto in rosticceria. Questo individuo non ha veramente nessuna relazione significativa nella propria vita e quando lo fermo la mia voce per lui è musica, non gli importa che stia parlando di Wi-Fi, Smartphone o dell'ultimo raccolto di broccoli della campagna qui vicino; lui è perso nel sogno di una donna che gli parla. Ovviamente lo riempio di volantini, mentre lui sviscera il rapporto con sua madre e mi dice "è da tanto che non ho il piacere di parlare con una persona interessante come te". Sorrido e ho un po' di malinconia negli occhi, penso "forse non hai proprio nessuno con cui parlare, come fai a essere tanto entusiasta del fatto che una sconosciuta ti abbia fermato per della pubblicità?".
Infondo mi fa pena e qualcuno dei sorrisi che gli ho inferto è reale. A questo punto scatta il miracolo di Natale, il giovane uomo torna, torna tutti i giorni solo per vedermi e per sentirmi parlare con altri clienti. Passa ogni week end di dicembre fino a Natale in una squallida galleria di un centro commerciale nella reale, tangibile solitudine delle luci al neon e dei prodotti impacchettati e non venduti, rimane lì a guardare le famiglie che escono con la spesa e augurano buone feste alla cassiera.
Non so dire se si tratti di un miracolo o di una maledizione, temo che quando la mia promozione finirà lui rimarrà comunque là perso fra la folla chiassosa a guardare lo spazio vuoto lasciato dal mio stand.
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