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Noi, ultras combattenti (Bravi, violenti ragazzi II). Prima metà
Nella primavera del 2039 era in pieno svolgimento la dodicesima stagione ufficiale del cosiddetto campionato "grigio", disputata in parallelo ai tradizionali campionati di calcio "verde" a ventidue calciatori. Si trattava di autentiche battaglie, cruente ma rigorosamente regolamentate, combattute direttamente dagli ultras ed valevoli per l'assegnazione di uno scudetto e di sostanziosi premi in danaro. Ideate anni prima dall'allora Presidente del Consiglio italiano e poi Presidente dell'Unione europea, il discusso magnate televisivo Pier Silvano Garlasconi, venivano trasmesse in diretta tv o, per meglio dire, telernet, con un crescente successo internazionale. Moderne panem et circensem, avevano pacificato la società italiana, riducendo a dismisura non solo le violenze e il teppismo gratuiti ma perfino le tensioni sociali e il tasso di criminalità.
Il campionato grigio era disputato sia in serie A sia in serie B, con lievi differenze nel regolamento. Limitandoci alla A, a inizio stagione ogni squadra schierava rose variabili da un minimo di 150 a un massimo di 200 guerrieri. Gli scontri si svolgevano in zone degli spalti appositamente attrezzate e a prova di danneggiamenti, in contemporanea ai match calcistici, e vi partecipavano due formazioni di settantadue guerrieri ciascuna. Si poteva combattere solo a mani nude o con spranghe, randelli, magli elettrici e pochi altri oggetti contundenti, calibrati in modo da causare danni relativamente limitati. Le coreografie presentate e/o mantenute a fine incontro concorrevano all'assegnazione del punteggio finale, ma la principale determinante era rappresentata dal successo conseguito nei combattimenti veri e propri, a seconda del numero di nemici abbattuti o catturati, delle posizioni conquistate o perdute e dell'avvenuta cattura del vessillo nemico.
A fine gara venivano assegnati 3 punti in caso di vittoria larga, cioè avendo totalizzato più del doppio del punteggio conseguito dagli avversari, due punti per le vittorie di stretta misura, uno per il pareggio e ovviamente zero in caso di sconfitta. Inoltre erano comminate penalizzazioni e squalifiche in caso di irregolarità.
Durante la pausa natalizia era permessa la campagna acquisti di riparazione per rimpiazzare i guerrieri finiti KO per l'intera stagione o peggio. Per rimpinguare i ranghi si potevano assumere, tramite provini, fino a un massimo di venti nuovi lottatori.
A sei giornate dal termine, al comando della classifica di serie A veleggiavano i temibili e spietati Atalanta Fauns, seguiti a due lunghezze dai feroci Inter Constrictors e a quattro dai Grifoni Genoa e dalle Aquile Lazio.
Quella giorno prevedeva un importante scontro diretto. Si sarebbero affrontate le due bande metropolitane terze a pari merito, i Grifoni Genoa e le Aquile Lazio, le cui rispettive squadre calcistiche lottavano invece per la salvezza. E per gli ultras ciò rappresentava uno sprone ulteriore a vincere il campionato, perché quella in corso poteva risultare l'ultima stagione di serie A guerreggiata per chissà quanti anni.
La sera precedente i ragazzi del Genoa Grifone fans club da battaglia erano arrivati senza incidenti a Roma con un treno riservato. Esclusi gli infortunati e gli squalificati, erano disponibili centotrentotto dei centottanta combattenti tesserati.
Appena partiti, i ragazzi si erano divertiti a far casino a bordo, ma a un paio d'ore dall'arrivo erano entrati nel clima della competizione, perché i capi ultras Sergio Papa, un tempo denominato col titolo ufficiale di "Gran Grifone" ma ormai noto ovunque come "Il Papa" e il suo vice Jack "La Cosa" Allemani, si erano chiusi in uno scompartimento per gli ultimi preparativi. Avevano dovuto sobbarcarsi in particolare l'ingrato compito di suddividere la rosa tra i settantadue titolari, i trentasei panchinari tra i quali sarebbero uscite le eventuali ventiquattro sostituzioni permesse durante gli intervalli e gli sfigati costretti a sedere in tribuna, da semplici spettatori. A un'ora dall'inizio avrebbero diramato la formazione ufficiale. Nel derby coi Pirati della domenica precedente un giovane guerriero era rimasto seriamente ferito e versava in pericolo di vita, erano però disponibili tutti i leader e gli atleti più forti.
