Sono nato in periferia. La periferia di una grande citta' . Erano gli anni 60 e 70 delle figurine Panini, dei palloni Yashin, dei ghiaccioli dai colori fosforescenti e della tv in bianco e nero.
Niente computer : le ragazzine giocavano a campana e noi ci sfondavamo le scarpe in sfide infinite su campetti di calcio polverosi o in strada, e il più scarso sempre in porta.
Gli immigrati non c'erano o meglio, c'erano : sardi, calabresi, abruzzesi. Spesso avevano i loro bar, un posto dove riunirsi a parlare in dialetto di lavoro, della casa lasciata , delle donne.
Molti di loro si appropriavano di qualche pezzetto di terra, dopo le ultime case, per ritrovare i gesti antichi del piantare, zappare e raccogliere : erano gli orti degli operai, il cordone ombellicale con la terra che nn potevano recidere.
I settimanali per ragazzi nelle ultime pagine vendevano occhiali a raggi x, scimmie di mare, creme per diventare altissimi o avere e muscoli potenti, roba da imbonitori dell'era del selvaggio west
Il cinema era, naturalmente, "er pidocchietto " della parrocchia dove per un prezzo risibile ti sorbivi Franco e Ciccio, film mitologici e roba a sfondo religioso ; al buio rosicchiavi mostaccioli o sgusciavi fusaie tra il fumo delle sigarette e le battute a voce alta dei più pronti e spiritosi.
A scuola si andava in grembiule, i più sfortunati avevano il colletto di plastica che torturava il collo e l'struzione era quella patriottarda e dei buoni sentimenti alla libro cuore. Si cantava ancora " addio mia bella addio che l'armata se ne va..." ma se siamo cresciuti liberamente coltivando ognuno le proprie convinzioni, non era poi cosi male quella scuola.
Ci penso spesso a quegli anni , sembra un secolo fa, un altro mondo. Era ieri