La mattina successiva al loro arrivo a Roma, avevano effettuato il tradizionale giro turistico per la città ospitante, indossando i classici caschetti protettivi e le tute rossoblu imbottite da battaglia. Naturalmente avevano dovuto subire gli inevitabili sfottò dei tifosi laziali, tuttavia l'ammirazione della maggioranza del pubblico, compreso quello di parte romanista, era tangibile. Lungo i fori imperiali si era riunito un folto gruppo di ragazzine, sia tifose al seguito sia turiste, che urlavano eccitate al loro passaggio e gettavano perfino mazzi di fiori. Ovviamente i più inneggiati erano il Papa Sergio e La Cosa, veniva poi l'Incredibile Franz, un grande e prestigioso guerriero in ascesa, alto, forte e assai bello d'aspetto e perciò adorato dal pubblico femminile.
Sergio rispondeva amichevolmente alle acclamazioni. Forte del suo prestigio personale, indossava come al solito la tiara e una convincente imitazione del manto papale, un'appariscente veste da parata, svolazzante lungo le spalle e i fianchi, che si sarebbe levata durante la pugna.
Gigioneggiava come al solito pure Jack La Cosa Allemani, spettacolare, sotto i pantaloncini rossoblu, nella sua finta pelle rocciosa arancione, a imitazione del fumettistico personaggio dei Fantastici 4 da cui prendeva il nome di battaglia.
Tutti gli altri invece non reagivano agli applausi. Erano troppo tesi per l'imminenza del delicato incontro per far caso all'entusiasmo del pubblico. Oltretutto la notizia della doppia travolgente vittoria sampdoriana sulla Juventus nell'anticipo di campionato non giovava al morale.
La Cosa intuì l'umor nero generale e capì di dover intervenire. Con un salto degno del vecchio spot pubblicitario dell'olio Cuore, straordinario per uno della sua stazza, montò allora sul tetto di un'automobile vicina. Quindi compì un rimbalzo, ricadendo rumorosamente sui piedi e facendo piegare il soffitto, che per un istante sembrò sul punto di cedere sotto il suo peso.
"Ma che fai, sei ubriaco?" Brontolò Sergio, perplesso.
"Ehi Ragazzi!" - Gridò Jack, senza far caso al commento, non appena vide l'attenzione di tutti concentrata su di lui. - Cosa sono questi musi lunghi? Noi vinceremo il campionato e a fine maggio guarderemo tutti dall'alto in basso, proprio come io guardo voi ora. Vero?..."
A quel punto volse lo sguardo intorno a sé. I compagni parevano più che altro smarriti dal suo comportamento. Lui però non demorse.
"Sembrate degli zombie, cazzo, e solo perché domenica abbiamo preso un po' sottogamba quei Pirati doriani bastardi. Ma noi siamo superiori a ogni altro avversario. È vero o no, accidenti?"
"Certo che è vero." - Gli diede corda, in mezzo al brusio generale, Franz, il primo a riaversi. - Ha ragione lui. Siamo noi i più grandi." E mentre lo affermava già si figurava di acchiappare i capi laziali e rompergli le ossa a calci. In quel momento il suo odio e la sua rabbia verso i nemici erano al parossismo, eccitando anche i compagni.
La Cosa sentì che adesso li teneva tutti in pugno. Prima di perdere il momento favorevole doveva approfittarne per inventare qualcosa che li conquistasse definitivamente alla causa.
"Noi distruggeremo ogni avversario, così!" Esclamò allora, facendo raggiungere alla sua voce roca un tono sorprendentemente elevato. Quindi l'atletico giovane si piegò sulle gambe e compì uno straordinario salto mortale e, sulla spinta, si scaraventò a piedi uniti, con una vera e propria tecnica da arti marziali giapponesi, contro la vetrina di fronte, sfondandola e scomparendovi all'interno. Tutti gli altri osservarono la scena a bocca aperta. Qualche attimo dopo il vice comandante fuoriuscì dal negozio, ammaccato ma trionfante.
"Ecco," - tuonò. - "Oggi pomeriggio la Lazio ci opporrà la stessa resistenza di questa vetrina. È tempo di distruzione!"
Un grido di trionfo uscì dalle gole di tutti gli altri, capi o soldati che fossero, mentre gli spettatori applaudivano ammirati.
"Complimenti Jack." - Gli sussurrò il Papa. - "Teatralmente sopra le righe ma assai ben fatto, ci voleva. I danni al negozio e all'auto li paghi di tasca tua però, eh?"
Sergio aveva parlato con sincerità, tuttavia non era molto contento. Allemani era un giovane ambizioso, fresco, tosto e carismatico, mentre coi suoi 36 anni suonati lui faticava sempre di più a recuperare la condizione dopo un combattimento. Istintivamente si toccò la spalla, ancora dolorante dall'incontro precedente. Sentiva che il momento in cui avrebbe dovuto ritirarsi dall'attività e il suo vice ne avrebbe preso il posto si faceva ogni giorno più vicino.
Si riprese subito, però: a che pro preoccuparsi? Per intanto lui era pur sempre il prestigioso Sergio Papa, anzi, il Papa e per due o tre anni almeno contava di restare saldamente in sella. Jack La Cosa Allemani avrebbe dovuto pazientare ancora un po'.
Nel primo pomeriggio la grigia masnada si recò al vecchio stadio olimpico in cui giocava la Lazio (La Roma si era fatta costruire un impianto nuovo). Nonostante le difficoltà incontrate dalle rispettive formazioni verdi, entrambe a rischio retrocessione, quel giorno c'era il tutto esaurito e il pubblico delle grandi occasioni. Tutto merito della partita grigia, fondamentale per i due club per non perdere contatto dal vertice e che, dopo l'equilibrato pareggio dell'andata, si prospettava particolarmente calda.
I capi procedevano in testa al gruppo con aria marziale, marciando a passi lunghi e lenti e guardando dritto davanti a sé. Davanti a tutti il Papa Sergio reggeva il vessillo del Grifone, seguito da Jack e dagli altri luogotenenti. Questi erano Costantino "Res Bellica" Remaggi, karateca ed ex calciatore costretto ad abbandonare la carriera a causa di un infortunio, Pietro "Mani di pietra" Corigliano, ex pugile dal pugno pesante ma privo della forza di volontà necessaria per fare carriera, Marco "Gheppio" Priano, agghindato con penne e becco finto e Ivano Tortello, nome di battaglia Ivan il terribile, spettacolare nel suo travestimento da zar di tutte le Russie, il più appariscente e impressionante di tutti, coi suoi due metri e dieci di statura e i suoi centocinquanta chili di peso. Tutti bravi ragazzi, ma in grado di trasfigurarsi in battaglia al punto di diventare irriconoscibili.
Quando entrarono nello stadio, i genoani videro che i laziali li stavano già attendendo col vessillo dell'aquila piantato alla base. Conquistarlo avrebbe permesso l'assegnazione di quattro punti. In testa riconobbero, in mezzo alle tute prevalentemente bianco celesti, i loro duce, tra cui il "Rapace Imperatore" come chiamavano il capo laziale. Forse anche per via della sua statura ridotta, quello attuale amava travestirsi da Hitler, baffetti compresi, mentre il suo vice e due dei tre luogotenenti si mascheravano da antichi personaggi romani. Non però di età repubblicana, come prediligevano gli ultras della Roma, ma di epoca imperiale. Benché a prima vista non lo si capisse, si trattava di Caligola, lo schizofrenico che aveva eletto il proprio cavallo senatore, di Commodo, il rodomonte che amava scendere a combattere nell'arena, dove ovviamente mai nessuno osava sconfiggerlo e di Diocleziano, il carismatico creatore della tetrarchia.
Alle 14, 45 in punto l'incontro ebbe inizio. I match degli ultras iniziavano, infatti, un quarto d'ora prima dell'inizio di quelli giocati nel rettangolo verde. Erano suddivisi in tre tempi, ciascuno dei quali durava quaranta minuti, con gl'intervalli inseriti durante gli ultimi quindici minuti più recupero di ciascuna frazione degli incontri tradizionali.
Per i grifoni il primo tempo andò maluccio. Il piccolo esercito si era diviso in due tronconi, l'uno comandato dal Papa e da Ivan il terribile, l'altro guidato dalla Cosa e da Res Bellica, premendo sul grosso dei laziali in un lento tentativo di schiacciamento a tenaglia, ma si era lasciato sorprendere da un violento attacco sull'ala governata dalla Cosa, vanificando la tattica accuratamente studiata e facendosi eliminare dal gioco una decina di rosso-blu. Quando, a un quarto d'ora dal termine dei primi 45 minuti regolamentari calcistici, la sirena annunciò la prima interruzione delle ostilità ultras, i laziali apparivano in chiaro vantaggio, anche se il parziale ufficioso indicato sul tabellone luminoso era soltanto di 3 a 2. I ragazzi allora s'immobilizzarono tutti e seguirono le fasi della partita tradizionale. Durante gli intervalli, infatti, le bande dovevano rigorosamente mantenere le posizioni raggiunte fino a quel momento, altrimenti avrebbero subito penalità così pesanti da compromettere la sfida.
E in quel frattempo anche la partita verde si mise male. Il Genoa andò sotto di un gol, a causa di un madornale errore difensivo. Per giunta, mentre sul tabellone era già apparso il risultato di Lecce, segnalante il sorprendente vantaggio in trasferta dei pugliesi sul Chievo per 0 a 3, in contemporanea al gol laziale si era illuminato un altro parziale riferito a uno scontro salvezza.
"Merda! È in vantaggio anche il Cagliari." - Esclamò allora Sergio Papa. - "Va di male in peggio, qui finiamo in B per davvero."
Tutt'intorno i ragazzi ribollirono di rabbia e il Papa comprese che bisognava approfittarne. Grazie al comunicatore diretto di cui i due capi erano dotati, contattò La Cosa, in attesa dall'altra parte del campo di battaglia, e prese in fretta nuovi accordi. La Cosa avrebbe accorciato e compattato il suo ramo della tenaglia e nel frattempo Mani di Pietra avrebbe lasciato il gruppo del Papa insieme a un compagno, avrebbe preso con sé dalla panchina dieci forze fresche, a quel punto già caricatissime, e avrebbe dato man forte all'ala della Cosa. Poi la truppa si sarebbe ricongiunta.
La furia genoana era talmente intensa che, quando il match grigio riprese, i laziali non riuscirono più a guadagnare terreno. Presto, anzi, il gruppo della La Cosa e di Res Bellica, unitosi quasi subito con i neo entrati al seguito di Mani di pietra, stroncò l'attacco, attestandosi al centro con circa metà degli effettivi e riequilibrando le sorti dell'incontro.
I minuti conclusivi della seconda frazione furono occupati da una parte a consolidare le posizioni raggiunte e dall'altra a tentare una manovra di alleggerimento. Res Bellica ebbe però delle difficoltà. Si stava, infatti, rimettendo in piedi dopo un duello vinto, quando qualcuno lo aggredì alle spalle, bloccandogli tronco e arti superiori in una classica presa da wrestling e mozzandogli il respiro: un paio di braccia tozze e assai muscolose lo stringevano come le spire di un anaconda avvolte intorno a un giovane tapiro.
Res cominciò ad agitare freneticamente le gambe e l'avambraccio sinistro, nel disperato tentativo di liberarsi, ma non essendo molto robusto non riusciva ad allentare la presa. Si sentiva soffocare sempre di più e il fianco, leggermente infortunatosi la domenica precedente, ricominciava a dolergli. Si guardò intorno sperando in un aiuto, ma in quel momento nei paraggi non si vedeva nessuno in grado d'intervenire. "Resisti Res, resisti, forza che ce la fai", intimava a sé stesso in una specie di mantra, ma stava lentamente perdendo i sensi.
Paradossalmente fu allora la Lazio a salvarlo. In quel momento, infatti, un boato della folla distrasse l'energumeno, che allentò leggermente la presa. In campo era il 72' e la Lazio calcistica aveva appena raddoppiato. Res sgusciò allora da sotto le braccia del capitolino e si allontanò, raggiungendo la protezione del proprio schieramento.
Il secondo tempo grigio si concluse poco dopo con le squadre in fase di stallo sul risultato di 5 a 5. I Grifoni seguirono gli ultimi minuti di gioco verde con crescente delusione. Solo La Cosa non sembrava dar peso alla sconfitta dei verdi per 2 a 0 e al momento del nuovo via sicuramente sarebbe stato il primo a gettarsi nella mischia. Con quella sconfitta la situazione del Genoa calcistico si stava facendo disperata. In un colpo solo era stato, infatti, staccato dal Cagliari, sorpassato di due punti dalla Lazio e agganciato dal Lecce in terzultima posizione, entrando così ufficialmente in zona retrocessione e aprendo anche sugli ultras il baratro della serie B. Eppure durante i minuti di recupero che facevano da preludio al via La Cosa si voltò verso Res e gli fece allegramente l'occhiolino. E Res, osservandolo, non poté fare a meno d'invidiare la tranquilla sicurezza che animava il diretto superiore.
Non possiamo deluderlo, costi quel che costi noi oggi vinceremo, giurò allora a sé stesso.
Infine il triplice fischio conclusivo indicò ai centoquarantaquattro ultras di Genoa e Lazio impegnati in combattimento l'inizio degli ultimi, decisivi, 40 minuti del loro match. La battaglia finale stava cominciando, senza esclusione di colpi.
"Vittoria o morte." Gridarono all'unisono tutti i centoquarantaquattro guerrieri, senza minimamente immaginare fino a quale tragico punto si sarebbe rivelato apocalittico quel finale di competizione.
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- Caro Pepe G. In effetti il sangue sta arrivando e in abbondanza con la seconda imminente puntata. E non sono genoano ma, ahimè, sampdoriano, hai notato che ho fatto vincere il derby al Doria? E credo che in "Bravi violenti ragazzi" si potesse intuire il mio tifo quando scrivevo che gli ultras del Doria non sono secondi a nessuno per coraggio e qualità tecniche ma gli manca la cattiveria. Ciao.
- Caro Pepe G. ti assicuro che il sangue è in arrivo con la prossima puntata che è in uscita. No, non sono genoano, in realtà sono, ahimè, sampdoriano. E leggendo tra le righe il primo racconto "Bravi, violenti ragazzi" credo che si capisse: quando scrivevo che gli ultras del Doria non hanno nulla da invidiare agli avversari per coraggio e qualità tecniche ma non sono in alta classifica perchè mancano di cattiveria, beh credo che quel commento fosse un chiaro indizio del mio tifo. Ciao
- Grazie a tutti per aver apprezzato il racconto, ne sono davvero lieto
Anonimo il 12/05/2011 15:39
Di questo passo mi verrà voglia di scrivere un racconto da stadio
- Ottimo lavoro. Mi aspettavo più sangue. Ma tu sei genoano?
- Vado in copia conforme con Gianluca
Anonimo il 09/05/2011 17:49
Anonimo il 09/05/2011 13:19
Bello, emozionante, ben scritto. Alcuni passi come la difficoltà di Res a liberarsi dalla presa sono emozionanti. immagino che il prossimo capitolo sarà ancora più bello e coinvolgente perchè ci sarà la vittoria dei Grifoni... almeno spero. L'aquila laziale non l'ho mai potuta sopportare... sono antilaziale per natura... ahahah... a presto, allora. ciaociao :bravo
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